«Se dicessi che questo lavoro è sempre stata la mia aspirazione, mentirei. Non era il mio sogno nel cassetto, però di una cosa ero certa: chiudermi in fabbrica o in un ufficio non faceva per me. Preferisco stare all’aperto». L’accento romagnolo arriva forte e chiaro, anche se filtrato da un cellulare. Dall’altro capo della cornetta c’è Samantha Sartori, giovane autista 31enne, alla guida da quando di anni ne aveva 26. Era il 2019 quando Samantha decise di prendere le patenti, dopo qualche esperienza lavorativa prima nell’industria, poi nel mondo degli allevamenti.
«La prima patente, dopo quella della macchina, in realtà è stata quella della moto, a 24 anni», ci racconta. «Sono sempre stata un’appassionata di motori e mi piace guidare qualunque mezzo». Dalla Ducati Streetfighter, che guida ancora oggi, al camion il passo però non è così scontato.
Cosa ti spinto a prendere le patenti del camion?
Il mio ex fidanzato faceva il rottamaio e ogni volta che potevo andavo con lui sul camion a fare un giro. In più di qualche occasione mi ha fatto provare qualche manovra in piazzale e così, una manovra dopo l’altra, mi sono appassionata tanto che ho deciso di fare le patenti. Devo ammettere che si è trattato di un investimento non indifferenze, ma la fatica, sia economica sia a livello di studio, è stata ripagata.
E il lavoro come è arrivato?
Non ho avuto difficoltà a trovare un impiego, ma ho iniziato lavorando solo stagionalmente, trasportavo la frutta. Io però sono giovane e da buona romagnola non so stare ferma, quindi cercavo qualcosa di più stabile, che è arrivato grazie ad un colpo di fortuna, o grazie al destino forse. Un giorno sono passata a trovare un ex collega nell’azienda agricola in cui avevo lavorato in precedenza, la Sabbatani di San Lorenzo In Noceto, una piccola frazione del comune di Forlì. Mi disse che un autista era appena andato in pensione e che stavano cercando qualcuno che potesse prendere il suo posto. Mi sono proposta e mi hanno presa. Oggi lavoro ancora per loro.
Cosa trasporti prevalentemente?
Alcuni colleghi fanno mangime, io invece trasporto un prodotto molto più delicato: le uova. Per ovvie ragioni, bisogna stare molto attenti, e devo ammettere che ogni tanto qualche frittata capita, letteralmente!
E cosa guidi?
Dipende, il bilico o la motrice a tre assi, a seconda delle esigenze. Sempre Volvo però.
Nella stessa azienda avevi già lavorato, anche se con un’altra mansione. Come è cambiata la tua vita quotidiana?
Il fatto di aver lavorato in precedenza per la stessa realtà sicuramente mi ha agevolata, perché già conoscevo molte cose. Prima mi occupavo della raccolta uova, o del carico delle galline, ma sapevo che non faceva per me. Oggi invece sento di aver trovato qualcosa che davvero mi piace, anche se non è una vita facile. La mia giornata inizia alle tre del mattino, si parte per il centro Italia e si rientra nel pomeriggio o la sera, a seconda del traffico. Con questo lavoro è impossibile avere degli orari fissi, ma se c’è la passione allora non serve altro.
All’epoca avevi già ipotizzato di proporti come autista?
Sinceramente no, in quel periodo gli autisti c’erano e come ho detto non era un mio sogno nel cassetto quello di guidare un camion. Poi la vita mi ha portata in questa direzione e il destino ha fatto il resto.
Oggi puoi dire di aver trovato la tua strada?
Sento che è il lavoro che fa per me, mi piace davvero. Certo è una bella responsabilità perché stare sempre in strada non è facile, però godo della libertà di cui sentivo di aver bisogno. Anche se i viaggi e le strade che faccio sono più o meno sempre le stesse, non posso dire che sia un lavoro ripetitivo. E poi mi dà modo di godere di tramonti bellissimi!
La solitudine è un plus di questo mestiere, o uno svantaggio?
Nella mia solitudine, in cabina, io sto benissimo! Però ogni tanto è anche bello scambiare qualche chiacchiera con un collega al carico o allo scarico, o anche con il baracchino.
Sei un’autista giovanissima che usa uno strumento «del passato», è curioso.
Il baracchino è fantastico, anche se oggi putroppo non lo si usa più così tanto. Mi rendo conto che molti preferiscono il telefono. A me però piace comunque tenerlo acceso, anche perché può essere molto utile per ricevere qualche informazione sullo stato del traffico o sugli incidenti. Certo, il dialogo di una volta è vero che non c’è più. Essere sempre di corsa è diventato il nostro stile di vita, o perlomeno il mio, anche al di fuori del lavoro. È una cosa che ti porti dietro.
Se dovessi scegliere un episodio piacevole e uno spiacevole che ti sono capitati in questi anni, quali racconteresti?
Fortunatamente, non ricordo episodi spiacevoli. Una volta ho fatto «fossetta» e mi hanno dovuto tirare fuori con il trattore, ma ad essere onesta oggi lo ricordo più come un simpatico aneddoto che come un episodio spiacevole. Tra gli episodi piacevoli, invece, sicuramente metto tutte le volte che un uomo è rimasto sorpreso del fatto che io fossi l’autista. Me la ghigno tutte le volte che qualcuno rimane di stucco. La prendo sul ridere, non mi offendo di certo. Non ho mai percepito il mio essere donna in questo settore come uno svantaggio, anzi. Più che di discriminazioni, almeno nel mio caso, posso parlare di agevolazioni. Quando ho avuto bisogno di una mano nessuno si è mai tirato indietro.
In azienda sei l’unica donna autista?
Sì, siamo otto autisti, io l’unica donna. Nell’azienda in cui lavoro mi trovo benissimo, mi rendo conto che questo fa davvero tanta differenza.
Tra qualche anno ti troveremo ancora in cabina?
Penso proprio di sì! È vero che sono giovane e magari in futuro potrei voler mettere su famiglia, con questo lavoro non sarebbe facilissimo, ma oggi i tempi sono cambiati, una soluzione sono sicura si troverebbe. Da buona romagnola poi sono testarda e ambiziosa, quindi ho fatto anche il corso di capacità professionale, perché mi piacerebbe mettermi in proprio in futuro. Oggi però pensare di fare questo salto è impossibile, i costi sono troppo elevati, quindi lo terrò intanto come sogno nel cassetto.