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Più volte ho parlato in questa rubrica dei nuovi obblighi per gli amministratori e gli imprenditori in genere, previsti dalla normativa sulla crisi d’impresa e dall’art. 2086 del codice civile. E di come gli amministratori devono garantire la continuità della propria azienda, intercettando indizi di crisi per sventare tempestivamente ogni pericolo. Per fare questo, però, gli amministratori devono dotare l’azienda di adeguati assetti amministrativi, organizzativi e contabili.
Uno dei principali indicatori che ogni amministratore deve conoscere nella propria azienda è il cosiddetto margine di contribuzione, ovvero il margine che contribuisce a coprire i costi fissi dell’azienda. Questo margine è pari alla differenza tra ricavi e costi variabili. Si tratta di uno strumento molto utile non solo per la diagnosi ma anche per la programmazione. Per esempio, viene utilizzato per fissare il pricing dei propri prodotti e servizi. Partendo dall’utile desiderato, conoscendo i costi fissi e l’incidenza media dei costi variabili sul fatturato, è possibile individuare il fatturato target da raggiungere nel complesso o per ciascun prodotto/servizio.
Questa continua ricerca del rendimento e dell’abbattimento dei costi fissi, però, non deve degenerare compromettendo l’autenticità dei rapporti di lavoro. Quante volte avete pensato di affidare un’attività a una ditta o a un professionista esterni? L’outsourcing, come viene definito, permette infatti di trasformare costi fissi in costi variabili e di aumentate il margine di contribuzione. Attenzione, però, alle false partite Iva! Mi riferisco a lavoratori inquadrati con partita iva ma che, in realtà, di autonomo hanno ben poco. Per esternalizzare un’attività, dobbiamo capire quali rischi corriamo, partendo innanzitutto dal conoscere bene cosa si intende per lavoratore dipendente.
Il lavoratore dipendente è chi lavora alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore ed è, pertanto, soggetto al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro. Gli indizi di lavoro subordinato sono la retribuzione fissa e ripetitiva, il dover rispettare un orario di lavoro, la necessità di richiedere i permessi e di giustificare le assenze. La Legge stabilisce alcuni indicatori spia che segnalano l’esistenza di lavoro subordinato.
È lavoro subordinato quando si verificano almeno due dei seguenti tre requisiti:
- temporale: la collaborazione dura più 241 giorni, anche non consecutivi, in due anni;
- fatturato: l’80% dei compensi ottenuti dal lavoratore in due esercizi consecutivi derivano dallo stesso committente;
- organizzativo: il lavoratore ha una postazione fissa presso una delle sedi del committente, e deve rispettare gli orari d’ufficio stabiliti.
Se si realizzano due di questi tre requisiti, spetta al datore di lavoro dimostrare il contrario. In assenza di prova contraria, il rapporto di lavoro autonomo con partita Iva viene riqualificato d’ufficio come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. E le sanzioni sono tutte a carico dell’azienda.
Sono esclusi da queste presunzioni e, quindi, non corrono questo rischio:
- i professionisti iscritti all’albo;
- gli agenti di commercio;
- i lavoratori che svolgono collaborazioni con associazioni, come quelle sportive dilettantistiche;
- i collaboratori delle Pubbliche Amministrazioni;
- amministratori e sindaci di società;
- chi percepisce pensione di vecchiaia.