Il tessuto imprenditoriale italiano è costituito in larga parte da micro e piccole e medie imprese. Aziende, a carattere patronale e familiare, in cui spesso i soci, oltre ad essere investitori, prestano anche attività lavorativa. Il socio, quindi, oltre ad essere investitore, può indossare tre «cappellini» diversi all’interno dell’azienda:
• dell’amministratore;
• del dipendente;
• del lavoratore.
Il socio che percepisce un compenso come amministratore riceve un compenso come co.co.co. ed è iscritto alla gestione separata INPS; questo potrebbe creare problematiche a livello pensionistico qualora il socio abbia sempre versato alla gestione ordinaria INPS del commercio o dell’artigianato.
Il socio che è inquadrato come lavoratore dipendente riceve un compenso mensile attraverso busta paga; ciò potrebbe creare problematiche di incompatibilità qualora il Consiglio di Amministrazione della società, ovvero l’organo che ha sottoscritto la sua assunzione, sia riconducibile a lui stesso oppure ad uno stretto parente (per esempio la moglie).
Il socio che svolge attività lavorativa e non è inquadrato come amministratore né come lavoratore dipendente è il socio lavoratore, che è tenuto all’iscrizione INPS e INAIL; questa tipologia di inquadramento può creare problematiche di liquidità in capo al lavoratore, il quale è tenuto a versare i contributi sulla base della sua quota di reddito dichiarata (anche se non effettivamente percepita), ma deve attendere la fine dell’anno per poter beneficiare degli utili dell’esercizio. Pertanto, a seconda del cappellino indossato, il socio avrà un differente inquadramento previdenziale e fiscale. È, quindi, molto importante valutare attentamente la posizione dei soci sin dalla stesura dell’atto costitutivo.
Un particolare strumento utilizzato per ovviare alle problematiche sopra esposte sono le cosiddette «prestazioni accessorie». Si tratta di una particolare forma di retribuzione del socio lavoratore, disciplinata dall’art. 2345 del Codice Civile che recita così: «Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni. Le azioni alle quali è connesso l’obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori. Se non è diversamente disposto dall’atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci».
Le prestazioni accessorie consistono in attività personali dei soci effettuate in favore della società. Affinché siano riconosciute, tali prestazioni devono essere previste nell’atto costitutivo che ne dovrà determinarne «il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento». Le prestazioni accessorie rappresentano una buona scelta in tutti quei casi in cui non sia possibile riconoscere al socio un compenso di amministratore (in quanto la sua attività non è riconducibile a quella di amministratore), non sia possibile da parte del socio il conferimento d’opera per la complessità gestionale, oppure non sia possibile configurare l’attività del socio con il lavoro subordinato, strada quest’ultima spesso non percorribile perché spesso i soci risultano essere anche amministratori.
L’elemento di accordo tra la prestazione accessoria e l’attività svolta è fondamentale: il socio si impegna a lavorare per l’azienda, e in cambio, l’azienda riconosce un corrispettivo. Tale remunerazione può essere allineata al contratto collettivo nazionale dei lavoratori dipendenti di quel comparto, fornendo un parametro per la definizione del compenso. Infine, per essere valide e riconosciute a livello fiscale, le prestazioni accessorie devono essere previste nello statuto della società e approvate dall’assemblea ordinaria.
Inoltre, rispetto al lavoratore dipendente il socio lavoratore beneficerebbe anche di un risparmio del 9,19% della quota di contributi INPS a carico lavoratore.