La carenza di autisti è figlia della demografia e della costante diminuzione della popolazione. Fino a prima del Covid avevamo in Italia 1,7 persone per ogni posto di lavoro, oggi arriviamo poco sopra l’1,3. Perché nel frattempo siamo diventati 59 milioni dai più di 60 che eravamo e perché gli under 30 residenti all’estero sono più di 1,8 milioni. Normale che, accorciandosi la coperta, rimangano aree scoperte. Si dirà: però di web designer se ne trovano tanti. Ed è vero, ma di camerieri disposti a lavorare il fine settimana o di personale sanitario c’è grave mancanza. Soltanto di infermieri si stima ne manchino 250 mila.
Verrebbe da dedurne che quando si rimane in meno c’è la corsa a spostarsi dove si sta più comodi. E gli autisti di camion svolgono una professione poco comoda. Anzi, penso sia più questa la ragione della distanza dei giovani dalla professione, che non le basse retribuzioni e che nella testa di chi valuta di accedere nel settore (non di chi vi è già dentro), tra il poco percepito e il troppo lavorato è questo secondo aspetto a scoraggiare. A maggior ragione se si aggiunge che questo troppo, spesso, si consuma in contesti inadeguati.
Per capirci faccio un esempio concreto. Tempo fa mi scrisse Alessandro, autista deciso a cambiare lavoro perché percepiva solo 2.400 euro. Qualcuno, osservando dall’esterno, potrebbe obiettare che è una bella cifra, superiore a quella che percepisce personalmente. Cosa altamente probabile, visto che in Italia la retribuzione media viaggia sui 1.600 euro al mese (per 13 mesi). E parliamo di retribuzioni da lavoro dipendente, quello che per tanti giovani è una chimera, visto che il 33,3% degli under 35 vive una «elevata discontinuità lavorativa». Cioè, è precario.
Dall’interno, però, Alessandro puntualizzava che in media ogni mese aveva 340 ore di impegno e quindi per ogni ora gli arrivavano in tasca 7 euro. Quindi, aveva tutte le ragioni per pensare di essere pagato poco.
Allora mi chiedo: non c’è un modo per smussare quelle oggettivamente troppe 340 ore? Anche qui, riferisco un episodio. Un’azienda pugliese era in difficoltà nel trovare autisti per distribuire prodotti alimentari nel Centro-Nord, lavoro in cui si parte la domenica sera e si torna il venerdì. Senonché un giorno, con altre aziende del territorio con cui condivide la stessa difficoltà, trova chi attiva un treno per collegare Puglia ed Emilia. Così, il lavoro richiesto agli autisti diventa di ritirare in più punti le merci e di portare il semirimorchio nel terminal ferroviario. In genere la sera si dorme a casa. In questo modo, tempo due mesi l’azienda lacunosa di personale riceve tante candidature e seleziona gli autisti di cui aveva bisogno.
È un episodio, certo, riferito a un contesto e non sempre esportabile, ma aiuta a capire che, rispetto al punto di vista di chi guarda da fuori questo settore, una simile organizzazione minimizza il capitolo «disagi» e, quindi, i freni all’accesso. Detto più chiaramente: i giovani non salgano su un camion perché non sono attirati dalla prospettiva di stare lontano da casa per tanto tempo, dal trascorrere serate in un’area di servizio priva di docce e servizi decenti e lunghe ore in attesa di farsi caricare, accumulando frustrazione e alienazione.
Se vogliamo attirarne qualcuno, proviamo a organizzare le giornate degli autisti in modo più umano (suggerimenti ne trovate a p.44, nel modo con cui la Chiggiato Spa tratta i suoi autisti), a rimuovere i tappi che ci impediscono di spingere sull’intermodale (vale a dire terminare le gallerie per il transito dei semirimorchi P400 sulla dorsale tirrenica), a cancellare quel vergognoso rapporto secondo cui in Italia c’è uno stallo per ogni 289 camion in circolazione. Ma soprattutto eliminiamo quelle 4,35 ore di attesa media che un autista rimane al carico: nell’era della digitalizzazione, del tracciamento, della connettività e dell’intelligenza artificiale non possiamo permetterci il lusso di frenare la produttività di migliaia di imprese e dell’economia nazionale soltanto perché altre non hanno conseguenze.
Ecco allora un quesito per il nuovo vecchio tavolo dell’autotrasporto: invece di buttare soldi per finanziare patenti, perché non copiamo la legge spagnola che sanziona con 6.000 euro chi fa attendere un camion più di un’ora? Magari, invece di spendere, incassiamo qualcosa.