I quaderni del Freight Leaders Council (FLC) sono un po’ uno specchio dell’Italia dei trasporti. Anche perché restituiscono il riflesso della sua stasi, della sua difficoltà a modernizzarsi, scardinandosi dalle tradizioni più passatiste e dalle rendite di posizione soggettive. Prova ne sia che quaderni realizzati dieci o venti anni fa si dimostrano a lunghissima conservazione: a dispetto del tempo che passa, difendono intatto il loro valore.
Un destino a cui forse non sfuggirà nemmeno l’ultimo quaderno, il numero 31, presentato all’università di Trieste lo scorso 19 ottobre. Si capisce tutto già dal titolo: «Multimodalità: più efficienza, meno costi, maggiore velocità di consegna». Esattamente ciò a cui il nostro paese agognerebbe da decenni e che invece fatica a concretizzare, malgrado abbia in teoria tutti gli strumenti per farlo. Come spesso gli capita di fare nelle sue lucide presentazioni, Massimo Marciani, presidente del FLC, è partito dal dato da cui dovrebbe scaturire tutta le potenzialità della nostra logistica e che invece rimane sempre inespressa. Quello cioè che quantifica in un 30% la percentuale del nostro Pil che viene generato da un flusso bidirezionale, che da una parte importa materie prime e dall’altra esporta prodotti finiti. A ben vedere – ha spiegato Marciani – si tratta di un gigante dai piedi di argilla, tanto che non a caso «la banca mondiale ci assegna appena il 19° posto nella classifica stilata sulla base dell’indice di performance logistica». Un posto di retroguardia, un indice di debolezza congenita di un sistema sulla carta vale tanto, ma è straordinariamente sbilanciato. A proposito del valore, Marciani ha ricordato come per mettere insieme quel 30% servono – sono dati Polimi – «5 milioni di aziende, che generano una domanda di servizi conto terzi di 50 miliardi l’anno». Lo squilibrio invece lo fotografa il Conto Nazionale Trasporti, quando, rispetto alla distribuzione modale, stila un’altra classifica in cui oggi – come ieri – primeggia la gomma con l’87,8% della torta, seguita dal cabotaggio marittimo all’8,8%, la ferrovia al 3,2% e l’aereo allo 0,2%. Anche se Marciani, da uomo di numeri, ha invitato a non farsi ingannare dai numeri, perché «a quello 0,2% del cargo aereo corrisponde un 40% del valore. Nel senso cioè che quanto muove questa modalità pesa poco, ma vale tanto». E parliamo per lo più di prodotti farmaceutici o di agroalimentare di qualità.
Ma i quaderni del FLC sono concepiti non tanto per fotografare, ma per cercare di cambiare le cose. Ed ecco che a tale scopo, per esempio, è interessante sapere che il 13% dell’export si muove su gomma e include quel segmento definito «aviocamionato» «facilmente aggredibile – ha constato Marciani –in termini di multimodalità».
Una logistica appoggiata alle autostrade
Così come è importante scoprire che oggi – ha continuato il presidente – «il 90% dei viaggi stradali percorre meno di 300 chilometri e l’80% meno di 200. Questo non per dire che l’intermodalità è impossibile, ma per significare che fino a oggi lo sviluppo del paese ha ruotato attorno alle autostrade, al tutto gomma, perché in questo modo si rincorreva la soluzione di movimentazione più semplice». Vale a dire quella che concepisce uno spostamento lineare da un punto A a un punto B.
Le opportunità del PNRR
Ma il vero fattore in grado di fornire potenzialmente uno scossone a questo stato di cose è il PNRR, perché all’interno di questo strumento con cui finanziare progetti di sviluppo, ci sono pure 24-25 miliardi da investire sulla rete ferroviaria e quindi – ha esemplificato Marciani – per realizzare quelle cose che in genere nei convegni si scrivono nel libro dei sogni, vale a dire «incrementare la capacità del sistema, stappare i colli di bottiglia, concedersi la possibilità di fare treni da 750 metri».
Ma se non si vogliono vanificare queste opere è necessario – secondo Marciani – trovare una loro economicità in un’azione congiunta, in grado cioè non soltanto di agire sulla domanda, ma di adeguare anche l’offerta, «perché se questa non comprende la necessità di movimentare le merci in modo diverso, se non capisce le conseguenze penalizzanti del franco fabbrica, se sul mercato non ci sono operatori multimodali in grado di offrire soluzioni differenti rispetto a quelle che concepiscono una movimentazione dal “punto A al punto B”, non ci sarà mai un’evoluzione».
La standardizzazione digitale necessaria
Quindi, lo sforzo è di lavorare in termini di ecosistema, di mettere da parte le contrapposizioni tra modalità di trasporto e interne alle stesse modalità, per creare una concreta integrazione. Gli incentivi economici, come ha sostenuto la Corte dei Conti dell’Unione Europea, non sono stati sufficienti e quindi serve cambiare il punto di vista e coinvolgere tutta la filiera, compreso chi produce le merci e chi le consuma. A tal fine servono alcuni passi decisivi. «Il primo – secondo il numero uno del FLC – è la standardizzazione. In quanto serve entrare in una logica di standard non soltanto rispetto alle unità di carico fisiche, ma relativamente alla parte digitale». Marciani ha spiegato che l’ecosistema ha una parte hardware e una software; nella prima ci sono gli hub di tipo fisico (porti interporti, terminal, autostrade, ecc), mentre la seconda è composta, per esempio, dalla dotazione del 5G («senza il quale alcuni servizi sono inibiti») o dalla creazione di una piattaforma logistica nazionale. In pratica, con sforzo esemplificativo, Marciani ha parlato della necessità di dare vita a un «google delle merci», a uno strumento che offra un quadro di tutte le potenzialità ottimali di spostamento delle merci soltanto introducendo luogo di partenza e quello di destinazione. Ma a questo scopo – ha ribadito – «è necessario che ognuno rinunci a un pezzetto di ego, perché quello che ha inibito lo sviluppo della logistica in Italia è stato l’ego smisurato di chi cerca più la prevaricazione che l’integrazione».
Piccolo è bello? Non più!
Poi, ricordando che anche il software presenta una parte fisica e una digitale, Marciani ha invitato tutte le associazioni di categoria – in qualche modo incluse nella prima – a cercare di far comprendere ai propri associati che piccolo non è più bello, che non è possibile avere 32 mila aziende con due veicoli, ma soprattutto che bisogna trovare la forza per creare un campione nazionale della logistica, facendo leva su quegli aggregatori di domanda e di finanza in grado di mettere a disposizione dell’industria nazionale – di quel 30% di movimentazioni verso l’estero – un sistema che funzioni, che assecondi la domanda dell’industria. E a questo scopo è necessario lavorare di aggregazione e individuare tutti gli strumenti e gli incentivi per favorirla.
Una digitalizzazione sistemica
Poi, rispetto alla parte digitale del software, Marciani ha sottolineato come sia necessario ai fini dell’efficientamento del sistema riuscire a digitalizzarlo. Un lavoro delicato, che si porta dietro tutto il tema legato alla sicurezza informatica. A tal riguardo il presidente ha ricordato come in una delle misure del PNRR che il ministero delle Infrastrutture sta lanciando ci sia pure un’importante opera di digitalizzazione. «Mi auguro che non si vada a dividere l’importo complessivo dell’intervento per il numero totale dei destinatari, ma che la si faccia in modo sistemico, individuando delle priorità per singola filiera, arrivando così, tramite questo strumento, a gestire un sistema multimodale capace di contenere le emissioni, di riequilibrare la distribuzione modale e di incrementare la competitività del sistema italiano sui mercati internazionali».
Altrimenti il rischio è che anche questo oculato Quaderno 31 rifletta l’immagine di un’Italia che poteva essere e che non è mai riuscita a diventare.
È possibile scaricare il Quaderno 31 all’indirizzo https://www.freightleaders.org/i-quaderni/