Il tema della manomissione del tachigrafo ha una lunga storia giudiziaria nel nostro Paese. Ne abbiamo parlato più volte, rilevando un chiaro orientamento giurisprudenziale e sottolineando anche il differente trattamento normativo cui è sottoposto il conducente rispetto al datore di lavoro. Torniamo però volentieri sull’argomento, perché si tratta di una fattispecie che emerge spesso nella cronaca dei tribunali e che perciò va affrontata per sgombrare il campo da ogni dubbio residuo.
Prendiamo spunto, per questo, da una recente sentenza della Cassazione Penale, la n. 46444 del 17 novembre 2023, ringraziando il sito Trasporto Europa e l’avv. Maria Cristina Bruni che per primi hanno commentato la decisione.
IL FATTO
Il Tribunale di Ascoli Piceno nel 2019 aveva condannato il rappresentante legale di una ditta di trasporti a sei mesi di reclusione per avere manomesso il cronotachigrafo di un autoarticolato guidato da un suo dipendente. In seguito, la Corte di Appello di Ancona, nel 2022, aveva confermato la sentenza di condanna. Avverso questa pronuncia l’imputato aveva fatto ricorso in Cassazione, facendo riferimento al fatto che l’illecito amministrativo previsto dal Codice della strada avrebbe dei caratteri di specialità rispetto alla fattispecie prevista dall’art. 437 del Codice Penale. Poiché – affermava la difesa – i fatti sono sovrapponibili sotto il profilo naturalistico, alla manomissione del cronotachigrafo dovrebbe applicarsi la disciplina di cui alla legge n. 689 del 1981, art. 9 («Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale») e, di conseguenza, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio.
LA DECISIONE
Coerentemente con quanto deciso più volte in passato, la Cassazione ha però respinto questa motivazione giudicandola “inammissibile”. Infatti, secondo la Corte Suprema, tra l’art. 179 del Codice della Strada e l’art. 437 del Codice Penale non esiste quella sovrapponibilità necessaria per l’applicazione del criterio della specialità sopra ricordato. Tra questi due articoli, in altri termini, «non sussiste alcun rapporto di specialità». Questo perché, innanzitutto, il bene giuridico tutelato da ognuna è diverso: nel primo caso la sicurezza della circolazione stradale, «comprensiva di quella degli utenti terzi, distinti da colui che circoli alla guida del veicolo col cronotachigrafo manomesso», nel secondo la sicurezza dei lavoratori, «in primis dello stesso autore della violazione, se conducente del veicolo».
Ma differente è anche e soprattutto «la stessa natura strutturale delle due fattispecie, sia sotto l’aspetto soggettivo che oggettivo». Infatti, il reato di cui all’art. 437 c.p. è un delitto di pericolo punito a titolo di dolo, mentre la violazione dell’art. 179 C.d.S. è un illecito amministrativo, punito indifferentemente a titolo di dolo o colpa, «tanto che il conducente è sanzionato per avere circolato alla guida di un veicolo con cronotachigrafo alterato sul solo presupposto della rappresentabilità colposa della relativa manomissione, anche se l’alterazione dello strumento è stata realizzata da un altro soggetto».
La condotta sanzionata dal Codice della Strada non presuppone perciò che l’autore della violazione, consistente nella circolazione alla guida di un veicolo con cronotachigrafo alterato, coincida necessariamente con l’autore della condotta incriminata dall’art. 437 c.p., cioè con chi è responsabile dell’alterazione, che ben potrebbe essere altro soggetto e identificarsi, ad esempio, nel datore di lavoro o nel proprietario del veicolo diverso dal conducente.
Infine – conclude la Corte – «la condotta di rimozione, alterazione o danneggiamento dello strumento, concretamente idonea a mettere in pericolo la sicurezza del lavoro, punita a titolo di delitto di pericolo dal codice penale, prescinde dal fatto materiale costituito dalla messa in circolazione del mezzo ed è pertanto configurabile anche prima e a prescindere appunto dalla messa in circolazione del veicolo».
LE CONSEGUENZE
A seguito di questo ragionamento la Cassazione ha confermato la condanna penale dell’imprenditore – persona diversa dal lavoratore che era alla guida del mezzo – con le ulteriori sanzioni del pagamento delle spese processuali e del versamento di 3.000 euro a favore della Cassa delle Ammende.