Qualcuno l’ha interpretato come un metodo di aggiramento dei problemi. Qualcun altro lo legge come una strategia politica che, invece di imporre dall’alto le scelte, persegue una condivisione dal basso il più possibile allargata. Rimane il fatto che l’istituzione dei Tavoli di confronto in cui fissare le regole per ristrutturare l’autotrasporto è diventato forse il tratto distintivo peculiare della politica adottata dalla viceministra Teresa Bellanova da quando, poco più di un anno fa (fine aprile 2021) ha ricevuto la delega per il governo del settore. Un tempo utile per tracciare un bilancio di un’esperienza resa ancora più complicata prima dalla pandemia e poi dalla crisi ucraina. Come l’ha vissuto la diretta interessata e soprattutto perché i tavoli sono così importanti?
«Il nostro fine – risponde Bellanova – è quello di cercare di rendere più competitivo il settore. E a tale scopo gli strumenti sono diversi. Innanzi tutto, per la sua efficienza sono determinanti la digitalizzazione e la tecnologia. Così come è fondamentale il ruolo della sostenibilità, non soltanto nella sua declinazione ambientale, ma anche in quella sociale ed economica. Aver messo in piedi il tavolo e presiederlo personalmente come faccio, per me significa garantire queste valenze. Significa dire, cioè, che ci sono grandi margini di spazio per rilanciare il settore e per valorizzare il ruolo delle persone occupate al suo interno. Ma per farlo non servono soltanto gli interventi normativi e quelli finanziari – che comunque sono fondamentali – ma bisogna anche far mente locale sul fatto che l’autotrasporto è stato in grado di muoversi sottoscrivendo dei protocolli. È un fatto importante, perché firmare un protocollo, così come abbiamo fatto nel marzo di quest’anno, è sintomatico della disponibilità e della capacità della filiera nel suo insieme di darsi regole condivise. E non è un caso che proprio grazie a quel protocollo siamo riusciti ad avere due decreti a marzo che stanziano risorse importanti a favore del settore. Su questo dobbiamo continuare a lavorare, perché ci sono tanti temi venuti fuori dal confronto, come la clausola sull’adeguamento del corrispettivo al variare del costo del carburante. Noi sappiamo cosa abbia significato l’aumento del costo del carburante nell’ultimo anno e quindi aver assunto questo tema come una delle questioni a cui fornire risposta, l’aver condiviso che per il trasporto merci conto terzi devono essere prese a riferimento anche per i contratti non scritti i valori indicativi dei costi di esercizio pubblicati da questo ministero, è un elemento che considero non solo di soddisfazione per i diretti interessati, ma un frutto del confronto portato avanti tra istituzioni e mondo dell’impresa e del lavoro. E quindi, ripeto, dell’intera filiera.
Nel tavolo è venuto fuori un altro tema importante, quello delle attese al carico e allo scarico. In questo caso come pensate di operare e per ottenere quali risultati?
Io penso che quel lavoro iniziato debba continuare perché la questione del carico e scarico è un tema posto da tempo, ma che non ha trovato purtroppo soluzioni adeguate. Ecco perché io ho voluto non solo la convocazione del tavolo, ma anche l’allargamento del confronto – e questa è un’autentica innovazione – anche alla committenza. E le risposte devono arrivare assolutamente perché l’attesa è un elemento che incide ovviamente sul reddito e sulla qualità del lavoro, ma anche sulla qualità della prestazione e sull’attrattività del settore. E questo lo rende un tema di grandissima rilevanza su cui spero, in tempi rapidi, di riuscire a trovare un’intesa condivisa dell’intera filiera, in grado di fornire risposte di lunga durata e non soluzioni spot.
Un altro tema urgente che impatta sull’intera economia è quello della carenza di autisti. Perché è chiaro che se devo movimentare merci e non trovo un camion disponibile perché nessuno che lo guida, alla fine o non le muovo o le muovo in ritardo. Come si fa a far capire al di fuori del settore, che questo problema coinvolge tutti?
Lavorando e insistendo nel coinvolgere più voci. Lo dicevo prima: molti hanno scoperto l’importanza decisiva del settore con la pandemia oppure lo scoprono adesso quando sentono che i porti sono bloccati e c’è difficoltà a far arrivare le merci nei luoghi preposti. Ecco, noi dobbiamo portare al centro dell’attenzione proprio questo aspetto: la rilevanza strategica del comparto. Ma soprattutto dobbiamo far capire che alcuni lavori apparentemente umili presenti in questo settore, sono proprio quelli che mettono un paese in condizione di essere o meno competitivo e le persone in condizione di vivere o meno in modo normale. Se non ci fosse stato l’autotrasporto in funzione quando abbiamo dichiarato il lockdown in Italia, noi non avremmo avuto quel minimo di normalità che è stato garantito, invece, da una filiera fatta di cosiddetti lavori umili. I braccianti e le braccianti agricoli che raccolgono il prodotto, l’azienda di trasformazione con le sue lavoratrici, gli autisti e il settore autotrasporto che prendono quelle merci dai campi o dalle fabbriche e le fanno arrivare nei supermercati: noi, in un momento in cui nulla era più normale nella nostra vita, abbiamo potuto continuare ad avere momenti di normalità, senza modificare le nostre abitudini alimentari. Questo è ciò che dobbiamo far percepire e non solo quando c’è l’emergenza.
Rispetto agli autisti, per quantificare il fenomeno abbiamo fatto delle verifiche e appurato che ne mancano circa 18.000. Cosa abbiamo fatto per colmare questa lacuna? Anche qui non si tratta di fare spot; una volta capito il problema, ci si deve attrezzare per fornire soluzioni che non arrivano con la bacchetta magica. Siamo partiti con due interventi, destinando tramite due decreti successivi prima 3,7 milioni di euro e poi 5,4 milioni per ciascun anno dal 2023 al 2026. Risorse finalizzate ad abbattere i costi per acquisire le patenti e per rendere attrattivo per le persone, soprattutto i giovani, questo settore. Poi stiamo lavorando sulla CQC per dare la possibilità, anche a chi viene da un altro paese, di avere la qualificazione e una formazione periodica. Inoltre, ci siamo impegnati per avere, nel tavolo specifico dedicato a questo tema, anche la presenza del ministero dell’Istruzione, perché è fondamentale far conoscere questo lavoro già nella fase dell’orientamento e all’interno delle scuole secondarie superiori, così da far percepire quanto sia importante operare all’interno di questo settore. E qui devo aggiungere che dobbiamo anche rendere attrattivo l’autotrasporto, determinando condizioni di qualità del lavoro e di reddito che possano essere di soddisfazione per i ragazzi e per le ragazze. E questo aspetto lo voglio sottolineare: non ci sono settori maschili. In questo settore se miglioriamo la qualità della prestazione, se riusciamo a creare condizioni di lavoro più accessibili a tutti, a chi si deve fare carico della prestazione lavorativa e conciliarla con la famiglia, noi possiamo acquisire nuove e belle competenze. È questa la sfida che ci siamo dati istituendo questo tavolo, anche questo permanente, che dovrà andare avanti e fornire soluzioni.
Ogni anno in Italia perdono la vita in media 200 camionisti sulle strade e quasi mai sono raccontate come morti sul lavoro. Un dato che va messo in relazione all’altro, che fissa l’età media del parco veicolare sopra le 3,5 tonnellate a 14 anni. Ora, non è detto che la tecnologia risolva tutti i problemi, però una mano la potrebbe dare. Se la battaglia di rinnovamento del parco si combattesse con argomenti e incentivi legati alla sicurezza ritiene che otterrebbe maggiori risultati?
Assolutamente sì. Noi dobbiamo credere nella ricerca e nell’innovazione e in questo modo possiamo creare maggiore sicurezza. La sostenibilità va benissimo, ma deve essere – come dicevo prima – anche sociale ed economica. Noi siamo in una fase di transizione. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza utilizza questo termine: «transizione». Ciò significa che la sostenibilità viene raggiunta quando mettiamo tutti nella condizione di continuare a fornire la propria prestazione e di non essere sbattuti fuori dal mondo del lavoro o dalla competizione. Cosa voglio dire? Noi abbiamo destinato risorse importanti per il cambio del parco veicolare e se non saranno sufficienti bisognerà farsene carico nuovamente, perché dobbiamo portare le imprese a innovare. Perché – come lei dice giustamente – i mezzi in circolazione sono vetusti. E siccome questa condizione nuoce all’autista che conduce il mezzo, ma anche a tutti gli utenti della strada, facendo quell’investimento noi stiamo migliorando allo stesso tempo la qualità del settore e la qualità di vita dei cittadini. Di conseguenza questo tipo di risorse sono ben spese. Penso, per esempio, ai 75 milioni stanziati negli anni dal 2022 al 2024 o ai 100 milioni contenuti in interventi precedenti sempre per la sostituzione di veicoli obsoleti. Dobbiamo continuare e su questo insisto: se sarà necessario reperire ulteriori risorse, il settore troverà qui una persona disponibile e impegnata a lavorare per ottenere il risultato.
Un’ultima domanda. Nel mercato dell’autotrasporto, popolato da piccole e deboli aziende, si insinua da sempre un’intermediazione parassitaria. In Italia esiste un vincolo per limitare la subvezione a un solo passaggio, ma è poco rispettato, anche perché non sanzionato. L’Europa adesso fissa il principio per cui ci deve essere una proporzione tra veicoli e autisti in disponibilità dell’azienda e il fatturato che genera. Come andrebbe tradotto politicamente questo principio?
Io ho ben chiaro di come, qui come in altri settori, la concorrenza sleale, l’intermediazione parassitaria, il dumping sociale, lo sfruttamento – se vogliamo chiamare le cose con il loro nome – avvelenino i rapporti all’interno della filiera. E di certo non contribuiscono a creare un’immagine positiva del settore. Siccome io ritengo che la reputazione sia un elemento chiave, se vogliamo rendere attrattivo questo settore per le nuove generazioni – cosa quanto mai necessaria vista la generale tendenza all’invecchiamento degli addetti – dobbiamo creare le condizioni affinché non ci siano morti sul lavoro (seppure non vengano catalogati come tali), affinché tutti possano viaggiare su veicoli maggiormente sicuri e fare in modo che ci sia una concorrenza leale, perché quella sleale rischia di mandare fuori mercato le imprese che rispettano le regole, grandi o piccole che siano. Io credo che all’interno del settore si siano già fatti passi importanti: negli ultimi anni ci sono stati accorpamenti e c’è stato un riposizionamento anche delle imprese più grandi. Quelle più piccole hanno perso magari il rapporto diretto con la committenza, ma se i rapporti di filiera sono corretti possono comunque concorrere a migliorare le condizioni del settore. Per fare questo abbiamo pensato di istituire un luogo di confronto proprio sulle regole e sulle politiche di settore. Perché la sfida delle sfide è proprio questa: garantire sicurezza. E io ritengo che garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro sia un tratto di civiltà di un paese democratico e per ottenere tale risultato bisogna produrre ogni sforzo possibile.