Marc Martinez è diretto e privo di fronzoli. È in Italia da pochi mesi in veste di Ceo di MAN Truck & Bus Italia, ma ha già studiato e analizzato da vicino il mercato. D’altra parte, sembra una sorta di uomo della provvidenza, il manager a cui MAN ha affidato l’impegnativa missione di riconquistare nella penisola una penetrazione adeguata. Partiamo allora da qui.
La quota di mercato in Italia non rende giustizia a MAN. Che livello dovrebbe raggiungere affinché possa dirsi soddisfatto?
In condizioni normali il nostro marchio in Europa raggiunge il 16-17% di quota. Quindi non vedo perché in un mercato chiave come l’Italia non possa ambire ad almeno il 10%. Gli ultimi due anni, però, non sono stati normali: come marchio siamo stati pesantemente condizionati prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, dove erano presenti i nostri principali fornitori di cablaggi. Quando questi stabilimenti sono stati chiusi la nostra produzione è stata costretta a fermarsi per sei settimane. Quindi, non serve girarci intorno: la principale giustificazione delle nostre cattive performance nel 2022 è stata l’assenza di prodotto e le nostre quote sono la fotografia della nostra difficoltà a consegnare veicoli. Anche per il 2023 la produzione sarà in parte contingentata e per il mercato italiano potremo fare affidamento soltanto su un certo numero di veicoli. Ma se avremo il prodotto sono certo che raggiungeremo gli obiettivi prefissati, anche perché abbiamo posto le basi per crescere e abbiamo bisogno di garantire profittabilità a tutta l’organizzazione. Al momento attuale, infatti, il nostro parco circolante è uno di quelli con il minor numero di veicoli. Di conseguenza per dare profitti all’intera rete bisogna incrementare il quantitativo di veicoli immatricolati ogni anno. E il 10% è il livello minimo per farla respirare e per rendere il marchio visibile sul mercato.
A proposito di rete, crede che per il mercato italiano sia preferibile una presenza diretta della casa madre o una gestione di dealer privati?
Ho avuto un’esperienza sia nel mercato polacco, dove la rete è gestita da casa madre, sia su quello francese, dove c’è un mix tra retail diretto e concessionari privati. E ho capito che non esiste un modello vincente a priori, ma va sempre riferito alla cultura, all’organizzazione, al territorio in cui si lavora. Per l’Italia credo che l’attuale bilanciamento – con il 60% di rete di vendita diretta e il 40% di rete privata – sia ottimale. In ogni caso è necessario aiutare i nostri concessionari a crescere e lo stiamo facendo fornendo loro una serie di supporti affinché possano diventare abbastanza grandi da competere sul mercato.
Come si fa a far percepire alla clientela una maggiore prossimità del vostro marchio?
Ci vuole copertura del territorio. Il mercato italiano a livello imprenditoriale è molto frammentato e quindi, per raggiungerlo, è necessario essere capillari. Cosa che in passato non siamo riusciti a fare perché prima dell’86 c’era un importatore e dopo, quando è arrivata MAN in prima persona, ha adottato strategie non sempre adatte al contesto locale. Ma adesso siamo in una fase diversa: una delle prime cose che ho notato in questi mesi girando all’interno della rete è stata la voglia di tanti dealer di investire sul marchio e di rinnovare la propria attività. E noi li sosterremo nel raggiungere gli obiettivi e nell’ottenere ritorni. Però se in zone strategiche non si trovano imprenditori, allora entrano in azione i MAN Center. Negli ultimi anni ne abbiamo aperti sette, un ottavo taglierà il nastro ad aprile a Torino e poi inaugureremo un nuovo centro dell’usato a Piacenza, con una struttura più grande rispetto all’attuale e con servizi più efficaci. Infine, un’ulteriore dimostrazione della volontà di MAN di investire sul mercato italiano viene dalla decisione di trasferire la nostra sede nel quartier generale di Volkswagen Italia a partire dalla prossima estate.
Quale vorrebbe che fosse l’immagine di MAN percepita dai trasportatori?
Da sempre lo slogan di MAN è «Simply Business», perché ci siamo posti, come elemento distintivo rispetto agli altri costruttori, quello di permettere ai nostri clienti di gestire il loro business in maniera semplice. Per ottenere questo risultato abbiamo introdotto, anche nelle nostre officine, processi di assistenza lineari e snelli, con pratiche che permettono al cliente di avere servizi in modo più celere ed efficace. Un esempio in tal senso è il MAN Service Car che è una manutenzione predittiva, con cui il cliente è continuamente aggiornato sulle attività da effettuare sul camion così da poter prendere appuntamento nei momenti più opportuni in relazione al suo lavoro. Nei prossimi cinque anni, poi, investiremo tantissimo nella digitalizzazione e svilupperemo altri servizi mirati a rendere più leggera la gestione del veicolo.
Questi investimenti comprendono anche la guida autonoma?
MAN sta investendo sulla guida autonoma in maniera molto forte perché è convinta che farà fare al settore un autentico salto in avanti. E fornirà risposte a quella criticità costituita dalla mancanza di ben 400 mila autisti in tutta Europa.
Molti costruttori di veicoli pesanti hanno lanciato versioni elettriche dei propri mezzi. MAN ci arriverà tra non molto. Cosa proporrà il vostro e-Truck di diverso rispetto a quanto già visto?
Abbiamo già avuto esperienze su van e bus elettrici, mentre per i camion abbiamo testato prototipi impegnati in missioni operative già dal 2018. È vero, l’e-Truck entrerà in produzione di serie nel 2024, ma non per questo ci sentiamo in ritardo. Perché, è il mercato che definisce la domanda di determinati veicoli. E oggi questa domanda è sporadica, frenata dalla mancanza di infrastrutture di ricarica. Non è un caso se Traton, Daimler e Volvo hanno costituito una joint venture per installare in tutta Europa un alto – seppure insufficiente – numero di colonnine. La nostra diversità sta nell’aver lavorato per rimuovere, soprattutto nel lungo raggio, i due fattori maggiormente critici per gli operatori, vale a dire autonomia e tempi di ricarica. Ecco perché insieme all’e-Truck abbiamo presentato con cinque partner, il progetto Nefton, per sviluppare il Megawatt Charging System e mettere in condizione il trasportatore di ripristinare l’autonomia necessaria per giungere a destinazione in modo molto rapido.
L’idrogeno, invece, vi suscita scetticismo?
Lo scetticismo – come ha dichiarato in più occasioni il CEO di MAN Truck & Bus, Alexander Vlaskamp – è dovuto soprattutto al rendimento: nel ciclo completo «dalla produzione alla ruota» i costi delle fuel cell a idrogeno sono tre volte superiori rispetto alle batterie. Certo, i prezzi sono fluttuanti, ma è improbabile che possano scendere in pochi anni a un livello tale da rendere attrattiva questa soluzione.
Quando un mercato vive una transizione si creano spazi per l’ingresso di nuovi attori. È quanto ci dobbiamo attendere anche nel mondo dei camion?
In generale direi: «Mai dire mai». Rispetto al medio periodo, però, non credo sia possibile, soprattutto perché per entrare in questo mercato servono investimenti pluriennali sulla rete di distribuzione. E poi, tendo a pensare che se in cento anni il mercato del veicolo pesante è stato animato da otto costruttori – numero molto inferiore a quello registrato nel mondo delle vetture e dei bus – forse è il sintomo che non è così tanto attrattivo.
Il parco veicolare italiano è vetusto e molto inquinante. Se la sente di dare ai decisori politici tre consigli su come ringiovanirlo?
Il primo consiglio è di investire in modo importante sul rinnovo del parco, come peraltro stanno facendo altrove in Europa, ma non in Italia. Il secondo è quello di individuare un sistema di disincentivi, di forme di penalità per chi ha veicoli inquinanti. Il terzo è di concedere un sostegno finanziario a chi intende investire in stazioni di ricarica, senza le quali non ci sarà transizione. È però necessario che queste misure siano messe in campo in modo parallelo, perché altrimenti potrebbero non avere gli effetti sperati.