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Rinnovo tecnologico del parco: cosa serve (e cosa no)

Ho letto da qualche parte che i fondi per l’acquisto di veicoli commerciali elettrici sono stati poco utilizzati quest’anno. Ciò mi induce a pensare che, evidentemente, c’è qualcosa che non funziona nell’attuale sistema di incentivi. Ma cosa?
Giulio R_Bologna

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La seduta del 10 e 11 aprile scorso del Parlamento Europeo a Strasburgo ha definito la road map tecnologica per il trasporto pesante, mediante l’approvazione del nuovo Regolamento sui target di emissione di CO2 per gli HDV (Heavy Duty Vehicle). Pur nella consapevolezza che entro il 2027 questo Regolamento potrà essere modificato (e si spera migliorato) dai rinnovati organismi istituzionali dell’UE, resta prioritario il tema del rinnovo del parco dei veicoli commerciali leggeri e pesanti, in un contesto di accelerata transizione tecnologica. Un obiettivo strategico che mette al primo posto l’esigenza impellente per il nostro Paese di abbassare l’età media del circolante, al fine di ridurre l’impatto dell’operatività del trasporto merci sia sul piano ambientale che della sicurezza. Questo significa che occorre rafforzare gli investimenti delle imprese per la sostenibilità del parco circolante, senza pensare demagogicamente che il processo di rinnovo possa avvenire con fughe in avanti di natura tecnologica incompatibili con le esigenze di sostenibilità economica e finanziaria delle imprese, siano esse in conto terzi che in conto proprio.

Del resto, le politiche di sostegno pubblico agli investimenti hanno successo solo quando sono concepite tenendo conto della sostenibilità economica delle imprese, che sono nelle condizioni di procedere al rinnovo del parco solo secondo step graduali che siano compatibili con la peculiarità delle missioni svolte. Se ad esempio si comparano tutti gli stanziamenti effettuati dal 2021 al 2023 dai diversi strumenti di incentivazione, secondo una ripartizione per tipologia di veicolo e per tecnologia, emerge che l’insieme degli incentivi diretti agli investimenti hanno cubato complessivamente 247,6 milioni di euro (elaborazione MS-Italiainvestimenti), di cui 35,6 milioni (pari al 14,2%) non sono mai stati spesi. Ed è interessante notare come tutte queste risorse stanziate e non spese siano da attribuire a quelle riservate all’acquisto di veicoli commerciali elettrici. Questo nonostante le misure applicate ai BEV non richiedessero alcuna rottamazione, a differenza di quelle applicate per i veicoli convenzionali di ultima generazione.

La non attrattività degli incentivi riservati ai veicoli commerciali BEV emerge anche laddove il budget è stato unificato alle altre alimentazioni alternative – come nel caso del Fondo Investimenti Autotrasporto – quali le tecnologie C-LNG, Biometano e Ibride. Si tratta di un dato che dovrà essere seriamente analizzato e preso in considerazione per l’evoluzione degli incentivi per il rinnovo tecnologico del parco dei veicoli commerciali in Italia necessari per accompagnare le imprese nel processo di transizione tecnologica.

In attesa di saperne di più sia sul dettaglio del nuovo Ecobonus 2024 per i veicoli N1 e N2 (fino a 7,2 ton), di cui Invitalia dovrà emanare l’apposita circolare attuativa per la gestione della piattaforma di prenotazione, a seguito della pubblicazione del DPCM in Gazzetta, e in attesa di avere il quadro di dettaglio sulla proposta che ha predisposto il Tavolo interassociativo dell’Autotrasporto e dell’Automotive per il futuro Fondo Investimenti, emerge con chiarezza quali sono i fattori critici da rimuovere – e che impediscono troppo spesso alle imprese di spendere ciò che i Ministeri stanziano per il rinnovo del parco – e quali sono invece gli elementi virtuosi che possono rendere più efficaci le misure di incentivazione agli investimenti.

Tra i fattori critici da rimuovere, emerge innanzitutto quello di prevedere plafond dedicati e specifici per l’acquisto di veicoli commerciali elettrici di importo sproporzionato rispetto alle tendenze effettive del mercato. Vi è quindi l’esigenza di ridurre i tempi di attesa delle imprese per i rimborsi degli importi di «aiuto», criticità che è diventata davvero grave per la fruizione del Fondo Investimenti gestito dal Ministero Infrastrutture e Trasporti per le aziende in conto terzi, che sono costrette ad attendere fino a tre anni per ricevere il rimborso dovuto. Infine, emerge la necessità di rimuovere ogni limitazione alle forme di acquisto da parte delle imprese, sia grandi che PMI, rendendo pienamente accessibile il noleggio a lungo termine, che è la forma prevalente ormai per l’acquisto da parte degli investitori in beni strumentali, in particolare per quelli più innovativi quali i veicoli commerciali elettrici, di cui l’utenza – prima di procedere con un acquisto diretto – vuole conoscere l’effettivo rendimento e su cui non vi è un cashback consolidato per l’usato.

Che fare, dunque, per mitigare questi aspetti critici? Alcune soluzioni sono allo studio del citato Tavolo interassociativo, che prefigura una riforma complessiva del Fondo Investimenti, mettendo l’accento soprattutto su tre aspetti. Innanzitutto, la necessità di individuare risorse più consistenti di quelle attualmente in essere, con un flusso di incentivi da mettere a disposizione del mercato in modo costante e con tempistiche certe, superando quindi le attuali lentezze burocratiche che hanno portato – giusto per fare un esempio molto esplicativo – ad utilizzare i 25 milioni stanziati per il 2023 solamente nel marzo 2024. Quindi, la necessità di individuare forme più funzionali di fruizione degli «aiuti», individuando nel Credito d’Imposta (o strumenti fiscali analoghi) una modalità di copertura certamente più diretta e idonea rispetto all’attuale sistema di rimborso, che accusa ritardi sempre meno accettabili dagli operatori del settore.

Infine, si impone un complessivo adeguamento delle intensità d’aiuto per singola categoria di veicolo rispetto agli importi unitari previsti dai Decreti attualmente in vigore, a fronte degli incrementi di prezzo che hanno subito i veicoli commerciali di nuova immatricolazione nel corso degli ultimi 12-18 mesi e, soprattutto, in relazione al gap di prezzo che ancora intercorre tra il veicolo convenzionale a gasolio, il veicolo ad alimentazione LNG/BioLNG e il veicolo elettrico o a idrogeno.

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