Ancora a parlare di autovelox omologati o meno? Ebbene sì. È vero, il tema lo abbiamo trattato più volte (ad esempio qui e qui), ma vogliamo focalizzare l’attenzione su come, dopo la sentenza ultima della Cassazione, la giurisprudenza si stia sempre più orientando verso l’illegittimità delle ordinanze/multe comminate per rilevazione di tutor non omologati. In questo caso è stato il Tribunale di Savona, lo scorso 20 settembre, a decidere in questo senso, con una pronuncia interessante perché motivata in tutti i particolari.
«Repetita iuvant (le cose ripetute giovano)», dicevano gli antichi romani, e chissà che anche Polstrada e Prefetture non comincino a convincersi che possedere i documenti di approvazione del rilevatore di velocità non basti ad avere ragione, se manca la certificazione omologatrice.
IL FATTO
Il caso è classico. Un’azienda di trasporto laziale, multata per eccesso di velocità e condannata dal Giudice di pace di Savona, ricorre in tribunale eccependo la mancata omologazione del Sicve (ricordiamo che è il nome ufficiale del Tutor). La richiesta è l’illegittimità della ordinanza della Prefettura della città ligure e del presupposto verbale, con conseguente annullamento di entrambi. In più, il ricorrente chiede il pagamento delle spese del doppio grado di giudizio (da distrarsi in favore dell’avv. Roberto Iacovacci, procuratore antistatario).
LA DECISIONE
Cosa dice il Tribunale savonese rappresentato dalla giudice Paola Antonia Di Lorenzo? In sostanza, afferma che l’appello è fondato, argomentando in maniera certosina e informata sulla questione.
Per prima cosa, secondo il Tribunale, il Giudice di pace sbaglia laddove considera equivalenti approvazione ed omologazione nelle apparecchiature di rilevamento, in quanto, come afferma la Cassazione, «tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere periodicamente tarate e verificate nel loro corretto funzionamento, non essendone consentita la dimostrazione od attestazione con altri mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformità». È l’amministrazione, inoltre, a dover provare l’effettiva funzionalità delle strumentazioni utilizzate; e ciò vale «… a prescindere dal fatto che l’apparecchiatura operi in presenza di operatori o in automatico, senza la presenza degli operatori ovvero, ancora, tramite sistemi di autodiagnosi».
Se quindi il soggetto multato contesta la sanzione, sarà la PA a dover dimostrare sia l’omologazione iniziale che la taratura periodica dello strumento. E come si avvalora tutto ciò? Con specifiche certificazioni di omologazione e conformità, come il certificato di taratura periodica. Altri attestati o dimostrazioni del corretto funzionamento non hanno validità legale.
Fino a qui le considerazioni della Suprema Corte, che ormai conosciamo. Ma nel caso che stiamo esaminando – spiega il Tribunale – l’onere della prova è stato assolto dalla Prefettura di Savona? Non pare proprio, dato che davanti al Giudice di pace essa «ha prodotto la documentazione che attesta l’approvazione del dispositivo di rilevamento della velocità, ma non ha allegato quella riferita alla procedura di omologazione». La difesa della PA, per ovviare alla mancanza, ha prospettato la perfetta fungibilità tra omologazione e approvazione, basandosi anche su alcune circolari ministeriali. Tuttavia – sottolinea ancora la giudice – la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che «in tema di violazioni del codice della strada per superamento del limite di velocità, è illegittimo l’accertamento eseguito con apparecchio autovelox approvato, ma non debitamente omologato, atteso che la preventiva approvazione dello strumento di rilevazione elettronica della velocità non può ritenersi equipollente, sul piano giuridico, all’omologazione ministeriale prevista dalla legge».
Del resto i procedimenti di approvazione e di omologazione hanno attività e funzioni ben distinte. In particolare, il procedimento di approvazione costituisce un passaggio propedeutico (ma comunque dotato di una propria autonomia) al fine di procedere all’omologazione (costituente, perciò, frutto di un’attività distinta e consequenziale) dell’apparecchio di rilevazione elettronica della velocità. L’omologazione ministeriale autorizza infatti la riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio, con attribuzione della competenza al Ministero per lo sviluppo economico, mentre l’approvazione consiste in un procedimento che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o con particolari prescrizioni previste dal regolamento.
In conclusione: l’omologazione consiste in una procedura che – pur essendo amministrativa come l’approvazione – ha anche natura necessariamente tecnica, perché deve garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato. Ed in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio di misurazione della velocità, il giudice è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, senza che questa prova possa essere fornita con mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformità, né che la prova dell’esecuzione delle verifiche sulla funzionalità e affidabilità dello strumento di rilevazione elettronica sia ricavabile dal verbale di accertamento.
LE CONSEGUENZE
L’appello è stato dunque accolto e verbale e ordinanza annullati. Appare inoltre significativo che le spese di entrambi i gradi di giudizio – circa 740 euro – siano state poste a carico della Prefettura, invece che compensate come avviene di solito. Evidentemente è un messaggio non tanto subliminale alla PA a riconsiderare le «multe facili» con apparecchi automatici non in regola con la documentazione di legge.