Il caso di cui parliamo oggi riguarda un tipo di trasporto specifico, quello dei rifiuti. La domanda è se per questo tipo di attività si possa utilizzare un mezzo di trasporto diverso da quello comunicato e se, nel caso, si rischi una sanzione. Vedremo come prima il Tribunale di Ancona e poi la Cassazione Penale (con sentenza n. 13310 del 30 marzo 2023) abbiano esclusa la possibilità di usare un veicolo differente.
IL FATTO
La vicenda ha inizio con una decisione del 24 febbraio 2022 del Tribunale di Ancona. L’organo giudiziario aveva condannato la titolare di una ditta che effettua trasporto rifiuti perché, in totale assenza di “FIR – Formulario identificazione rifiuti”, aveva smaltito apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso dell’impresa e le aveva conferite a una società che, pur essendo iscritta all’Albo nazionale gestori ambientali, aveva usato per il recupero e il trasporto un veicolo non autorizzato e non iscritto all’Albo nazionale dei Trasportatori.
L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza. Tra l’altro si contestava il conferimento sul mezzo non autorizzato né iscritto all’Albo, perché le aziende coinvolte risultavano accreditate al trasporto e allo smaltimento di rifiuti. Nel caso di specie, quindi, l’antigiuridicità della condotta avrebbe dovuto essere circoscritta al solo uso del veicolo. Ma, secondo la difesa dell’azienda, non sussiste nemmeno alcun obbligo del conferente di verificare se il mezzo di trasporto sia o meno autorizzato. La diligenza del conferente si dovrebbe cioè limitare all’acquisizione delle informazioni che sono ottenibili dal FIR debitamente compilato e nemmeno sarebbe necessario specificare che il mezzo sia autorizzato al trasporto e iscritto nell’albo, essendo al contrario sufficiente indicare la targa e il rimorchio usati per il trasporto del rifiuto, il cognome e nome del conducente del mezzo, la data e l’orario dell’inizio del trasporto. Ogni responsabilità penale derivante dal mezzo di trasporto impiegato, quindi, non può che ricadere secondo la difesa esclusivamente sul trasportatore e non anche sul conferente.
LA DECISIONE
La Cassazione, pur accettando parzialmente le obiezioni della imprenditrice, ha però sostanzialmente confermato la sentenza del Tribunale marchigiano. È infatti vero – dice la Corte – che l’art. 193 (Trasporto dei rifiuti) del d.lgs. n. 152 del 2006, nella versione antecedente al d.lgs. n. 116 del 2020, disponeva che il trasporto dei rifiuti, eseguito da enti o imprese, fosse accompagnato da un FIR, dal quale devono risultare nome e indirizzo del produttore e del detentore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell’instradamento; nome e indirizzo del destinatario. FIR che deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore che in tal modo dà atto di aver ricevuto i rifiuti. Però un decreto del ministro dell’Ambiente (1° aprile 1998, n. 145), all’art. 12 comma 3 prevede che, nella domanda di iscrizione all’Albo dei gestori ambientali, le imprese intenzionate a svolgere attività di trasporto di rifiuti alleghino, tra l’altro, copia autentica della carta di circolazione dei mezzi di trasporto impiegati, documentazione attestante la loro disponibilità da parte del richiedente ed una perizia giurata, redatta da un professionista iscritto all’albo (ingegnere, chimico o medico igienista), che attesti l’idoneità dei mezzi stessi in relazione ai rifiuti da trasportare. A norma del successivo art. 15, nel caso di eventuali nuovi mezzi di trasporto utilizzati dopo l’iscrizione, le imprese hanno l’obbligo di comunicarli alle sezioni regionali o provinciali entro trenta giorni. Anche il nuovo regolamento del 2014, n. 120, conferma sostanzialmente questa impostazione, sostituendo soltanto al professionista il responsabile tecnico dell’impresa o dell’ente.
Un successivo decreto ministeriale (n. 140 del 2014) è ancora più specifico, assegnando alle imprese e agli enti il termine di trenta giorni per comunicare alla sezione regionale o provinciale competente «ogni atto o fatto che comporti modifica dell’iscrizione all’Albo», specificando che, nel caso di variazione per incremento della dotazione dei veicoli, le imprese, ai fini dell’immediata utilizzazione dei veicoli stessi, alleghino alla comunicazione di variazione una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. «Quest’ultima disposizione – sottolinea la Cassazione – non contemplata nel d.m. n. 406 del 1998, ha l’effetto di consentire l’immediato utilizzo dei nuovi veicoli prima che l’autorità preposta deliberi sulla variazione».
LE CONSEGUENZE
La Cassazione constata quindi che dalla disciplina regolamentare – vigente al momento dei fatti e successivamente confermata – è chiaro che l’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali per le imprese che effettuano trasporto di rifiuti abilita allo svolgimento dell’attività soltanto con i mezzi di trasporto oggetto di specifica comunicazione. Pertanto, nel caso di impiego di un mezzo di trasporto diverso da quello comunicato, è configurabile il reato di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto il soggetto effettua un’attività in carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per le iscrizioni o comunicazioni. Inoltre, poiché dal FIR stesso emerge che il conferente ha l’onere di verificare la targa del mezzo di trasporto, ne deriva che ha anche l’onere di verificare che quest’ultimo sia tra i mezzi indicati nell’autorizzazione.
In altri termini, il tribunale anconetano si sbaglia in ordine all’autorizzazione al trasporto e allo smaltimento di rifiuti, perché entrambe le aziende sono regolarmente iscritte all’Albo, ma ha ragione sulla condotta antigiuridica dell’uso di un mezzo non autorizzato né iscritto all’Albo. Il fatto è quindi punibile non ai sensi del comma 1 dell’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, ma del comma 4. La sentenza del Tribunale va quindi annullata senza rinvio e la nuova pena sarà di 750 euro di ammenda, sicuramente inferiore a quella proposta nella sentenza di primo grado (3.000 euro).
Una sentenza, dunque, parzialmente favorevole alla ricorrente, quantomeno dal lato economico. Ma a noi interessa il principio da essa fissato e cioè che, se nel trasporto rifiuti si impiega un mezzo di trasporto diverso da quello comunicato, si commette un reato, in quanto «attività carente dei requisiti e delle condizioni richieste per le iscrizioni o comunicazioni». Per cui se trasportate rifiuti, fate attenzione di farlo sempre con i mezzi giusti e comunicati.