Come spesso accade le difficoltà, a volte, indicano la strada migliore per crescere in maniera più solida. È un po’ l’applicazione della legge dell’altalena: tanto più arretri in un senso, tanto più trovi slancio nell’altro. MAN Truck & Bus negli ultimi due anni è stata costretta a vivere almeno un paio di momenti complicati. Spesso, in realtà, comuni all’intero mondo dell’automotive, ma in qualche caso resi peculiari dalle contingenze. La pandemia, per esempio, che ha danneggiato più o meno tutti i costruttori, alla casa di Monaco di Baviera, che ha lanciato la nuova generazione di veicoli praticamente qualche settimana prima rispetto alle decisioni di tanti Stati europei di adottare lockdown protettivi, ha creato di certo qualche problema aggiuntivo. Così come, se è vero che gli scarsi approvvigionamenti di componentistica hanno rallentato le consegne dei veicoli da parte di tutti i costruttori, è anche vero che MAN ha subito contraccolpi più diretti dalla guerra in Ucraina, visto che da questo Paese provenivano molti cablaggi impiegati nella produzione dei propri veicoli e realizzati in impianti industriali gravemente compromessi.
Contraccolpi di queste vicende sono giunte anche in Italia e proprio qui MAN ha mostrato particolare resilienza e capacità reattiva, tanto da riuscire non soltanto ad alzare in fretta la testa, ma anche a iniziare a produrre un modello di sviluppo che adesso diventa un punto di riferimento per una vasta area, chiamata Adriatica, che comprende parte dei Paesi Balcanici (Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Nord Macedonia, Bosnia Erzegovina) e poi Albania, Malta, Grecia e Israele.
Non si tratta di parole, ma di numeri. Quello che vuole il numero di dipendenti di MAN in Italia quasi triplicato, passando dai circa 100 di qualche anno fa agli attuali 260. Ma pure quello che quantifica la spinta impressa alla giovane Divisione Van, chiamata ad accedere in un mercato praticamente sconosciuto all’interno di un’organizzazione, in cui paradossalmente la tradizione è molto appoggiata sui grandi e robusti mezzi del cava-cantiere. Pensate che anche qui, in meno di cinque anni, è stata registrata una crescita progressiva che oggi supera i tremila veicoli venduti.
Il perché della scelta di Martinez
Allora non sarà un caso che esattamente in questo frangente arrivi al timone di MAN Italia e dell’intera area Adriatica, un manager del calibro di Marc Martinez, che prima di arrivare nella nostra penisola è stato responsabile del marchio del Leone in Francia e in Polonia. Vale a dire il Paese in cui esiste l’organizzazione di trasporto più solida a livello continentale e quello che, negli ultimi anni, ha saputo conquistare il primato nel trasporto internazionale europeo.
Dopo sette anni trascorsi in questi mercati, Martinez – che ha in curriculum anche una dozzina di stagioni al servizio del gruppo Volvo, sotto le insegne di Renault Trucks – poteva puntare ancora più in alto. Se arriva in Italia è perché oggi il nostro mercato è sia strategico, sia particolarmente impegnativo per MAN. Nel senso che per un verso ha potenzialità di crescita da capitalizzare e, per un altro, richiede per sprigionarle, di concretizzare una lunga serie di cose. Il nuovo direttore lo sa e dimostra di essere persona molto concreta, desiderosa di entrare nei problemi in modo specifico senza trovare scorciatoie. Prova ne sia che quando gli si prospettano eventuali parallelismi con i mercati in cui ha operato fino a ieri tende a fare spallucce, ribattendo che ogni contesto territoriale ha le sue peculiarità e che quindi difficilmente lezioni di un contesto possono trovare applicazione in un altro.
Di cosa necessita quindi MAN in Italia per riuscire a ottenere un livello di quota di mercato più adeguata alla qualità del prodotto che commercializza? La prima sfida, risponde Martinez, è quella di accrescere l’immagine e la visibilità, veicolando in tutti i possibili contesti, compresi eventi o fiere di settore, quel tratto identitario del marchio, reso riconoscibile come generatore per un verso di innovazione – espressa in particolare tramite l’emobility, l’evoluzione della guida autonoma e la digitalizzazione – e per un altro di semplificazione per chi lavora nel trasporto. Non stupisce, quindi, che già oggi il manager francese preannunci la partecipazione di MAN al Samoter di Verona nel 2023 e al Transpotec di Milano nel 2024. E motivata da questa sfida appare anche la volontà di creare una struttura di noleggio, in grado cioè di aiutare le aziende, in coerenza con i valori di fondo del marchio, a entrare con più facilità e con più strumenti possibili nella disponibilità di veicoli, partendo probabilmente con quelli a temperatura controllata.
Una seconda sfida essenziale riguarda la conquista di una maggiore prossimità con i trasportatori, da attuare anche tramite un consolidamento della rete, un ricambio generazionale nel personale delle officine e un’attività formativa sempre più puntuale e ritmata con gli attuali trend di transizione. Nasce a questo il progetto di realizzare una nuova sede in grado di ospitare uno spazio espositivo e uno formativo, cosa impossibile in quella attuale. Soltanto che, siccome il nuovo quartier generale che sarebbe dovuto sorgere a Nogarole Rocca ha subito rallentamenti prima per la pandemia e poi per un ricorso giudiziario che giungerà a termine non prima di 5-6 anni, MAN ha pensato bene di traferirsi nel frattempo all’interno di Volkswagen Italia, a Verona, in un contesto in cui poter soddisfare esigenze di qualsiasi natura.
Come costruire l’assistenza di domani
Altro investimento necessario serve poi per invertire il corso della demografia, quello che – spiega lo stesso Martinez, numeri alla mano – «porterà nei prossimi anni 500 o 600 meccanici a conquistare la pensione, creando quindi difficoltà considerevoli». Considerato pure che questo personale serve già oggi a rispondere alla domanda di assistenza di un parco circolante di veicoli MAN composto da 37 mila camion e 5 mila autobus. Sulla base di questo presupposto è stato lanciato, insieme al CNOS-FAP e all’agenzia mondiale per i rifugiati, un progetto rivolto ai giovani immigrati, per favorirne l’accesso alla formazione e fornire loro un’occasione professionale concreta. Quindi un mix di solidarietà e di business perfettamente equilibrato.
Ma più in generale, oltre che l’attività di officina, è sull’insieme della rete commerciale che Martinez intende indirizzare investimenti, per renderla più solida e strutturata, potenziando dove necessario i MAN Center gestiti in proprio – attualmente sono 7 – e supportando dove opportuno l’azione delle 18 concessionarie gestite da imprenditori privati.
Tirrenia Truck sbarca in Sardegna
Esemplare in tal senso l’operazione che ha portato al consolidamento della presenza di MAN in Sardegna con l’apertura di due nuove sedi – a Cagliari e a Sassari – per opera di Tirrenia Truck, che oltre alla sede storica di Calenzano (Firenze) dispone già di una filiale a ColleSalvetti (Livorno) frequentata, oltre che da autotrasportatori della litoranea toscana, anche da tanti sardi per i quali quel porto – come spiega l’amministratore unico della concessionaria, Andrea Angeli – è il principale varco verso il ‘continente’». Perché la prossimità funziona così: si comincia con attività manutentiva e assistenziali e poi nel tempo si stringono relazioni commerciali. Al punto da consigliare di andare incontro a questa domanda prima con un presidio a Cagliari, creato già nel 2016, e poi dopo la concessione del mandato da parte di MAN Italia, a scommettere sull’apertura di due sedi: una da 11 mila mq – dei quali 1.300 coperti tra officina e uffici – ad Assemini, a una decina di chilometri da Cagliari, nella zona industriale Macchiareddu; la seconda nella zona industriale Muros, a pochi chilometri da Sassari, su un’area di 7.500 mq dei quali 1.000 mq coperti occupati soprattutto dall’attrezzata officina. Nel complesso nelle due strutture operano 25 dipendenti tra personale tecnico, commerciale e amministrativo. Ed è significativo che, anche in un ambito isolano, i fatturati di Tirrenia Trucks rispecchino quelli di altri contesti, con il cantiere a generare una quota di circa il 30% e con il resto assorbito dagli stradali, equamente divisi tra trattori e carri. Che sia un modello di sviluppo in grado di funzionare come una sorta di laboratorio?