Veicoli - logistica - professione

HomeProfessioneFinanza e mercatoUsa e Gb attaccano siti Houthi nel Mar Rosso: in gioco il forte incremento di costi del trasporto marittimo internazionale

Usa e Gb attaccano siti Houthi nel Mar Rosso: in gioco il forte incremento di costi del trasporto marittimo internazionale

Nell’arco di un paio di giorni, i due paesi occidentali hanno lanciati missili e caccia su decine di obiettivi nello Yemen. All’origine dell’azione c’è una costosissima deviazione dei flussi di traffico da Suez verso il periplo dell’Asia, che potrebbe spingere nuovamente in alto l’inflazione. A maggior ragione se, come ricorda Domenico De Rosa, CEO di Smet, al conflitto si aggiunge l’effetto dell’applicazione degli ETS partito dal 2024

-

Stati Uniti e Regno Unito hanno rotto gli induci e giovedì 11 gennaio, con replica il 12, hanno deciso di bombardare una dozzina di siti utilizzati dagli Houthi – gruppo ribelle sciita dello Yemen e sostenuto dall’Iran – con lanci di missili e caccia Tomahawk lanciati da navi da guerra e sottomarini.

Fonti statunitensi sostengono di aver colpito oltre 60 obiettivi nello Yemen, compresi «centri di comando, depositi di munizioni, sistemi di lancio, impianti di produzione e sistemi radar di difesa aerea». Lo stesso presidente Joe Biden ha precisato che l’azione militare serve a dimostrare che gli Stati Uniti e i suoi alleati non sono disposti a tollerare gli attacchi Houthi condotti tramite droni e missili contro navi in transito nel Mar Rosso.

L’attacco giunge a una settimana di distanza da quando la Casa Bianca e alcuni Stati alleati (tra i quali non compare l’Italia) avevano lanciato un ultimo avvertimento agli Houthi di interrompere le azioni di guerriglia. Per qualche giorno la tregua ha retto, poi martedì 9 gennaio i ribelli Houthi hanno sferrato un nuovo massiccio attacco, a cui le navi statunitensi e britanniche, affiancate da jet da combattimento americani, hanno risposto abbattendo 18 droni e tre missili.

Accanto a Usa e Regno Unito ci sono – senza fornire un supporto operativo – Paesi Bassi, Canada e Bahrain, con il chiaro intento di vanificare le capacità militari degli Houthi e di proteggere la navigazione globale.

Australia, Bahrain, Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda e Corea del Sud hanno invece sottoscritto con Stati Uniti e Regno Unito una dichiarazione in cui si sostiene che, mentre l’obiettivo comune è quello di ridurre le tensioni e di ripristinare la stabilità nel Mar Rosso, gli alleati non esiteranno a difendere vite e a proteggere il commercio in questa critica porzione di mare. 

Anche il Consiglio di sicurezza dell’ONU lo scorso mercoledì 10 gennaio ha approvato – con undici voti favorevoli e quattro astensioni (Russia, Cina, Algeria e Mozambico) –una risoluzione con cui si chiede agli Houthi di cessare gli attacchi, condannando in modo indiretto chi fornisce loro le armi (vale a dire l’Iran).

Un’azione, questa, che sembrava essere quella preferita dagli Stati Uniti – molto meno dal Regno Unito – in quanto temevano che un’azione militare potesse rimettere in forse la tregua bellica nello Yemen e quindi innescare un conflitto nella regione e, di conseguenza, aprire un ulteriore fronte bellico. Alla fine, però, le sempre più difficili condizioni del trasporto marittimo internazionale ha fatto decadere tali dubbi e indotto la politica a battere strade meno diplomatiche.

Quanto vale il traffico via Suez

Ma perché è così importante difendere quel piccolo braccio di mare? Molto semplicemente, perché in quel tratto di mar Rosso che va dal canale di Suez allo stretto di Bab el-Mandeb (teatro degli attacchi Houthi), transita circa il 12% del commercio mondiale e il 30% di quello container. Da qui cioè passa petrolio, gas naturale, grano e tanto altro. 

L’alternativa: doppiare il capo di Buona Speranza

Ma quando la navigazione in questo lembo marittimo è diventata incerta, le principali compagnie di navigazione ha pensato di cambiare le proprie rotte. E in particolare quelle impegnate nel trasporto container hanno preferito, in arrivo dall’Asia, non salire più verso Suez e il Mediterraneo, ma scendere in basso fino al Capo di Buona Speranza, doppiarlo e quindi effettuare il periplo completo dell’Africa per poi uscire da Gibilterra e proseguire fino al Mare del Nord.

Non è importante tanto quantificare quante compagnie abbiano adottato tale alternativa. Dice molto di più il fatto che nel solo dicembre 2023 il transito di navi dal Mar Rosso è diminuita di quasi il 39% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Inutile dire che il colpo più duro lo ha subito l’Egitto, che trae un quarto delle sue finanze pubbliche proprio dai transiti attraverso il canale di Suez. Ma l’altro aspetto decisivo è che il 39% di navi che prima battevano la strada del Mar Rosso adesso vanno altrove e spendono quindi molto di più. Prima di vedere quanto, speieghiamo però che il 39% è una percentuale di riduzione media. In realtà il traffico di portacontainer, per esempio, ha fatto segnato una frenata del 72%, quello di ro-ro per la movimentazione di vetture si è assottigliato del 49%, quello di Gpl è crollato del 60%, quello di gas naturale del 35%.

Quanto costa cambiare le rotte

Ma torniamo ai costi. Il primo fattore di costo deriva dal tempo e quindi dalla capacità delle navi. Perché per navigare dall’Asia al Mare del Nord servono mediamente 31 giorni di tempo se si passa da Suez, ma si arriva ad almeno a 41 se si fa il giro dell’Africa. Quindi questo è il primo costo: 10 giorni (minimo) in più e quindi la necessità per poter trasportare i medesimi quantitativi di merce, di un numero maggiore di navi, con tutto ciò che ne consegue. Poi c’è il fattore distanza: per andare da Singapore a Rotterdam “ballano” all’incirca tra le due rotte 3.300 miglia. E quindi una spesa di carburante per forza di cose maggiorata.

Ovvio che quindi le compagnie di navigazione abbiamo deciso di rivedere i costi dei noli. Per uno Shangai-Genova, per esempio, il costo del trasporto di un container da 40 piedi è lievitato del 114%, arrivando a 4.178 dollari secondo gli indici Drewry.

Ma ovviamente, una tale lievitazione si porta dietro conseguenze a catena. Perché è ovvio che se, come ricordato, i traffici di petrolio e di gas naturale diminuiscono o comunque richiedono maggiori costi di trasporto, anche lo stesso prezzo del prodotto finito subisce incrementi. Facciamo un esempio concreto. Circa nove milioni di barili di petrolio al giorno sono stati spediti tramite Suez nella prima metà del 2023, secondo le stime di Vortexa, mentre, secondo S&P Global Market Intelligence, quasi il 15% delle merci importate in Europa, Medio Oriente e Nord Africa sono state spedite dall’Asia e dal Golfo via mare. E in questa percentuale media ci sarebbe dentro il 21,5% di petrolio raffinato e il 13% di petrolio greggio. Che domani – ma già oggi, a dire il vero – questi beni possano costare di più o arrivare in ritardo è assolutamente normale.

Ma non si tratta soltanto di petrolio. 

Ikea e il rivenditore britannico Next hanno allertato i loro clienti rispetto al fatto che le forniture di prodotti potrebbero essere ritardate, mentre sul fronte dei prezzi si ipotizza un incremento del 4%.

Conflitto e ETS: i due generatori di inflazione secondo De Rosa

Domenico De Rosa, CEO di Smet

«Le guerre non producono solo morte e distruzione – ha commentato Domenico De Rosa, CEO di Smet – ma contribuiscono in maniera significativa anche al cambio delle rotte logistiche, modificando significativamente i tempi e i relativi costi per gli approvvigionamentii globali». In particolare, tra i tanti costi che stanno rapidamente aumentando, De Rosa si concentra su quello «dei premi assicurativi per i mercantili che transitano in quell’area». «Il rischio è alto per tutti – constata il manager salernitano – perché gli Houthi considerano come bersaglio qualsiasi nave che secondo loro abbia legami con Israele. Sappiamo, però, che c’è una complessità dell’organizzazione del trasporto marittimo globale che rende difficile identificare una nave con una singola nazione. Non conta solo la bandiera: In gioco ci sono la proprietà della nave, la società che la noleggia e quella che la usa». 

In più, De Rosa sottolinea come, se «la condizione terroristica nel Mar Rosso potrebbe essere il più pericoloso generatore di una nuova inflazione globale», a ciò bisogna aggiungere «l’applicazione degli ETS sul trasporto marittimo, una tassa imposta dall’Unione Europea sulle emissioni di CO2 delle sole navi europee che è stata applicata dal primo giorno del 2024, costringendo di fatto gli armatori a adeguare il proprio listino noli. Circa 260 euro in più sulla tratta marittima andata e ritorno tra Catania e Ravenna, circa 200 euro tra Catania e Genova/Livorno, un aumento di circa il 15/20% su tutte le tratte marittime ro-ro. Un aumento dei costi che, per alcuni beni, avrà un impatto disastroso, e che metterà in seria difficoltà le imprese nell’area dell’Italia insulare». 

L’auspicio del numero uno di Smet è che il nuovo Parlamento Europeo «possa rivalutare l’effettiva utilità di questa tassazione, che non produce alcun effetto benefico per l’ambiente ma piuttosto genera maggiori costi ai consumatori europei».

Redazione
Redazione
La redazione di Uomini e Trasporti

close-link