Negli ultimi tempi, le istituzioni UE trasmettono segnali confusi sulle regole che governeranno la transizione ecologica dei cosiddetti Heavy Duty – HDV, che includono veicoli commerciali >3.5 ton e autobus.
La domanda-chiave è: in futuro, si potranno immatricolare solo camion elettrici o anche i termici alimentati con carburanti rinnovabili?
La risposta è incerta. Da una parte, c’è il Regolamento sui target di emissione dei climalteranti degli HDV, approdato al Trilogo con scadenze tagliate con l’accetta e poco compatibili con gli orientamenti reali del mercato e con indicazioni poco chiare sui vettori energetici e sui carburanti capaci di dare effettivo contributo alla decarbonizzazione.
Dall’altra, vi è la nuova Direttiva Renewable Energy (RED III), entrata in vigore lo scorso 20 novembre, che invece fornisce chiare indicazioni sulle funzioni dei biocarburanti e, in generale, dei carburanti con zero impronta di carbonio per raggiungere un obiettivo di decarbonizzazione del comparto trasporti in Europa che dovrà essere pari ad almeno il 29% al 2030. Il tutto in un quadro di medio termine fissato con i nuovi parametri di sostenibilità del Regolamento Euro 7.
Ciò che appare comunque chiaro è che l’UE pretende dai veicoli pesanti un contributo immediato per raggiungere i target di decarbonizzazione. E quindi è necessario accelerare il processo di rinnovo del parco veicolare dell’autotrasporto. Il problema è che in Italia tale processo continua a essere affidato a dinamiche di finanziamento distanti – per volume degli stanziamenti e per tempestività applicativa – dalle esigenze espresse dalle imprese.
La necessità di imprimere una svolta è stata colta dall’insieme delle associazioni dell’autotrasporto e dell’automotive, che hanno promosso un’inedita proposta di revisione organica del sistema di supporto finanziario per il rinnovo del parco, annunciata a Rimini, in occasione di Ecomondo (se ne parla a p. 20).
Del resto, tale azione unitaria appare dirimente a fronte della persistente condizione di vetustà e di insicurezza del parco circolante dei veicoli commerciali, a cui si fa fronte con incentivi concentrati negli ultimi anni in un Fondo Investimenti di appena 15 milioni all’anno per 2 anni, per il rinnovo dei diesel Euro VI (con rottamazione obbligatoria) e di circa 12 milioni all’anno complessivi per i veicoli commerciali «ad elevata sostenibilità» (C-LNG ed elettrici).
Se si pensa che per fine anno scatteranno altri due «periodi di prenotazione» gestiti da RAM con risorse piuttosto esigue, si comprende il gap intercorrente tra reale fabbisogno e politiche di incentivazione in corso.
Il primo è previsto a partire dal 1° dicembre, per 10 milioni di euro dedicati ai veicoli ad alimentazione alternativa (C-LNG ed elettrici), l’altro è atteso tramite l’attivazione di un nuovo Decreto Ministeriale e di uno Direttoriale (da formalizzare) per ulteriori 25 milioni, inclusivi degli incentivi per i trainati.
A Rimini le associazioni hanno evidenziato invece che occorrono almeno 700 milioni di euro in 4 anni solo per sostituire il 30% del parco Euro 0-I-II-III in esercizio, pari al 50% dell’intero circolante in uso dalle aziende in conto terzi.
Il profilo che dovrebbe assumere il Fondo Investimenti proposto dalle associazioni non appare certo un libro dei sogni, considerato che la richiesta di impegno finanziario spalmata su 4 anni serve a finanziare circa 50.000 veicoli di ultima generazione, con cui sostituire parte consistente dei veicoli più obsoleti.
Vi sono quindi gli aspetti attuativi del Fondo che richiedono una riforma complessiva, in particolare per modalità e tempi di rimborso, intensità di aiuto per le diverse tecnologie, tetti di spesa per singola azienda (nello specifico, appare riduttivo prevedere un tetto di soli 700mila euro per un range di 6 anni, come dispone oggi il Fondo Elevata Sostenibilità).
Le aspettative sui dettagli della proposta di riforma elaborata dalle associazioni sono quindi elevate e c’è attesa per i successivi passaggi di presentazione della proposta. Con un quesito che aleggia: come, quando e in che misura il MIT e le altre istituzioni competenti sono disposte ad accogliere quanto elaborato unitariamente dalle associazioni? E ancora: sarà fatto il necessario sforzo di individuazione delle coperture tra le pieghe del bilancio dello Stato?