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10 domande a… Stefano Casaburo

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CARTA DI IDENTITÀ

Nome Stefano
Cognome Casaburo
Soprannome Stefano Sax
Età 57
Stato Civile coniugato
Punto di partenza Brescia
Anzianità di Servizio 37 anni
Settore di attività trasporto scorie da ferriere
  • Come è nata la passione per questo lavoro?

L’ho ereditata da mio nonno, che faceva il camionista. Ho preso presto le patenti e nel ‘92 mi sono trasferito per lavoro da Napoli a Brescia, dove attualmente vivo con la mia famiglia. Amo questo mestiere anche se a malincuore, a breve, dovrò lasciarlo. Ho vinto infatti un concorso come autista di pullman in un’azienda del bresciano.

  • Cosa ti ha spinto a passare dal camion al pullman?

Esigenze retributive e affettive. Da un lato, faccio meno ore e guadagno di più. Dall’altro, vorrei dedicare più tempo ai miei nipotini, dato che non mi sono goduto molto i miei figli.

  • Se vi fossero le giuste condizioni, rimarresti sul camion?

Assolutamente sì, perché la passione c’è. Ma bisogna fare i conti con la realtà. I salari sono bassi, le aree di sosta attrezzate mancano e i tempi di attesa sono infiniti. A ciò si somma la lontananza da casa. Per non parlare della freddezza e mancanza di sensibilità nei rapporti interpersonali.

  • A cosa ti riferisci quando parli di «freddezza»?

Al fatto che il mondo è cambiato. Si va sempre di fretta e si pensa meno alle persone. Cito un episodio che mi è successo anni fa, quando ero fresco di patente. Dovevo consegnare un carico di pomodori. Il cliente mi venne incontro lungo la strada, mi accompagnò allo scarico e mi diede 10 mila lire, dicendomi: «Questo è per lei: vada al bar, si riposi due orette e al suo rientro il camion sarà vuoto». Oggi invece non ti offrono neanche il caffè. Anzi, non ti danno nemmeno il buongiorno.

  • L’autotrasporto è ancora un mestiere per giovani?

Di ragazzi non ne vedo in giro. È un lavoro di sacrificio. Ho un figlio maschio e non ha mai voluto mettere piede su un camion. Ci sarà un motivo.

  • Quali sono le tue passioni?

Ho il pallino della bici. Quando ho tempo, per mantenermi in forma, pedalo in media 100 km a settimana. Mi piace poi la musica e, in particolare, il sassofono. Ho provato anche a suonarlo quando ero giovane. Non a caso mi chiamano Stefano Sax.

  • Una canzone che ti rispecchia?

«Il camionista» degli Squallor. Piango ogni volta che l’ascolto, perché parla della dura vita dei camionisti.

  • Una qualità che ti contraddistingue?

Soccorrere chi si trova in difficoltà. Una volta, ad esempio, notai una famiglia americana in panne con l’auto. Aveva forato. Decisi così di fermarmi e di assisterli nel cambio gomma. Alla fine risolsi il problema e loro insistettero per darmi 100 euro che, ovviamente non accettai. Mi ringraziarono abbracciandomi e baciandomi. Mia moglie mi dice sempre: «Nun te faje mai ‘e fatt tuoje». Ma io sono così: aiuto sempre il prossimo. È una cosa che mi è stata insegnata dai miei genitori.

  • Un episodio che ti ha segnato?

Verso la fine degli anni ’80 ho assistito a un grave incidente stradale all’altezza di Incisa in Val d’Arno. C’era nebbia quella notte e vidi un camion di fronte a me uscire fuori strada. Mi precipitai nella scarpata e, insieme ad altri colleghi, tirai fuori i due autisti dalle lamiere del camion che aveva iniziato a prendere fuoco. Uno dei due era vivo, mentre per l’altro non ci fu niente da fare. Il polso non batteva più e la pelle si era fatta già scura. Sono immagini forti che mi sono rimaste impresse.

  • Un tuo desiderio?

Vorrei tanto poter riabbracciare quel signore che è sopravvissuto quella sera. Casomai mi stesse leggendo…

Per leggere altre interviste ai protagonisti della strada, vai a «Voci on the road».

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