Esiste una sostenibilità ambientale, una economica e una sociale. E le si conquista tutte soltanto se le si rende un assoluto. Perché ormai non è più tempo di sposare una logica sostenibile al proprio interno, senza preoccuparsi di ciò che accade fuori. Ed ecco perché Michelin, oltre a puntare a dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 (in riferimento al 2010) e ad azzerarle al 2050, preoccupandosi di diminuire l’impatto della produzione di pneumatici, selezionando materie prime adeguate e contenendo i consumi energetici, guarda pure lungo le filiere con cui si rapporta, cercando di incoraggiare ogni anello della catena a fare altrettanto. Così, con la stessa logica con cui ai ristoranti viene conferita dal 2020 una stella verde, indicativa di realtà che si fanno carico delle conseguenze ambientali della loro attività e utile a segnalarle a chi li sceglie per consumare un pasto, anche nel mondo dell’autotrasporto la casa francese (che però – è un suo vanto – è il principale costruttore di pneumatici in Italia) ha pensato di stimolare le aziende a ottimizzare l’uso degli pneumatici per ottenere vantaggi a cascata. Questa sorta di stella verde si chiama «Attestato per la gestione sostenibile dei pneumatici», è stato istituito già lo scorso anno, ma si sta allargando a macchia d’olio. Si tratta di un’iniziativa che vale in tutti i mercati. In Italia però ha assunto connotati di avanguardia.
Chiariamo subito un concetto. Oggi Michelin Italia segue 70 aziende, espressione di 25.600 veicoli (calcolando trainati e trainanti), gestendo i loro pneumatici e sensibilizzandole al verbo ambientale. Tutte insieme hanno raggiunto risultati egregi, ma meno della metà – per la precisione 31 aziende, con un parco circolante di circa 13.500 autocarri – ha ottenuto l’attestato. Cos’è che fa la differenza? Detta in maniera diretta è la capacità di sfruttare al meglio gli pneumatici, conferendogli diverse vite (in genere quattro) ricorrendo ai processi di ricostruzione e di riscolpitura. Non è un metodo che Michelin ha dovuto inventare per l’occasione, ora che la sostenibilità è finalmente di moda. Perché già 100 anni, esattamente nel 1923, aveva iniziato a produrre pneumatici multivita. Soltanto che oggi risulta più pregnante e urgente il perché bisogna ricorrere a questo processo. Lo dicono i numeri: le 31 aziende con attestato hanno risparmiato complessivamente 4.503 tonnellate di CO2 (l’equivalente delle emissioni annuali di 102 camion) e 1.639 tonnellate di materie prime. In pratica con lo stesso quantitativo sarebbe stato possibile produrre 23.363 pneumatici nuovi. Tutti dati riferiti a dati oggettivi, frutto di misurazioni svolte sugli pneumatici dei mezzi delle flotte di trasporto, utilizzando una formula matematica, stabilita dal centro di Ricerca e Sviluppo di Ladoux, che tiene conto dei due fattori chiave costituiti dal tasso di riscolpitura e di ricostruzione.
A questo versante ambientale si aggiunge poi, come detto, quello economico. Perché, come sottolinea Enrico Spinelli, direttore vendite B2B, servizi e soluzioni Michelin Italia, «l’attestato tende a mettere in evidenza le aziende che si sono affidate a Michelin per una gestione tecnica sostenibile degli pneumatici» e i vantaggi che ne derivano. Vale a dire, «la riduzione dell’accidentalità, quindi maggiore sicurezza, e una forte riduzione di del risparmio di carburante, quindi maggiore sostenibilità economica e ambientale».
Certo, è l’inizio di un percorso che può ancora esprimere tanto. Pensate che se soltanto le 70 aziende che hanno affidato la gestione degli pneumatici a Michelin ottenessero l’attestato si generebbe un risparmio di materie prime pari a 44.300 pneumatici e uno di Co2 pari a una flotta di 192 camion. E ora provate a pensare se le aziende fossero ancora più numerose e quindi i vantaggi dotati di sempre più zero. Sulla carta non ci sono freni di sorta e anche una ridotta dimensione aziendale mette in condizione di intraprendere il proprio percorso verso questa forma di sostenibilità in versione «ricostruito». Anche perché – semmai servisse ricordarlo – uno pneumatico realizzato con questa tecnica arriva a costare anche il 40% in meno rispetto a quelli nuovi.
Il problema è più che altro culturale. In tanti, cioè, esprimono diffidenza nei confronti del ricostruito, giudicandolo scarsamente affidabile e poco sicuro e dimenticando, invece, che il suo principale acquirente è il trasporto aereo, un settore che, soprattutto in fase di atterraggio, sottopone gli pneumatici a uno stress significativo e a sollecitazioni straordinariamente maggiori di quelli che si possono incontrare sulla strada. Ma forse, magari dopo aver toccato con mano tutti i benefici di questa soluzione, anche l’autotrasporto arriverà a toccare terra, archiviando pregiudizi e leggende metropolitane.