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EDITORIALE | Aree di sosta: i tanti vuoti di una mancanza

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Mi hanno sempre affascinato i film che mostrano la stessa vicenda in modi del tutto diversi (Rashomon di Kurosawa, Rapina a mano armata di Kubrick, Il capitale umano di Virzì). Perché insegnano che se si vuol cogliere l’essenza di un evento bisogna osservarlo aggiornando continuamente i punti di vista. Provo a fare la stessa cosa con le aree di sosta, il fulcro su cui ruota questo numero monografico.

Dal punto di vista della coerenza normativa le aree sono un’incoerenza, perché si fa fatica a giustificare una disposizione legislativa che impone tempi di sosta a chi guida, senza poi preoccuparsi di verificare se esistano luoghi adeguati a poter sostare.

Dal punto di vista della psicologia umana è una prova di tenuta, perché quando l’uomo alla guida sa che il suo tempo al volante è necessariamente terminato, ma non trova dove assolvere tale obbligo, entra in apprensione, sente montare l’ansia, nutrita dall’incertezza sul da farsi: proseguire e sperare nei maggiori spazi dell’area successiva? Uscire dall’autostrada per tentare la fortuna? Fermarsi comunque alla prima area, a prescindere da ciò che si trova?

Dal punto di vista dell’immagine della professione è deleteria, perché se è vero che un autista di camion trascorre nelle aree di sosta un terzo della propria vita lavorativa, non si capisce come qualcuno dall’esterno possa nutrire il desiderio di accedere a un lavoro ambientato in un contesto in cui mancano gli stessi strumenti di lavoro, in cui dovresti parcheggiare, ma mancano gli stalli. È come fare un lavoro d’ufficio a una scrivania stando accomodati su una sedia con le gambe rotte.

Dal punto di vista del rispetto della persona è una contraddizione in termini, perché serve a far sostare veicoli, dimenticandosi che a guidarli sono esseri umani animati da esigenze coerenti a questo stato. E quindi necessitano di curare il proprio corpo, il proprio stato d’animo, il proprio desiderio di socializzazione, acutizzato dal trascorrere intere giornate solitarie all’interno di una cabina. E tali esigenze, invece, sono quasi sempre vanificate.

Dal punto di vista della sicurezza stradale sono traballanti, perché se in un luogo deputato a trascorrere la notte si dorme male, perché magari ci si sistema – non potendo fare altrimenti – al di fuori degli stalli e perché da lì a qualche ora un agente di polizia ti viene a bussare per chiedere di spostarti, il giorno dopo paghi questo riposo deficitario in concentrazione e attenzione.

Dal punto di vista della sicurezza della merce sono una minaccia e una fantasia. Sono una minaccia perché non garantiscono alcuna protezione, ma, al contrario, spesso espongono a rischi maggiori. Al punto che, se si trasporta merce di valore, sono zone sconsigliate alla sosta, perché si corre il rischio di oltrepassare (con colpa grave) il limite della fin troppa esigua responsabilità vettoriale. Ma al tempo stesso sono una fantasia perché, se per proteggere la merce che trasporto devo necessariamente parcheggiare il camion in un’area di sosta sicura (come pretende la giurisprudenza), ma poi le aree di questo tipo si contano sulle dita di una mano, io mi trasformo in una sorta di fantasma a cui è richiesto di passare attraverso i muri. O, peggio ancora, in un condannato a un girone dantesco obbligato a compiere delle azioni, sapendo che le stesse sono del tutto impossibili.

Dal punto di vista della gestione della cosa pubblica sono l’espressione di una cattiva amministrazione, perché se l’autostrada è un bene demaniale, dovrebbe essere a beneficio di tutti, a maggior ragione di chi più la frequenta. E tale principio dovrebbe ispirare non soltanto la stesura del contratto con cui si affida a un concessionario la gestione della strada, ma anche quello con cui il concessionario delega in subconcessione la cura delle aree di sosta. Perché se manca tale vincolo, il sub-concessionario finisce per essere attento soltanto ai suoi interessi, tralasciando quelli dell’utenza. Insomma, non realizza nuove aree, né aggiorna quelle esistenti.

In conclusione, da qualunque punto la si guardi, l’area di sosta può essere descritta sempre con un solo verbo: manca. L’unica soluzione per riempire questo vuoto è quella di farne di nuove, rigorosamente sicure. E così facendo si otterrà un risvolto virtuoso: un unico agire mirato riuscirà a generare soddisfazione molteplice.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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