Il Gruppo Casilli di Nola (Napoli) – 400 mezzi fra trattori e semirimorchi che girano in tutta Europa e una rete di hub operativi, tra cui Nola, Teverola (Caserta), interporto di Parma, Colleferro (Roma), Tortona (Alessandria) – lo dice e lo fa. Nell’elenco dei valori enunciati dall’azienda sul proprio sito, in testa a tutto c’è la «Qualità del servizio offerto», ma subito dopo compare la «Sostenibilità»: accoppiata non sempre perseguita con convinzione di questi tempi. Ma il Gruppo campano la applica in tutte le direzioni – veicoli di ultima generazione, riduzione dei consumi, trazioni alternative, biocombustibili, elettrico, controllo e riduzione delle emissioni – quasi convinto che la qualità dell’aria che respiriamo dipende più dalla volontà e dall’intraprendenza degli operatori che dalle controverse norme partorite con sempre maggiore travaglio dall’Unione europea. Non a caso il Gruppo Casilli è stato tra i primi a ricorrere all’HVO, nonostante i maggiori costi iniziali di questo biocarburante, le difficoltà di rifornimento e un’efficienza sui consumi leggermente inferiore al diesel classico.
Lo ammette subito, con il suo linguaggio chiaro e preciso, lo stesso Francesco Casilli, amministratore delegato del Gruppo: «Oggi l’HVO, in termini di consumo, non ha la stessa efficienza del diesel tradizionale, ma è poca cosa in confronto a quello che potrebbe essere il beneficio per l’ambiente, laddove se ne diffondesse l’impiego. Per questo noi stiamo investendo in questa direzione. Ma ci auguriamo che, con le economie di scala, nel tempo possa arrivare a essere un carburante anche più conveniente». E a queste economie di scala hanno dato il loro contributo acquistando, lo scorso settembre, 50 Scania Super da 500 cavalli, predisposti per l’utilizzo di HVO.
A parte il costo, quali sono le maggiori criticità che avete riscontrato nell’HVO?
Le problematiche sono prevalentemente due. La prima è dovuta alla rete di distribuzione, ma è un limite che si può superare nel tempo, così come è avvenuto per altri tipi di alimentazione: ricordo di quando c’era una sola stazione di servizio che erogava LNG a Piacenza, mentre oggi ce ne sono una novantina circa. Più complicato è risolvere il problema sollevato dall’Agenzia delle Dogane che, pur avendo riconosciuto all’HVO lo stesso trattamento del diesel tradizionale sotto il profilo fiscale, impone di non stoccarlo nella stessa cisterna del gasolio tradizionale e di avere libri di carico e scarico separati. La separazione dello stoccaggio è un problema soprattutto per le aziende più piccole della nostra, perché un’azienda di trasporto non può avere più di una cisterna fuori terra oltre i nove metri cubi e dunque non può ottenere un secondo serbatoio per l’HVO.
Quanto agli impianti, l’Eni ne dichiara 516, poi ci sono quelli di Q8 e di altri retisti. Quanti ce ne vorrebbero secondo lei?
Io penso che almeno il 20% degli impianti esistenti sul territorio dovrebbero poter fornire sin da subito il prodotto HVO, anche perché non c’è bisogno di investimenti particolari: gli impianti hanno già più serbatoi, basta aggiornare le licenze con questo prodotto che prevede lo stesso trattamento e le stesse procedure del diesel tradizionale.
Se l’Unione europea continuerà a escludere i biocarburanti dalle alimentazioni consentite dopo il 2035, lo scenario cambierà sostanzialmente. Come farete?
Intanto c’è da ricordare che il periodo di ammortamento di un veicolo per una flotta che vuole essere sostenibile non è di certo di 12 anni. Noi sostituiamo i mezzi ogni 3-4 anni, quindi abbiamo almeno tre turnover di parco veicolare da affrontare. È chiaro che il futuro sarà molto probabilmente l’elettrificazione, ma questo è un periodo di transizione e l’HVO è una buona soluzione da sfruttare, perché – anche volendo seguire le linee guida europee e aspettare l’elettrificazione entro il 2035 – è chiaro che ad oggi sappiamo di non essere pronti: i veicoli elettrici si contano sulla punta delle dita, perché non ce ne sono molti in produzione e la possibilità di alimentarli è molto bassa dato che la rete infrastrutturale italiana non consente attualmente di produrre energia green per rispondere al fabbisogno di un eventuale ampio parco veicolare da 440 quintali. Per questo ci muoviamo in diverse direzioni: guardando e investendo nell’elettrificazione, come indicano le linee guida del 2035, ma cercando di far comprendere che potrebbe non essere l’unica tecnologia valida. E, comunque, anche se questa possibilità non andrà in porto, sfrutteremo questo periodo per proseguire in modo significativo il nostro percorso di decarbonizzazione.
Com’è composto il vostro parco veicolare, dal punto di vista dell’alimentazione?
Abbiamo un parco miratoa seconda delle mission a cui è rivolto. È il risultato della valutazione che facciamo sull’impiego del veicolo e anche sulla situazione locale: se andiamo in una ZTL che riteniamo possa essere molto trafficata e con un’ampia concentrazione di persone, è importante abbattere le emissioni sul tank to wheel, quelle che emette direttamente il veicolo, quindi andiamo sull’elettrico. E fino a 35 quintali impieghiamo bio-CNG, biometano gassoso. Insomma la nostra flotta di ultimo miglio è prevalentemente elettrica e a biometano gassoso. Per alcune tipologie di lavoro, come il farmaceutico, addirittura, usiamo esclusivamente mezzi alimentati a biometano e elettrici. Poi, abbiamo la possibilità di usare, per la trazione media, il metano gassoso e, per quella pesante, sia il biometano che l’HVO, oltre ovviamente ad avere come base un parco veicolare giovane che ci consente di abbattere di molto le emissioni, soprattutto in confronto alla media del parco veicolare italiano.
Ma la committenza apprezza questo sforzo verso i veicoli e le alimentazioni a basso impatto ambientale?
Dipende dalla committenza: da quanto è sensibile alla sostenibilità ambientale e da quali sono gli obiettivi che vuole raggiungere. La nostra è una committenza – mi permetto di dire – primaria e quindi da una parte guarda in modo complessivo alla normativa sulle emissioni in diversi paesi, dall’altra ha interesse nel rendicontare le emissioni di CO2 per il bilancio di sostenibilità; per questo, proprio perché capisce il nostro sforzo, è più facile stabilire un rapporto di partnership e una progettualità comune sulla sostenibilità che in qualche modo spinge queste trazioni.
Non ci sono dati sulla diffusione dell’HVO. Secondo lei, sta prendendo piede oppure lo usano ancora solo alcuni trasportatori?
La sensazione è che al momento ci sono soltanto alcuni imprenditori che adoperano questa tecnologia, che però ha un grande potenziale e potrebbe avere una repentina espansione, soprattutto se fosse sostenuta dal governo e dalla committenza.