Non accadeva da trent’anni. Ma è anche vero che da tanto tempo il mondo non affrontava problematiche così complicate. Parliamo dello sciopero che da qualche giorno hanno proclamato i lavoratori del porto di Felixstowe, il principale scalo commerciale per container del Regno Unito e che andrà avanti fino al 28 agosto. La motivazione della protesta è presto detta: le retribuzioni, schiacciate dall’inflazione ormai superiore al 10%, perdono potere di acquisto e circa duemila lavoratori che le percepisce chiede di aumentarle.
I possibili effetti dello sciopero, invece, potrebbero essere complicati, perché bloccando Felixstowe rischia di interrompersi buona parte delle catene di approvvigionamento del paese. D’altra parte parliamo di uno scalo da cui transitano ogni anno circa 4 milioni di container trasportati da circa 2.000 imbarcazioni, vale a dire più del 50% del trasporto marittimo dell’isola britannica. Peraltro, per fornire una rappresentazione più a fuoco del contesto sociale britannico, possiamo ricordare che sabato scorso per ragioni analoghe hanno incrociato le braccia anche i ferrovieri, interrompendo la circolazione di 4 treni su 5, e che altre agitazioni si sono registrate nei servizi postali e nei magazzini di Amazon nelle scorse settimane.
CK Hutchison Holding Ltd, la società proprietaria del porto di Felixstowe, ha cercato di frenare la protesta offrendo un aumento salariale medio dell’8%, ma i rappresentanti dei sindacati hanno fatto spallucce rispondendo che soltanto nel 2020 i profitti del porto sono stati pari a 61 milioni di sterline, qualcosa come 72 milioni di euro. E quindi l’offerta di aumento può essere maggiore di quella proposta.