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Ho lasciato l’Italia perché non c’era spazio per le donne

Sì, anche questa tenace 39enne di Trento voleva il camion. Un sogno inseguito fin da bambina e messo a fuoco nel 2013 quando ha preso le patenti. Poi la doccia fredda: in Italia, fino a qualche anno fa, non c’era spazio per le donne autiste. O forse, mancava il coraggio. Quello con cui Paola è riuscita oggi a realizzarsi e a fare di una passione il proprio mestiere

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Appena Paola Cestari, autista 39enne originaria di Trento, inizia a raccontarsi appare subito chiaro perché, qualche anno fa, non si sia lasciata intimorire da un settore che, allora come oggi, vede gli uomini in netta superiorità numerica. Paola è solare, entusiasta del suo lavoro e soprattutto è intraprendente: «Voglio raccontare la mia storia perché altre donne possano sentirsi ispirate». E la sua storia, in effetti, è di grande ispirazione. Ma andiamo con ordine.

Il sogno dell’autotrasporto è sempre stato nel suo DNA, fin da bambina. «Avevo quattro anni quando ho iniziato a dire ai miei genitori che volevo fare la camionista, vedevo i tir in autostrada e pensano che avrei tanto voluto guidarne uno». I genitori di Paola, madre casalinga e padre elettricista, non l’hanno mai ostacolata. «Papà mi diceva che l’importante era scegliere un lavoro che mi faceva alzare felice al mattino». E così è stato: inizia a 16 anni in un distributore di benzina e a 21 si mette alla guida di un furgone per trasportare capi di abbigliamento da una parte all’altra del Trentino. Ma non era abbastanza, non erano i giganti della strada che guardava con bramosia da piccola. «Mi mancava il coraggio. La prima volta che sono andata a scuola guida per iscrivermi ci ho ripensato: ho visto solo uomini e mi sono chiesta cosa stessi facendo lì. Così, me ne sono andata e per diversi anni ho accantonato l’idea. Poi nel 2013 è scattato qualcosa, sono tornata a scuola guida e questa volta mi sono iscritta, ho preso le patenti e per due anni ho lavorato con un camion motrice».

I problemi iniziano quando Paola decide di fare un passo in avanti: «Volevo guidare il bilico e fare tratte internazionali e così ho iniziato a cercare, ma in Trentino non trovavo nulla. Non che mancasse il lavoro, il problema era affidarlo a una donna. Ricordo di aver risposto a un annuncio e nessuno mi richiamò. Per curiosità feci candidare anche un amico e gli risposero subito. Stavo perdendo la speranza, ero quasi rassegnata all’idea di lasciar perdere e di aver investito male i miei risparmi per conseguire le patenti, quando mi arrivò una proposta dalla Germania».

Come hai reagito di fronte a questa proposta?

Era un’opportunità che non potevo lasciarmi sfuggire, ma inizialmente ero preoccupata, soprattutto per via del tedesco che allora non parlavo quasi per nulla. In realtà non si è mai rivelato un problema. L’azienda era tedesca, ma io facevo base a Trento e percorrevo la tratta Italia-Germania-Austria. Non era tutto facile: i primi tempi mi chiedevo spesso se stessi facendo la cosa giusta. Il supporto della mia famiglia è stato preziosissimo per convincermi a non abbandonare e oggi non mi pento di nulla, se non di una cosa: se potessi tornare indietro, prenderei subito le patenti, senza lasciar passare tutti quegli anni.

A piccoli passi le donne stanno entrando nel settore. Possibilità che a te qualche anno fa è stata negata in Italia. Com’è invece la situazione all’estero?

In Germania e in Austria, dove da due anni mi sono trasferita dopo aver cambiato azienda, le donne sono molto più presenti e si fa tanto per sensibilizzare le ragazze a intraprendere la professione. Penso per esempio a programmi televisivi molto seguiti dedicati alle autiste. In Italia, invece, capita ancora di essere guardate con stupore o diffidenza. Ricordo che una volta arrivai a scaricare in una ditta, avevo targa austriaca e sentii uno dei presenti fare commenti con un collega sul fatto che non sarei stata in grado di fare manovra. Non dissi nulla, anche perché non sapevano che capivo perfettamente quanto dicevano. Quando finii li guardai e, sorridendo, chiesi: «Tutto bene?».

I compagni di viaggio di Paola sono Teddy e Paula, due orsacchiotti di peluche. «Paula si chiama così – spiega – perché all’inizio in Germania non riuscivano a pronunciare correttamente il mio nome e mettevano la “u” al posto della “o”»

Alla fine, però, dall’Italia te ne sei andata e oggi vivi in Austria. Perché questa scelta?

Per amore. La mia dolce metà è un austriaco, anche lui autista. Ci siamo conosciuti in un’area di servizio durante una pausa. Iniziammo a chiacchierare, poi da cosa nasce cosa e ormai da due anni vivo e lavoro in Austria continuando a fare la spola tra Germania e Italia. E lui non manca mai di ricordarmi quanto sia fiero di me.

Qual è la tua giornata tipo?

Oggi sono partita alle 3 di mattina dall’Austria, sono arrivata a Milano, ho fatto due carichi e domani vado sul Lago di Garda. Poi passo in Germania e infine torno in Austria. Di solito parto il lunedì sera o il martedì al mattino presto e rientro il sabato in mattinata, così il week-end riesco a passarlo a casa.

Cosa trasporti?

Un po’ di tutto: dal vino al tessile, ma anche macchinari, bulloni, ordini Amazon e cisterne chimiche, avendo anche il patentino ADR per trasportare merci pericolose.

Come ti organizzi quando dormi in camion?

La difficoltà più grande che una donna autista deve affrontare sono i servizi igienici, spesso sporchi e inaccessibili, soprattutto in Italia. Per questo li evito: quando posso mi lavo nelle aziende logistiche che hanno servizi per le donne, ma non è facile. In Austria e in Germania il problema è meno sentito, perché con tre euro puoi fare una doccia calda in un ambiente pulito.

Hai mai paura di trascorrere la notte in camion?

Di solito, quando le ditte me lo consentono, dormo dentro. In caso contrario, non è mai stato un problema. Solo una volta, lo scorso gennaio, mi sono trovata in una situazione poco piacevole. C’era ancora il coprifuoco ed ero convinta che la situazione fosse tranquilla, così mi sono messa a dormire davanti all’azienda. Verso mezzanotte ho sentito dei rumori, così ho acceso il camion e ho iniziato a suonare il clacson. Ho aspettato qualche minuto e poi mi sono rimessa in marcia, ho raggiunto la prima area e lì mi sono resa conto che avevano tentato di rubarmi la merce perché nel telo c’erano tre grandi squarci. Devo ammettere che la paura è stata tanta, ma mai abbastanza per indurmi a smettere.

Come passi il tempo durante le pause?

Oltre alla guida ho altre due passioni: le camminate e la bicicletta. Ho una bici richiudibile sul camion e ogni volta che posso ne approfitto per sgranchirmi le gambe, anche solo facendo il giro dell’area di sosta o dei piazzali delle ditte. 

Oggi i tuoi genitori sono contenti del tuo lavoro?

Sì, contenti e orgogliosi. Ogni volta che passo da Trento e ho una pausa mi raggiungono apposta in autogrill per bersi un caffè e salutarmi, anche al mattino prestissimo.

Progetti per il futuro?

Il mio futuro è con Gangal, il mio camion che per me è come se fosse un figlio. L’ho chiamato così perché in dialetto tirolese significa “diavoletto”. Mi piacerebbe un giorno aprire una piccola azienda di autotrasporti tutta mia, tornare in Italia e vivere in una località sulla costa, in modo tale che quando rientro da un viaggio all’estero posso vedere il mare e sapere di essere a casa.

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