Un’altra sentenza si schiera dalla parte dell’autotrasporto per quanto riguarda la questione dell’applicazione dell’art.142, comma 8, del Codice della Strada, quello che regolamenta l’eccesso di velocità. Ma in questo caso il giudizio appare ancor più significativo perché emesso non in primo grado, ma in appello su una prima sentenza contraria.
La decisione di cui ci occupiamo è del Tribunale di Piacenza, chiamato a giudicare un ricorso di una cooperativa di trasporto, difesa dall’avvocato Roberto Iacovacci, contro una decisione del Giudice di pace, sempre piacentino, che aveva ritenuto legittima la sanzione per superamento dei limiti di velocità confermata da un’ordinanza/ingiunzione della Prefettura del capoluogo emiliano. In particolare, il Giudice di Pace aveva ritenuto «infondate le censure riguardanti il mancato rispetto degli obblighi di contestazione immediata e la mancata prova del corretto funzionamento dell’apparecchiatura impiegata nell’accertamento della violazione dei limiti di velocità». La presunta infrazione era stata infatti rilevata con il Sicve (Sistema informativo per il controllo della velocità), ovvero quello che ormai tutti siamo abituati a chiamare Tutor.
Secondo la difesa della coop, i motivi di annullamento della multa erano sostanzialmente due: la violazione dei termini nel ricorso rivolto al Prefetto per mancato rispetto delle indicazioni temporali di legge, ma soprattutto l’inesistenza della prova delle omologazioni, delle verifiche periodiche di funzionalità e della procedura di taratura, prescritte dalla legge per tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento della violazione dei limiti di velocità.
Il Tribunale dava ragione all’appellante per entrambe le motivazioni, ma a noi interessa soprattutto la seconda, perché è quella applicabile a casi simili e che, come si dice, “fa giurisprudenza”.
Il tema è quello, da noi già trattato in passato, della perfetta funzionalità dell’apparecchio impiegato nell’accertamento della violazione dei limiti di velocità. A questo riguardo, il giudice piacentino richiama la sentenza n. 113/2015 della Corte Costituzionale, che dichiarò illegittimo l’art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285/1992 «nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura».
In quella pronuncia si spiegava che «…qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazione della tensione di alimentazione… Un controllo di conformità alle prescrizioni tecniche ha senso solo se esteso all’intero arco temporale di utilizzazione degli strumenti di misura, poiché la finalità dello stesso è strettamente diretta a garantire che il funzionamento e la precisione nelle misurazioni siano contestuali al momento in cui la velocità viene rilevata, momento che potrebbe essere distanziato in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura». Una tendenza poi sposata dalla giurisprudenza successiva, secondo cui tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere periodicamente tarate e verificate nel loro corretto funzionamento, che non può essere dimostrato o attestato con altri mezzi quali le certificazioni di omologazione e conformità.
Nel caso specifico, nel verbale di accertamento dell’infrazione prodotto in primo grado erano sì indicati gli estremi dell’omologazione dell’apparecchio, ma non era dimostrata l’avvenuta verifica di funzionalità e la revisione periodica dell’apparecchiatura utilizzata, che «non emerge neppure dai rimanenti documenti agli atti, posto che nessuna attestazione in merito è stata prodotta».
In altri termini, gli accertatori sono obbligati a verificare la funzionalità di tutor e autovelox con una precisa procedura. Queste verifiche di funzionalità, sia iniziali che periodiche, devono stabilire la capacità dello strumento di fornire indicazioni attendibili ed essere effettuate dall’organo di polizia stradale utilizzatore, successivamente alla verifica di taratura. Si tratta, quindi, di attività ulteriori rispetto a quelle di manutenzione e/o revisione previste dal manuale d’uso, che consistono in una verifica dell’integrità del dispositivo o del sistema e dei relativi sigilli apposti, nonché della loro capacità di attribuire correttamente le misure effettuate ai veicoli rilevati. Ma la Prefettura di Piacenza non ha fornito in giudizio documentazione che provasse la sottoposizione del dispositivo alla verifica di funzionalità, oltre che a revisioni periodiche.
«Mancando i documenti atti a dimostrare l’esatta funzionalità della strumentazione attraverso cui si è pervenuto all’accertamento della velocità contestata – conclude il Tribunale – l’accertamento dell’infrazione appare viziato, con la conseguenza che il provvedimento debba essere annullato».
Con il ricorso accolto e l’annullamento dell’ordinanza prefettizia, si consolida così la tendenza giurisprudenziale favorevole all’utente professionale della strada contro le infrazioni di velocità ottenute con strumentazione non controllata e dalle rilevazioni approssimative.