In un trasporto merci che deve fare i conti ogni giorno di più con i costi in aumento, la questione della perdita di tempo nelle operazioni di carico/scarico sta diventando sempre più pressante e centrale. Da un sondaggio che Uomini e trasporti ha condotto di recente analizzando le carte tachigrafiche di circa 75 mila conducenti, è emerso che in media un camion attende 4,36 ore per queste operazioni una volta raggiunta la destinazione. La domanda è: può la tecnologia fornire un aiuto concreto per diminuire queste tempistiche, veri e propri colli di bottiglia nel complessivo processo di supply chain? Ne abbiamo parlato con Gerry Daalhuisen, senior director dock & yards products di Transporeon, società multinazionale di software di logistica con oltre 1.000 dipendenti. L’azienda tedesca propone una piattaforma di gestione dei trasporti che permette a mittenti, spedizionieri, trasportatori e GDO di spedire, gestire e monitorare le merci in movimento.
Sostenete che la vostra piattaforma serve per passare dalla «semplice connettività all’interoperabilità». Ma le aziende di autotrasporto sono pronte a comprendere un linguaggio informatico più complesso e raffinato?
Siamo consapevoli che le imprese di trasporto spesso non hanno un’identità tecnologica consolidata, ma quando parliamo di interoperabilità intendiamo la possibilità di far lavorare insieme corriere e spedizioniere. Il che sarebbe fattibile se i corrieri avessero un dipartimento di IT (Informazione tecnologica), cosa che non avviene spesso. Possono dotarsi infatti di un sistema gestionale della flotta (TMS) standard, ma perlopiù non hanno nulla che possa collegarsi con gli shippers e con altre strutture. La visibilità diventa quindi un fattore fondamentale: se sappiamo che un camion è in arrivo e quale sia il tempo stimato di arrivo (ETA), poi possiamo informare il trasportatore e chi lo attende alla destinazione; allo stesso modo si possono ripianificare le fasi di carico/scarico se è in ritardo. Ma – attenzione – se un trasportatore non vuole essere monitorato per la privacy, allora potremo solo calcolare il tempo stimato di arrivo. In questo caso lavoreremo attraverso whatsapp o telegram per riuscire a chiedergli, via messaggio, se è in orario. Se la cosa è possibile tutto bene, altrimenti dovremo comunicare il ritardo. In sintesi: ciò che dobbiamo fare è incrociare le informazioni non soltanto a livello di alta tecnologia, ma anche di tecnologia di base. Penso per esempio all’eCMR, la versione digitale della lettera di vettura internazionale per i trasporti su strada delle merci: succede che gli autisti vogliono avere un cellulare mobile per scannerizzare e confermare la lettera di vettura. Poi però entrano e dicono, «ho un cellulare ma non è dell’azienda, è mio personale e non lo voglio usare». Situazioni differenti esigono approcci differenti.
Questo vale anche a seconda dei territori in cui operate?
Certamente. È anche una questione di scenari diversi in Europa, che presentano un differente livello di interoperabilità e di tecnologia e anche un differente tipo di aziende. Per esempio, nell’Europa del Sud prevalgono imprese di trasporto più piccole, spesso con uno o due camion. In questi casi il loro “ufficio” è il cellulare, per cui gli occorre qualcosa di diverso rispetto alle grandi flotte. Ma noi lavoriamo anche con compagnie in Vietnam, in Thailandia e India, che hanno punti di vista completamente dissimili; quindi dobbiamo stabilire modi di lavorare insieme ad hoc. Che è poi la soluzione migliore per convincere le persone.
Ma al riguardo avete statistiche sul livello di conoscenza delle aziende di autotrasporti e logistica?
Penso sia veramente complicato avere dati di questo tipo. Sarebbe troppo generico affermare che le grandi aziende del Nord e dell’Europa siano più sofisticate e più preparate tecnologicamente rispetto, per esempio, a quelli di Spagna o Turchia. Alcuni dei nostri clienti hanno sistemi di 20-30 anni fa e sono bloccati nelle loro scelte, società più piccole di altri Stati spingono invece sull’innovazione. Altre realtà ancora, come nell’Europa dell’Est o in Asia, preferiscono creare nuove soluzioni invece di usarne una standard. In sintesi: per me è molto difficile dire che in differenti Paesi e a diversi livelli, in qualsiasi parte del mondo, ci siano aziende che si concentrano sull’innovazione e che investono in questo, mentre ad altre non interessa perché hanno solo bisogno di contenere i costi. Ovviamente il nostro obiettivo è cercare di risolvere in tutti i casi le varie situazioni.
Qual è allora il sistema che state portando avanti per affrontare il tema dei tempi morti?
Partiamo dalla considerazione che i fleet manager hanno necessità di organizzare il flusso di lavoro ed evitare che tutti i camion arrivino alle 8-9 di mattina, creando ingorghi davanti all’azienda. La migliore gestione è che i convogli giungano regolari e distribuiti durante il giorno. Ecco perché abbiamo immaginato uno schema circolare.
Se però da una parte il trasportatore vuole organizzare il suo lavoro, dall’altra parte si possono verificare interruzioni che per il corriere o per chi organizza e coordina il trasporto significano perdite di tempo e conseguentemente di denaro. Questi soggetti desiderano che i camion si allontanino alle 10 di mattina, mentre magari se ne andranno alle 13, con una significativa mancanza di efficienza.
Per far incontrare questi due mondi, quindi, la nostra piattaforma crea una gestione molto dinamica, a cominciare dal cambiare le tempistiche di inizio e fine del carico/scarico, utilizzando gli slot scoperti. Da una parte si impiega meglio il tempo del corriere, dall’altra l’autotrasportatore non viene penalizzato perché non è stato puntuale. In altri termini chi arriva prima potrà caricare più velocemente e lasciare più rapidamente il sito, a prescindere da quando aveva fissato l’appuntamento.
Poi arriva il momento dello scarico…
Esatto. In questo caso un altro cambiamento è la separazione degli slot dai moli di carico/scarico, il tutto per una migliore operatività dell’azienda, ma anche per un miglior impiego dei conducenti. Dagli strumenti di monitoraggio posizionati raccogliamo dati sull’entrata dei truck nel sito industriale, su quando se ne vanno e su quanto restano. Utilizzando una forma di AI potremo poi prevedere anche il tempo di ritorno, prendendo in considerazione fattori come la stagionalità, le condizioni del traffico e del clima. Lo spedizioniere avrebbe insomma il vantaggio di ricevere non solo i tempi stimati di arrivo del camion (ETA), ma anche il tempo stimato di partenza (ETD). Tutto questo suona come un grande passo in avanti, non trova?
Prima accennava che ci sono aziende di trasporto restie a condividere dati o trasportatori che semplicemente non desiderano che i loro conducenti siano tracciati…
In realtà ciò di cui abbiamo bisogno è un ETA: non mi interessa, cioè, dove si trova il camion, bensì quando arriverà. Esistono tanti modi in cui possiamo chiedere un ETA, in modo da poter contattare il TMS, ovvero il sistema gestionale che aiuta le aziende a gestire la logistica associata alla movimentazione fisica delle merci. E noi stiamo lavorando sui sistemi TMS per collegarli, in modo da poter ottenere l’ETA direttamente dal TMS o se no, come dicevo, semplicemente chiedendo a un autista, tramite whatsapp o telegram, se arriverà in tempo o altrimenti quando. In questo modo si ha una conoscenza migliore e in tempo reale del flusso dei camion in arrivo.
State lavorando su strumenti particolari per la gestione dei flussi?
Nel display di arrivo di cui parlavo prima stiamo sviluppando una variante del Carrier Arrival Monitor (nome provvisorio), che potrà essere vista dai corrieri, dagli spedizionieri, dai gestori flotte, insomma da tutti gli attori del processo sia sul luogo di carico, sia su quello di distribuzione. Sul monitor si potranno condividere tutti i dati e le informazioni sugli arrivi e i tempi di ritorno aspettati e inoltre sulla stima degli ETD e anche sull’ora effettiva di partenza (ATD). Lo stiamo costruendo nel modo più user-friendly possibile.
Associando questa soluzione al Time Slot Management, che già utilizziamo, dovremmo avere un controllo ancora più accurato della situazione. Ma attenzione: uno dei maggiori errori che si commettono in logistica è quello di pianificare completamente le attività, non lasciando tempo o spazio per variabili inaspettate. Gli spedizionieri, per esempio, dovrebbero programmare all’80% la spedizione, lasciando un 20% per eventi imprevisti (una porta che non si apre, un guasto al veicolo o al carrello). Quell’imprevisto con la nostra piattaforma potremo poi gestirlo al meglio e risolverlo.
E il futuro? Quale sarà la logistica di domani?
I camion dovranno diventare veri e propri terminali di “fine ordini”, ricevere una massa di info molto più grande. Quando arriveranno a destinazione saranno scannerizzati, le autorizzazioni documentali rilasciate automaticamente, i tempi rispettati. Non ci sarà più bisogno di identificarsi nel luogo di ricevimento, si potrà andare direttamente al dock e poi uscire il più velocemente possibile. Il tutto combinato con l’eCMR, che potrà essere trasmesso, tenendo informato chi porta il carico e chi lo riceve. L’autista avrà meno tempi di attesa perché potrà recarsi direttamente al luogo di scarico e il corriere sarà contento perché otterrà un documento di trasporto digitale più velocemente.
Infine, la IA potrà garantirci decisioni più intelligenti, più veloci e migliori e permettere ai corrieri di sviluppare, per esempio, il concetto di ‘linea veloce’: arrivare alla meta senza nessun controllo, scaricare, ricaricare, essere fuori e ritornare in strada. Stiamo andando in questa direzione, non manca tantissimo.