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Incidenti su strada con cinghiali? È la Regione a dover pagare i danni, ma…

Nel definire la responsabilità dell'ente, il Tribunale di Torino ha stabilito in questo caso anche la corresponsabilità dell’autista per non aver tenuto una condotta di guida corretta, riconoscendo una somma dimezzata per il risarcimento dei danni fisico-morali (oltre a quella per il danneggiamento del veicolo)

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Ogni tanto percorrendo strade provinciali o secondarie capita di fare sulla carreggiata incontri imprevisti e improvvisi con animali selvatici. A volte si riesce a evitarli, a volte no. E se si tratta di bestie imponenti in dimensioni e peso come i cinghiali, le conseguenze possono essere gravi non solo per il povero ungulato, ma anche per l’incolumità dei conducenti e per i danni al veicolo.

Il caso di cui ci occupiamo oggi, discusso presso il Tribunale di Torino lo scorso 13 aprile, è appunto quello di un incidente con un cinghiale che ha coinvolto una vettura. Tuttavia, le conclusioni della giudice Silvia Semini sono evidentemente applicabili anche nel caso in cui il mezzo fosse stato un furgone o un camion.

IL FATTO

La vicenda risale a quattro anni fa, quando un’autovettura, percorrendo di sera un tratto della tangenziale di Alba in direzione Barolo e con la visuale temporaneamente coperta dall’auto che la precedeva, urtava contro un ostacolo sulla carreggiata, un cinghiale di 80-100 kg. La macchina sbandava, proseguiva la sua corsa fuori della carreggiata e cadeva in una scarpata, ribaltandosi più volte e andando completamente distrutta. A seguito dell’incidente il guidatore riportava molteplici contusioni con prognosi di oltre un mese e un totale di invalidità temporanea di quasi 50 giorni, periodo in cui non aveva potuto svolgere la propria attività lavorativa e sportiva. 

La vittima aveva perciò fatto ricorso al Giudice di Pace di Torino che aveva a sua volta investito della causa il Tribunale monocratico del capoluogo piemontese. La tesi dell’accusa era che ex art. 2052 Codice civile la responsabilità dell’incidente era da imputare alla Regione Piemonte, in quanto competente in materia di patrimonio faunistico e delle funzioni amministrative di programmazione, coordinamento e controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, aggiungendo che il tratto stradale percorso – in normali condizioni di velocità e di traffico – era scarsamente manutenuto ed era già stato interessato in precedenza daincidenti causati dall’attraversamento di ungulati e altri animali selvatici.

Per danni fisici e spese mediche e fisioterapiche si chiedeva dunque un risarcimento di circa 8.000 euro, mentre per i danneggiamenti dell’auto, di proprietà della moglie del ricorrente, per il carro attrezzi e per il noleggio e acquisto di una nuova vettura venivano richiesti altri 8.000 euro.

La Regione Piemonte contestava la richiesta sulla base di alcuni argomenti. Innanzitutto affermava di non essere responsabile, perché il sinistro si era verificato a causa di una carcassa di animale lungo un tratto stradale sul quale l’ente territoriale non aveva alcun potere. Poi contestava la valenza probatoria del verbale redatto dai Carabinieri, sottolineando che gli stessi erano intervenuti sul luogo solo dopo l’evento e quindi non avevano direttamente assistito al fatto: pertanto era del tutto assente la prova del nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso. Non era inoltre dimostrato che il conducente stesse guidando il veicolo diligentemente, nel rispetto cioè dei limiti di velocità prescritta.

La Regione riteneva inoltre di aver adottato tutti gli atti rientranti nelle sue funzioni, che riguardano i provvedimenti di limitazione nascite del parco cinghiali, mentre spetta alle Province l’approvazione dei piani di contenimento dei cinghiali presenti sul territorio. Secondo l’ente anche le condizioni in cui versava la strada al momento del sinistro e la mancanza di dissuasori, recinzione e telecamere non erano di rilievo, perché tutti adempimenti spettanti al titolare della strada ovvero l’Anas. Infine, indicando l’obbligo del conducente a mantenere una velocità moderata, per l’orario serale, la scarsa illuminazione e la presenza di segnaletica che indicava il possibile attraversamento di fauna selvatica; contestava la quantificazione del risarcimento preteso dai ricorrenti, sostenendo sia che il danno patrimoniale lamentato superava il valore del relitto (e pertanto in caso di accoglimento della domanda il risarcimento non poteva superare tale valore), sia la valutazione dei danni patiti dal conducente in quanto fondata su una relazione medica di parte. In conclusione la Regione Piemonte chiedeva di dichiarare inammissibile la domanda avversaria per difetto della sua legittimazione passiva, in via principale con il rigetto del ricorso e in subordine con il concorso colposo del ricorrente.

LA DECISIONE

Passiamo adesso all’esame della sentenza del Tribunale, punto per punto. Per quanto riguarda la responsabilità dell’ente, secondo il giudice, non ci sono dubbi. La Cassazione in più pronunce ha stabilito infatti che “la responsabilità per il danno cagionato dalla fauna selvatica grava in via esclusiva sulla Regione, ossia sull’ente cui spettano per legge le competenze normative, amministrative, di coordinamento e di controllo in materia di patrimonio faunistico”. Spetterà poi al danneggiato dimostrare il nesso tra il comportamento dell’animale e il danno subito, mentre a sua volta spetterà alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, documentando che la condotta dell’animale era stata al di fuori della propria sfera di controllo, non evitabile neanche con “l’adozione delle più adeguate e diligenti misure”. Dunque, la responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica – secondo il Tribunale torinese – va attribuita senza dubbio alla Regione.

Ma la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra questo esatto e il veicolo non bastano per il risarcimento. Il conducente deve attestare “di aver adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida… con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici, provando che la condotta dell’animale sia stata imprevedibile e irrazionale, per cui non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto”.

Ora, nei verbali dei Carabinieri si parla di carcassa di animale sulla strada “già precedentemente investito”, ma questo senza che i militari fossero presenti all’evento. Anzi, le persone che si trovavano sul luogo al momento del sinistro riferivano agli agenti semplicemente” della presenza di un ungulato sulla sede stradale“. “Non vi sono elementi che consentano di affermare – dice il giudice – che al momento dell’impatto il cinghiale fosse già morto e che fosse dunque un ostacolo già presente sulla carreggiata, conseguenza di un precedente sinistro, e non ancora rimosso: non risulta agli atti alcuna precedente segnalazione di un sinistro che avesse coinvolto un cinghiale né vi sono testimoni che possano confermare che l’animale giacesse già morto a causa di un precedente investimento (sorprendentemente senza conseguenze per l’auto investitrice, viste le dimensioni dell’animale)”.

Poiché dunque l’incidente è avvenuto nella corsia di sorpasso e il ricorrente aveva dichiarato in udienza che il veicolo che lo precedeva aveva improvvisamente rallentato tanto appunto da sorpassarlo, “si può desumere che verosimilmente l’animale stesse attraversando la strada, spostandosi da una corsia all’altra dove è avvenuto l’impatto con l’auto”. Il danneggiato ha quindi provato la dinamica del sinistro e il “nesso causale tra l’agire dell’animale e l’evento dannoso subito”.

Tutto a posto? No, manca un elemento. Tutto questo ragionamento non è sufficiente a far gravare la responsabilità solo sulla Regione. Da un lato difatti l’automobilista non ha dimostrato di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno; anzi nella relazione di incidente stradale si legge che “sul suolo, asciutto, non erano visibili tracce di frenata” e lo stesso autista ha ammesso in udienza di avere visto il mezzo che lo precedeva rallentare, di avere pensato ad un malore, “di averlo superato e di avere probabilmente guardato nell’abitacolo”. In sostanza, il guidatore non ha fornito la prova di avere adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida, oltretutto come da verbale in una strada con illuminazione pubblica insufficiente. Ma neppure la Regione ha fornito la prova che “la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale e imprevedibile”.

Conclusione: la responsabilità è sia dell’ente che dell’automobilista, nella misura del 50% ciascuno.

LE CONSEGUENZE

Il Tribunale si occupa poi della quantificazione dei danni, sulla base di una consulenza medica e tecnica da lui stesso predisposta e anche sulla base di tabelle specifiche. Vi risparmiamo le lunghe e complicate argomentazioni al riguardo, che interessano solo le parti coinvolte. Basti sapere che è stato riconosciuto il danno biologico, maggiorato di rivalutazione ed interessi e dimezzato per il concorso di responsabilità. Ammesso anche il danno patrimoniale per il veicolo, basato sul valore di mercato dell’auto alla data del sinistro, con in aggiunta la spesa per l’intervento del carro attrezzi e per la demolizione, mentre non è stata accettata l’ulteriore spesa per il noleggio di altra auto.

La Regione Piemonte è stata in definitiva condannata al pagamento di circa 3.000 euro per i danni fisici e di 3.500 euro per il danneggiamento del veicolo, oltre agli interessi maturati. L’ente dovrà in aggiunta rimborsare le spese di lite e della consulenza richiesta dal giudice.

Questa sentenza conferma dunque la responsabilità dell’ente per incidenti di questo tipo, ma attiva un campanello di allarme sulla condotta del conducente che dovrà dimostrare, per avere ragione al 100%, di essersi comportato secondo le regole e con il dovuto atteggiamento. Prova, come abbiamo visto, non sempre semplice da esibire, specie in mancanza di testimoni oculari.

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