«È vero. Adesso l’attenzione delle istituzioni europee sulla questione delle aree di sosta sicura per i camion ha fatto un balzo in avanti». Marco Digioia, l’italiano che da 10 anni è segretario generale dell’Union européenne des transporteurs routiers (UETR) non nasconde la sua soddisfazione. E rivendica questo risultato: «Abbiamo cominciato a battere su questo tema quattro anni fa con l’associazione europea delle aree di sosta Esporg (European Secure Parking Organisation), con cui cooperiamo strettamente, e lo scorso anno abbiamo lanciato il primo premio europeo per la migliore area di sosta sicura del continente: l’ha vinta l’impianto di Béziers in Francia, sulla strada costiera che da Montepellier va verso i Pirenei e il confine con la Spagna».
Ma la situazione è ancora largamente deficitaria: solo 7 mila stalli sicuri su 300 mila e ne occorrerebbero altri 100 mila.
La differenza è che oggi l’Unione europea ne è consapevole e ha deciso di muoversi, stanziando altri 100 milioni di euro per potenziare le SSTPA. Un cofinanziamento che abbiamo definito pubblicamente «senza precedenti» che è segno della volontà di ottenere rapidamente il risultato. E che offre anche un’occasione per favorire quella transizione ecologica che soprattutto per i veicoli pesanti si sta dimostrando assai complicata.
Che tipo di occasione?
È da tempo che sia con UETR, sia con Esporg stiamo dicendo che dovremmo coniugare lo sviluppo delle aree di sosta per l’autotrasporto, con il regolamento AFIR (Alternative Fuels Infrastructure Regulation) sullo sviluppo dell’infrastruttura di carburanti alternativi per i camion pesanti, che è attualmente in discussione.
Cosa vuol dire «coniugare» le due cose?
Vuol dire che i legislatori europei devono sfruttare le aree di sosta SSTPA – che devono perciò essere di qualità, sicure e con gli standard previsti – per realizzare lì l’infrastruttura di ricarica per i camion, che sia elettrico, che sia a idrogeno, che sia LNG. Perché anche lì non bisogna dimenticare il buon vecchio gas naturale, insomma tutte le fonti energetiche utili al trasporto e all’ambiente. Lo abbiamo anche scritto alla commissaria ai Trasporti Adina Valean e torneremo a scriverglielo: bisogna promuovere le sinergie tra TEN-T e TEN-E (le reti transeuropee dell’energia, NdR) consentendo ulteriori opportunità di cofinanziamento per le stazioni di ricarica ad alta capacità e, in generale, per lo sviluppo di infrastrutture per i carburanti alternativi per i mezzi pesanti sulle aree SSTPA.
Attualmente è in corso una revisione degli assi di trasporto TEN-T. Crede che tale revisione possa rendere difficile l’accoglimento della vostra proposta?
Tutt’altro. Legando le aree di sosta sicura alle nuove TEN-T possiamo fare in modo che ogni tot chilometri lo Stato membro, in cui viene localizzata l’area, realizzi – anche con il cofinanziamento europeo – dei parcheggi per l’autotrasporto. Anche perché non possiamo aspettare il 2030 per avere la copertura necessaria ad alimentare i veicoli in modo adeguato. Al momento c’è un’impasse tra Commissione e Parlamento europeo, da una parte, e Consiglio (cioè gli Stati membri), dall’altra, proprio sul completamento della copertura dell’infrastruttura di ricarica. Chiaramente i primi vorrebbero accelerare i tempi, mentre per i secondi riteniamo che vi sia un approccio non sufficientemente ambizioso. Credo che legare l’infrastruttura di ricarica con le aree di sosta per i camion – cofinanziate – sarebbe un modo per avvicinare le posizioni.
A che distanza dovrebbero essere le aree lungo la TEN-T. Si parla di 100 chilometri…
Anche questo punto è ancora in discussione. La distanza proposta dalla Commissione non è condivisa da molti Stati membri, anche perché ci sono evidenti impatti dal punto di vista dei costi. C’è pure chi ha parlato di 300 chilometri, ma siamo al limite dell’autonomia per le alimentazioni alternative. Comunque, sulla distanza un accordo si troverà. L’importate è che passi il principio. In fondo è esattamente quello delle stazioni di posta degli antichi Romani. Sulle strade – e sulla loro organizzazione, i Romani hanno costruito il loro successo economico e sociale. Perché non dovremmo fare la stessa cosa?