Mi sembra veramente incredibile come una foto di un bagno sporco possa scatenare così tanta indignazione, molto di più delle tariffe di trasporto insufficienti a garantire condizioni di lavoro etiche ai propri dipendenti.
È davvero il bagno la nuova battaglia da combattere nel trasporto?
No. In questo caso il bagno diventa il simbolo di un disagio collettivo di un settore che soffre e pretende di mostrare la sua dignità, ma viene sotterrato da quintali di sporcizia e finisce per essere identificato e trattato come quel bagno.
Però, davanti a quel nuovo simbolo di lotta per i nostri diritti di trasportatori mi chiedo: «Siamo sicuri di non essere (anche noi) la causa di questo degrado?».
Se non siamo i primi a rispettare, come possiamo chiedere rispetto?
Se non siamo i primi a tenere pulito l’ambiente che ci ospita, a salutare con educazione, a tendere una mano a un collega in difficoltà, a non cadere nel veteranesimo giudicante verso le nuove generazioni, a farci pagare il giusto per il nostro lavoro, chi lo può fare?
Se non siamo noi i primi a dare rispetto, come possiamo pretendere che gli altri ce lo concedano davanti ai nostri comportamenti inadeguati?
Se non siamo noi i primi a credere che il nostro lavoro valga davvero qualcosa o che la nostra identità sia prima di tutto umana e poi lavorativa, nessuno ci tratterà come meritiamo.
Prima di cedere al benaltrismo e di guardare a problemi che altri dovrebbero prendersi in carico, proviamo a pensare a cosa noi possiamo cambiare da subito.
Del resto, se è vero che ci trattano come noi permettiamo di trattarci, allora è vero che la responsabilità è anche nostra.