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DAF CF Electric 4×2 con MTC da 37 tonnellate. Giù il volume, su il piede

Parliamo di camion elettrici, ma – una volta tanto – di quelli veri, da poter acquistare e con cui lavorare. Meglio: parliamo dell’unico trattore di elevato tonnellaggio presente sul mercato. A offrirlo è la casa olandese che lo impacchetta con vari servizi essenziali per ricaricarlo al meglio. Com’è essenziale, dopo averne apprezzato le ridotte emissioni acustiche, adottare un diverso stile di guida. Ecco come

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Una cosa il camion elettrico ce la garantirà: il livello di emissioni acustiche all’interno delle nostre città sarà decisamente inferiore. E forse nel momento in cui genererà un abbassamento del volume, produrrà anche una modifica della percezione collettiva del veicolo pesante. Perché ciò che fa rumore incute timore, ma chi transita nel silenzio esprime rispetto (per chi gli sta intorno) e lo merita di conseguenza.
Non è ancora certo, invece, se oltre alle emissioni sonore scenderanno anche quelle inquinanti di natura gassosa. Al momento attuale, infatti, è soltanto una speranza. Affinché si concretizzi è necessario che l’energia prodotta da fonti rinnovabili diventi via via maggioritaria, ma almeno nel 2021 a crescere è stata ancora – del 9% – la quota di energia prodotta tramite carbone (complice pure l’impennata dei prezzi del gas naturale).
È certo, per fortuna, che mentre sul fronte politico si registrano tali contraddizioni, su quello industriale ci siaNo costruttori che investono in tecnologie pulite e propongono veicoli già proiettati verso le zero emissioni.
L’esempio di cui vi parliamo oggi è quello di DAF, perché a partire dallo scorso autunno ha messo a listino un camion completamente elettrico. Si chiama CF Electric e, allo stato attuale, ha un piccolo difetto e un grande pregio. Il difetto è presto detto: il suo volto è quello della precedente gamma DAF (quella identificata con l’anno 2017 e che comunque è ancora in vendita), anche se è certo che prima o poi vestirà gli abiti della nuova gamma. Il pregio, invece, deriva dal fatto di essere l’unica proposta commerciale che contempli un trattore con MTC da 37 tonnellate. In pratica se qualcuno attualmente volesse acquistare un camion elettrico di tale tonnellaggio o si orienta sui carri o deve necessariamente bussare a una concessionaria DAF. E questo spiega anche il perché il costruttore olandese non ha voluto aspettare oltre: tra lanciare oggi un veicolo in esclusiva, seppure con il limite di equipaggiarlo con una cabina datata, e il lanciarlo domani nel mucchio di un’offerta variegata di tanti costruttiva, seppure agghindato con una cabina tutta nuova, ha giustamente preferito la prima opzione. Il tempo, da che mondo è mondo, costituisce di certo un vantaggio competitivo.
E poi una cosa va ricordata: il CF Electric, seppure oltrepassi solo oggi la porta di accesso al mercato, viene sviluppato a partire dal lontano 2017 in partnership con VDL e poi è stato sottoposto nel corso di quattro lunghi anni a intensi test aziendali in segmenti differenti. Quindi il veicolo oggi acquistabile è il frutto di un lungo percorso che è parte di un programma complessivo voluto da DAF, finalizzato a ottenere un «futuro più pulito» (Cleaner Future, come lo ha ribattezzato) e finanziato a tale scopo con 237 milioni di euro in Ricerca & Sviluppo.

Numeri e missioni

Abbiamo detto che il CF Electric è offerto esclusivamente in versione trattore a due assali (4×2) da 37 tonnellate, ma esiste pure quella cabinato a tre assali (6×2) da 29 tonnellate, con l’assale posteriore sterzante per facilitare le manovre strette.
Il suo cuore pulsante, in ogni caso, è il motore elettrico da 210 kW con potenza di picco da 240 kW, alimentato con l’energia assorbita da una batteria con capacità di 315 kWh e in grado di garantire un’autonomia variabile tra i 200 e i 250 km. Una forchetta che si giustifica in base alle modalità con cui si guida il veicolo e alla missione che si è chiamati ad assolvere. Quelle preferibili sono in genere tre:
la distribuzione urbana, articolata in particolare in contesti cittadini in cui gli ingressi sono preclusi o limitati in precise fasce orarie, vincoli aggirabili con un veicolo elettrico;
la raccolta rifiuti urbani, perché non richiede accelerazioni o velocità elevate (che sono quelle che maggiormente tendono a far scaricare le batterie), ma piuttosto un’andatura stop and go congeniale alla ricarica delle batterie in movimento. In più, soprattutto se la raccolta è effettuata di notte, le minori emissioni sonore la rendono più rispettosa del riposo dei cittadini;
il servizio di navettamento tra due punti di carico-scarico, da coprire seguendo sempre lo stesso percorso, così da riuscire a pianificare in modo elementare i momenti di ricarica.

La diagnosi per preventivare le ricariche

La ragione del perché il navettamento sia una missione congeniale a un veicolo elettrico porta a riflette su un altro fattore decisivo: lavorare con un veicolo da ricaricare impone un’organizzazione del lavoro sconosciuta fino a ieri. Non è un’attività semplice, ma DAF lo sa e aiuta i volenterosi facendosi aiutare da un apposito software con cui effettuare una radiografia dell’attività aziendale. In pratica, tramite appositi consulenti viene chiesto al cliente interessato a viaggiare elettrico di fornire piano di lavoro e missione a svolgere. In particolare, si valutano tutte le possibili soste richieste da inserire poi in un simulatore in grado di calcolare, momento per momento, l’effettivo stato di carica delle batterie. Perché laddove dovesse emergere che in un dato punto di carico si determina una discesa della carica al di sotto del 20%, esattamente lì la casa olandese – che peraltro commercializza anche colonnine – consiglierà di installare un punto di ricarica. Così sarà possibile, in appena 45 minuti – vale a dire un tempo coincidente a un’operazione di carico-scarico – riportare lo stato di carica della batteria dal 20 all’80%.

A caccia di differenze elettrizzanti

A questo punto, dopo queste lunghe premesse (dovute al fatto che un veicolo elettrico è innanzi tutto da capire e poi da guidare), andiamo a toccare con mano il CF Electric e verificarne il concreto funzionamento. Non lo abbiamo testato in maniera intensa, ma qualche giro è stato sufficiente a cogliere alcune peculiarità da sottolineare.
Visto da fuori, come è evidente, non spiccano particolari differenze rispetto a un omologo diesel, in particolare frontalmente. Per cogliere le principali particolarità bisogna spostarsi verso il telaio, dove sono stati distribuiti cinque pacchi batterie per ogni lato. Una dotazione che ovviamente pesa: sulla bilancia la tara del trattore raggiunge circa i 9.000 kg.
Spostandosi sul lato sinistro, poi, non sfugge proprio sopra al passaruote, uno sportellino che si apre verticalmente: nasconde una presa universale in cui inserire la spina di ricarica. Le soluzioni al riguardo sono molteplici. DAF, tramite Paccar Parts, offre un lungo elenco di sistemi di ricarica, con potenze da 20 a 360 kW, che includono anche dei sistemi mobili – comodi per flotte o in officina – poiché possono essere spostati in diversi punti. Non garantiscono cariche veloci, ma con capacità di erogazione tra i 25 e i 40 kW riescono tranquillamente a ricaricare un camion nel corso di una notte (vale a dire in 8-10 ore).
Tornando poi sul frontale del veicolo, un’altra piccola differenza la si coglie se si alza la calandra, perché sul lato sinistro compaiono due piccole taniche che contengono il liquido di raffreddamento per le batterie e quello per l’impianto frenante. Inoltre, anche i fari dispongono di tecnologia a led di serie, una scelta giustificata non soltanto per garantire migliori condizioni di illuminazione, ma soprattutto dal minore assorbimento di energia e quindi dal minore supporto che richiedono alla batteria.

Il diverso modo di guidare elettrico

Saliamo a bordo e, dopo aver gettato uno sguardo panoramico sul veicolo ottenendo un impatto tutto sommato familiare, andiamo per accendere. Dopo aver girato la chiave registriamo forse la prima novità, perché la reazione dell’elettrico è meno tempestiva di quella di un diesel: prima cioè che le lancette di accensione transitino dalla posizione «off» a quella «ready» trascorrono una quindicina di secondi (calcolo spannometrico). Nell’economia di una giornata, comunque, è poca cosa.
Molto più sostanziale, invece, quella sorta di contagiri che compare sulla destra del quadro perché mostra in una fascia blu la potenza utilizzata e, in una verde, quella che è stata rigenerata in virtù dell’inerzia. È uno strumento da tenere presente perché chiarisce subito un concetto: il camion elettrico non si guida come uno diesel. Qui la disponibilità della coppia è immediata e l’accelerazione è impressionante. Passare da 0 a 80 km/h è questione di una decina di secondi. Ma per non sprecare autonomia conviene sempre modulare l’accelerazione in relazione alle necessità di spostamento. Che non corrispondono però a quelle di un veicolo diesel. Spieghiamo in che senso: se ci si muove in città a 50 km/h e davanti compare un incrocio ad alcune centinaio di metri di distanza, con un diesel si può alzare il piede dall’acceleratore già 2-300 metri prima, mentre con l’elettrico bisogna attendere un po’ di più perché la reazione frenante del veicolo, necessaria a succhiare energia da immagazzinare nella batteria, è più forte e quindi si corre il rischio di non arrivare all’incrocio.
La cosa è ancora più evidente quando si viaggia in tangenziale e si arriva all’uscita da imboccare. Perché se si viaggia a 85 km/h si ha bisogno di rallentare il veicolo chiedendo supporto al freno motore, articolato in tre posizioni. Noi abbiamo verificato la prima e la reazione frenante è stata talmente imponente – e soprattutto altamente rinfrancante per la ricarica della batteria – da far ritenere che le altre due siano da usare soltanto in condizioni estreme o piuttosto in discesa.
Tutto questo per dire che ponendo attenzione a questi dettagli e soprattutto conoscendo alla perfezione il percorso in cui ci si sta muovendo diventa più facile non soltanto reagire come il veicolo elettrico gradisce, ma soprattutto rendere più interessante la sua autonomia. Ecco perché la transizione ecologica richiede una dose necessaria di tecnologia, ma anche un cambio radicale di mentalità. Alla prima provvedono i costruttori, per il secondo è affidato alla buona volontà di chi guida. Sempre che abbia a cuore le sorti del pianeta…

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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