Il punto sulla riforma della legge 240, il bilanciamento tra trasporto ferroviario e stradale, lo “spontaneismo” logistico dei grandi player internazionali e i problemi che ne possono derivare. Sono i principali argomenti di cui si è discusso venerdì scorso al convegno annuale di UIR – Unione Interporti Riuniti – «Interporti al centro», organizzato quest’anno a Parma con l’Interporto Cepim.
Dopo i saluti delle autorità, Matteo Gasparato, presidente di UIR, ha voluto innanzitutto riassumere le cifre dell’Unione: 26 interporti, con oltre 32 milioni di mq di aree per la logistica, 5 milioni di mq di magazzini, 50.000 treni operati /annui e oltre 65 milioni di ton di merci, equivalenti a 2 milioni di TEU. «Nel 2022 – ha ricordato – abbiamo anzi raggiunto i 70 milioni di ton di merce movimentata, il che dimostra che il nostro settore è vitale ed essenziale per continuare a far muovere le merci nel Paese. Inoltre, gli interporti sono attori protagonisti della transizione energetica e per raggiungere i target nazionali sulla decarbonizzazione, come operatori dello sviluppo dell’intermodalità e per i benefici di efficientamento energetico che ne derivano».
Restano comunque alcuni problemi urgenti da affrontare, che sono stati riassunti in una tavola rotonda moderata dal giornalista del Corriere della Sera, Dario De Vico. Primo fra tutti: la riforma della ormai vetusta legge 240 del 1990. «La buona notizia – ha annunciato Gianpaolo Serpagli, presidente di Cepim – è che la nuova legge è già stata incanalata in Parlamento da inizio legislatura e se ne sta discutendo, per cui siamo moderatamente ottimisti che possa finalmente vedere la luce dopo anni di imperdonabili ritardi». A questo riguardo Gianfranco De Angelis del ministero dei Trasporti ha rivelato che alcuni degli articoli della legge verranno probabilmente inseriti nel prossimo Decreto Infrastrutture.
C’è poi la cronica questione delle infrastrutture insufficienti, non solo ferroviarie, ma anche stradali: «In Italia purtroppo si fanno delle scelte che poi non si portano fino in fondo – ha rimarcato Cesare Azzali, direttore dell’’Unione Parmense degli industriali – Mancano le opere ferroviarie e pure le autostrade non sono più capaci di reggere il traffico merci. L’obiettivo di portare entro il 2030 il 30% delle merci su ferro mi pare difficile da raggiungere, considerando pure i tempi lunghi con cui le reti ferroviarie vengono potenziate. Nel frattempo occorre quindi adeguare i collegamenti via gomma per garantire la competitività delle nostre aziende».
In seguito la discussione si è spostata sul fenomeno dello spontaneismo logistico dei grandi player nazionali ed internazionali, ovvero di come Amazon, Barilla, Eridania e altre grosse realtà realizzino per le loro attività binari e centri logistici, in accordo con i piccoli Comuni, ma al di fuori dei Poli logistici pubblici. Un fenomeno che, nelle parole dei partecipanti al dibattito, va gestito e regolamentato, in modo da non sovraccaricare alcune zone di strutture industriali o di suscitare campanilismi e lotte tra Comuni.
Marcello Di Caterina, vicepresidente di Alis, una realtà che vede 2.200 iscritti con 74 miliardi di fatturato annuo, si è invece soffermato sui risultati di sostenibilità ambientale del lavoro degli interporti: «Ricordiamoci sempre – ha detto – che la logistica ‘intelligente’ porta a un risparmio per le famiglie di oltre 7 miliardi di euro all’anno, con un minor consumo di 5 milioni di CO2 e 5 milioni di camion sottratti al traffico stradale. Siamo strutture di interesse pubblico che lavorano anche per la comunità».
Infine Mario Sommariva, presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mar Ligure Orientale, ha spostato il discorso sul tema dell’organizzazione dei servizi: «Molte questioni potrebbero essere risolte con l’innovazione tecnologica – ha sottolineato – come per esempio l’organizzazione dei traffici stradali in modo che i camion non viaggino vuoti. Invece è un tema di cui si parla troppo poco. Sono invece ottimista sulla situazione dei porti. A La Spezia lo spostamento del traffico su ferro è una realtà, siamo al 32%. E il lavoro che abbiamo fatto sul porto di Trieste ha prodotto benefici per tutti».