Veicoli - logistica - professione

HomeRubricheLegalmente parlandoLa richiesta illegittima di denaro per scaricare la merce è motivo lecito per recedere dal contratto

La richiesta illegittima di denaro per scaricare la merce è motivo lecito per recedere dal contratto

Secondo il Tribunale di Bologna, se i conducenti del vettore chiedono illegalmente in più di un'occasione una somma per scaricare la merce, il committente può risolvere il contratto senza preavviso, perché questa condotta compromette il rapporto di fiducia tra le due parti, anche se nel contratto non viene indicata come fattispecie di inadempimento

-

Oggi ci occupiamo del rapporto nel contratto di trasporto tra committente e vettore. La domanda è: può la committenza recedere dal contratto senza preavviso – fattispecie prevista dalle norme dell’accordo – e in casi di inadempienza non scritti nel patto? Ebbene, come vedremo, a certe condizioni la risposta è positiva o almeno è questa l’interpretazione del Tribunale di Bologna nella sentenza n.1642 del 4 agosto 2023.

LE RAGIONI DEL VETTORE

Un’azienda di trasporto merci per conto terzi, regolarmente iscritta all’Albo degli autotrasportatori, si era rivolta al Tribunale felsineo contro un’altra società che operava nel settore del trasporto veloce di merce pallettizzata. Quest’ultima, come committente, si impegnava nel luglio 2020 ad affidare alla prima, in qualità di vettore, il trasporto delle sue merci verso il pagamento di un corrispettivo predeterminato e valido in modo uniforme per tutti i futuri contratti di trasporto.
Da parte sua, il vettore si era impegnato a mantenere nella disponibilità del committente 3 automezzi, un numero sufficiente per eseguire con puntualità tutte le operazioni connesse al trasporto, come previsto dal contratto. La durata dell’accordo era stata fissata in un anno, a decorrere dalla data di sottoscrizione, salvo tacito rinnovo per uguale periodo. Inoltre, ciascuna parte poteva esercitare il diritto di recesso, ma dando un preavviso scritto non inferiore a 3 mesi, mediante raccomandata o PEC. Infine, erano state sottoscritte anche le condizioni al cui verificarsi la committenza avrebbe potuto risolvere il contratto senza alcun preavviso, mediante semplice comunicazione.
E dopo 8 mesi si verifica appunto quest’ultimo caso. La società committente comunica tramite PEC di voler recedere dal contratto con effetto immediato, giustificando questa decisione col fatto che alcuni autisti avevano richiesto del denaro per provvedere allo scarico della merce alla consegna. Ma questa circostanza – secondo l’azienda di autotrasporto – costituiva un recesso unilaterale e senza preavviso, circostanza non espressamente prevista nel contratto e quindi immotivata. Per cui rispondeva sempre via PEC che l’accordo era ancora vincolante per le parti e chiedeva l’immediato ripristino della propria posizione contrattuale, oltre al risarcimento dei danni conseguenti. Il vettore sospettava infatti che la motivazione del comportamento illecito dell’autista fosse una scusa per interrompere il rapporto arbitrariamente, tanto che gli autotrasportatori giudicati come responsabili della richiesta di denaro per scaricare la merce erano stati successivamente assunti come dipendenti dalla società che l’aveva sostituita nell’esecuzione del lavoro.
Per cui la richiesta al tribunale era di accertare l’illegittimità del recesso del committente, con l’automatico rinnovo del contratto di servizi per un altro anno, fino al giugno del 2022, chiedendo inoltre di essere rimborsata dai costi di gestione dei 3 automezzi di proprietà e dal mancato incasso di quasi 17.500 euro.

LA REPLICA DEL COMMITTENTE

Ovviamente il committente, costituitosi in giudizio, invocava la legittimità del recesso/risoluzione senza preavviso, perché giustificata da inaccettabili condotte inadempienti degli autisti del vettore che avevano gettato cattiva fama su tutti i soggetti aderenti al network di autotrasporto pallettizzato. In più, il contratto sottoscritto, secondo la società di pallet, non era da considerarsi appalto di servizi, ma semplicemente «un canovaccio propedeutico alla stipulazione di eventuali e futuri contratti di trasporto, a propria discrezionale iniziativa». Di conseguenza non vi era alcun obbligo da parte del vettore di vincolare o destinare specifici mezzi ai servizi contrattuali, ma solo di garantire la disponibilità di un numero adeguato di veicoli per eseguire i vari ordini di trasporto.
Per quanto poi riguarda la comunicazione del recesso, il committente ricordava che già nei mesi precedenti era stato segnalato al proprio ufficio operativo che gli autisti incaricati avevano richiesto un compenso al destinatario della spedizione per scaricare la merce. Tanto che il responsabile della filiale aveva contattato personalmente il cliente formulando le scuse del caso e poi convocato titolare e autista, segnalando l’intollerabilità della condotta. L’autista era stato poi allontanato, ma l’episodio si era verificato nuovamente con il suo sostituto. Da qui la PEC di recesso.
Il committente riteneva infine che fossero applicabili le normali regole in tema di risoluzione contrattuale, ovvero che i gravi inadempimenti contestati, oltre a minare il precedente rapporto fiduciario, giustificavano la risoluzione immediata. Chiedeva quindi il rigetto della domanda e contestava pure il fatto che il ricorrente avesse indicato volume di affari lordi, ma non avesse neppure indicato il margine di guadagno netto accreditabile.

LA DECISIONE

Il Tribunale di Bologna, investito della questione e soppesati i fatti, si è pronunciato a favore del committente. Vediamo le motivazioni, basate soprattutto su testimonianze che hanno confermato le richieste illecite di denaro degli autisti e gli argomenti del convenuto.
Innanzitutto nel contratto è indicata, come accennato, la durata annuale con decorrenza dalla data di sottoscrizione (01.07.2020), salvo tacito rinnovo per uguale periodo e il preavviso scritto di 3 mesi per il recesso. Ma all’art.12 del contratto si parla anche della risoluzione anticipata da parte del committente «mediante una semplice comunicazione senza preavviso» in tutta una serie di fattispecie (mancata esecuzione del servizio, ritardi di più di 90 minuti per oltre 4 volte nell’arco temporale di un mese, violazione delle norme igienico-sanitarie, ecc.). Quindi questa possibilità esiste.
Che poi episodi di richiesta illegittima di denaro all’atto della consegna della merce fossero avvenuti appare evidente al giudice. Lo afferma l’ex responsabile della filiale, citato dal committente, che conferma di aver convocato l’autista e il titolare dell’azienda di trasporto per spiegare quanto accaduto e chiedere l’allontanamento del conducente. Questo episodio è stato avvalorato anche da un impiegato della società committente con mansioni operative e da un’altra persona che aveva direttamente ricevuto la telefonata del titolare della ditta che parlava delle lamentele. Lo dimostra vieppiù la e-mail di protesta inviata dal destinatario della consegna al committente nell’episodio del secondo autista, in cui si chiede di chiarire la circostanza con il corriere, sottolineando come tale condotta si fosse verificata anche in una precedente occasione. Un altro testimone aveva poi riportato che l’autista, il giorno successivo alla denuncia, aveva predisposto una lettera di scuse da consegnare al destinatario della merce e a tal fine era stato convocato chiedendo di portare la busta allo stesso indirizzo dove aveva effettuato la consegna il giorno prima.
Quanto poi alla questione di come vada qualificata la comunicazione di recesso, secondo il Tribunale questa spiega in modo esauriente le ragioni per le quali il committente vuole interrompere il rapporto. La committenza, in altri termini, non ne vuole sapere di sopportare condotte gravi come quelle della richiesta di somme di denaro non dovute come condizione per procedere allo scarico/consegna della merce. Questi episodi – secondo la società di pallet – hanno compromesso il rapporto di fiducia e hanno potenzialmente danneggiato l’intero sistema organizzativo pallettizzato.
Quindi – afferma l’organo giudicante – non ci troviamo di fronte a un vero e proprio recesso, ma a una risoluzione ex art. 1453 cod. civ. (risoluzione del contratto per inadempimento), poiché è ben specificato nell’accordo che il compenso contrattuale è comprensivo del costo dello scarico della merce. Il richiamo del vettore ai casi specificatamente indicati nell’art. 12 non è pertinente, perché non si possono considerare esaustive solo le condotte di inadempimento scritte, escludendo l’applicazione della disciplina del Codice civile in materia di risoluzione.
Nel caso specifico, infatti, la valutazione va effettuata ai sensi dell’art. 1455 Cod. civ. (importanza dell’inadempimento). Il Tribunale dà insomma ragione al convenuto sul fatto che «i comportamenti reiterati, risultati ampiamente provati in corso di istruttoria, configurino un inadempimento grave atto a minare il rapporto fiduciario tra le parti e quindi a legittimare la volontà di interromperlo».

LE CONSEGUENZE

Tirando le somme: il pretendere una somma di denaro in più, anche piccola, rispetto a quanto già retribuito, è una condotta contraria ai rapporti committente-vettore stabiliti nel contratto e inoltre danneggia anche gli accordi contrattuali tra la venditrice e il destinatario della merce. Tutto questo logora e invalida non solo il rapporto tra le parti in causa, ma l’intera affidabilità del sistema organizzato e gestito dalla società di pallet, col rischio che i clienti si rivolgano ad altre aziende.
Il Tribunale ha dunque giudicato grave l’inadempimento e legittima la risoluzione, ritenendo che il vettore avrebbe dovuto controllare con maggiore scrupolo la condotta dei propri autisti, «preservandone la legittimità e impartendo chiare istruzioni circa il divieto di pretese economiche nei confronti dei destinatari della merce».
La domanda dell’azienda di trasporto è stata di conseguenza rigettata e le spese di giudizio accollate al ricorrente. Inoltre, il committente ha ricevuto circa 14.000 euro come rifusione dei danni di immagine subiti.

close-link