In principio erano Polonia e Italia a cui si è aggiunto il sostegno – significativo – della Germania e quello della Bulgaria. Ma adesso il gruppo dei paesi favorevoli a frenare su alcune politiche ambientali non soltanto cresce di numero, ma investe anche altre problematiche in qualche modo collaterali. La cosa è apparsa abbastanza evidente ieri, quando a margine della seduta plenaria del parlamento europeo a Strasburgo, si è tenuto un vertice a cui hanno partecipato i ministri dei Trasporti di tutti i paesi scettici, come ormai vengono definiti quelli che vorrebbero relativizzare un futuro «tutto elettrico» al 2035, per timore di subire una supremazia tecnologica cinese. Ebbene, al vertice non soltanto hanno partecipato otto paesi (oltre all’Italia anche Germania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria), anche se il potenziale del gruppo potrebbe arrivare a dodici (con il sostegno di Spagna, Finlandia, Portogallo e Slovenia, mentre la Francia assume un atteggiamento ondivago, dovuto alla sua maggiore capacità produttiva di elettricità generata con centrali nucleari), ma soprattutto all’ordine del giorno c’era un tema sempre legato al mondo dei veicoli: i nuovi standard Euro 7. E tutti si sono detti contrari.
La posizione espressa da Salvini
Per l’Italia c’era il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, che ha chiesto – in linea con il gruppo dei partecipanti – una revisione degli standard, specificando senza mezzi termini che «il governo italiano è fortemente contrario al regolamento su Euro 7», così come era contrario «al dossier CO2 per veicoli leggeri e pesanti, a meno che non rientrino i biocarburanti e i sintetici e-fuel».
Anche stamattina, rispondendo alle domande di Radio24, il ministro ha chiarito che «non esiste un partito degli ambientalisti e uno degli inquinatori; esistono soltanto posizioni di buon senso».
Cosa sono gli standard euro 7
Gli Euro 7 prevedono standard di emissioni allineati sia per i motori alimentati a benzina che per quelli diesel, con un abbattimento degli ossidi di azoto (NOx) del -35% rispetto alle attuali norme in vigore, passando quindi da 80 a 60 mg/km, mentre il particolato dovrebbe essere abbattuto del 13%. Rispetto ai tempi, l’Euro 7 dovrebbe entrare in vigore dal 1° luglio 2025 per vetture e veicoli commerciali leggeri e dal 1° luglio 2027 per i veicoli pesanti. Una prospettiva che gli stessi costruttori vedono un po’ come il fumo negli occhi, in quanto equivarrebbe a investire ingenti capitali senza poi avere davanti un orizzonte temporale sufficiente per poterli ammortizzare. Senza considerare che, visto il vento che soffiava fino a qualche settimana fa, ormai tutti i reparti di ricerca e sviluppo delle case costruttrici erano concentrate sull’elettrico, tralasciando completamente l’ottimizzazione dei motori diesel, salvo quella necessaria a superare i tagli alle emissioni più ravvicinati (-15% per il 2025).
La posizione ufficiale del gruppo degli otto scettici
Martin Kupka, ministro dei Trasporti ceco, che era formalmente il promotore del vertice, ha definito «irrealistici gli standard euro 7» puntualizzando poi che lo scopo dei paesi scettici si muove in due direzioni: per un verso puntano a modificare i target di omologazione ricordati, per un altro mirano a ritardarne l’applicazione per almeno tre anni, vale a dire arrivare fino al 2028 per vetture e furgoni e al 2030 per i camion.
Tutto questo perché – ha argomentato – siccome a seguito di tali sforzi produttivi c’è da attendersi un considerevole aumento dei costi dei veicoli, è anche molto probabile che «sempre meno persone potranno permettersi di cambiare auto». E quindi anche l’effetto di questi nuovi standard sarebbe molto ridotto.
La posizione del commissario Ue all’industria
È molto importante riferire quanto affermato, quasi in risposta a questo vertice, dal commissario Ue all’Industria, Thierry Breton – volutamente assente alla riunione – il quale ha puntualizzato come al momento attuale «nessuna decisione è stata ancora presa sullo stop ai motori termici nel 2035. Lo dico ai costruttori: aspettate che la democrazia europea abbia completato il suo percorso prima di prendere decisioni». Un riferimento alla democrazia molto esplicito: nel 2024, tra poco più di un anno, i cittadini dell’Unione europea andranno a eleggere i rappresentanti del nuovo parlamento. E tutto lascia presupporre che il fronte dei paesi scettici, già oggi in espansione, possa allargare ulteriormente il proprio perimetro. Avventurarsi in investimenti prima di tale data potrebbe equivalere a prendere un rischio.