Il destino di certi uomini è scritto nella loro storia. Quello di Gianandrea Ferrajoli, brillante imprenditore salernitano, CEO di Mecar (prima e più nota concessionaria campana di camion), presidente di Federauto Trucks e membro di tanti organismi europei e internazionali di settore (Cecra, tanto per citarne uno), era di andare veloce e di bruciare in fretta ogni traguardo. Quello finale lo ha tagliato tutto d’un fiato ad appena 41 anni lo scorso 10 settembre, a Roma, dopo che un malore lo aveva colpito improvvisamente in Corsica. Il Mattino ha scritto che all’origine del malore ci fosse uno scompenso cardiaco determinato da una forma tumorale, di cui Gianandrea non era a conoscenza. Dettaglio che a questo punto non ci cambia le cose. Perché il tratto che ci piace ricordare è la sua rapidità: nel fare, nel pensare, nell’immaginare, nell’ipotizzare scenari e nel prospettarne sempre di nuovi.
Un destino che, com’è normale, Gianandrea non aveva scelto, ma gli era stato suggerito dalle contingenze. Nel senso che era figlio di un padre che aveva portato la Mecar a crescere in modo esponenziale e nipote di un nonno che l’aveva fondata. Di conseguenza si trovava in quella condizione tipica del «figlio di papà», che nasce sul morbido e potrebbe vivere in maniera distaccata rispetto alle cose del mondo. Ecco perchè, anche per negare questo luogo comune, il “Ferrajoli junior” si è dovuto rimboccare le maniche: prima ha studiato in contesti prestigiosi (a Londra, alla Regent’s European Business School, e nel Massachusetts all’Harvard Business School di Cambridge), poi ha lavorato – lui salernitano – per conto di una banca francese a Londra e, soltanto dopo, ha raccolto il testimone che lo portava a prendere in mano le redini dell’impresa di famiglia.
Scelta comunque difficile, perché cosa avrebbe pensato di lui chi lavorava per e con la Mecar? Oggi lo sappiamo, anche perché se ne trova testimonianza sincera nelle decine e decine di post lasciati sulla sua pagina facebook. Ma all’inizio della sua esperienza professionale, è molto probabile che qualche scetticismo vagasse nell’aria. E lui per metterlo in fuga si affidava a inglesismi, a citazioni e a concettualità fin troppo elevate per trovare concreta applicazione nel mondo dei camion. Gianandrea se ne rese conto e cambiò registro. E nel corso degli anni fece “atterrare” le proprie competenze, seppure in modo coerente rispetto alla propria indole. Vale a dire, iniziò a diventare sempre di più esperto nel cogliere i cambiamenti, nel registrare le evoluzioni di un mercato che, per la prima volta e dopo tanto tempo, subiva enormi stravolgimenti dettati dalle criticità economiche e dalle emergenze ambientali. Tradotto: riusciva a interpretare ciò che si muoveva, a maggior ragione quando il movimento era veloce, perché imposto da un’urgenza o da una crisi contingente.
Si può citare in tal senso il ruolo che pensava avrebbe dovuto giocare la concessionaria – che lui chiamava Service Provider – dopo la pesante crisi degli anni successivi al 2008. Scommetteva in particolare sulla sua presenza di prossimità, sul sostegno costante che il Dealer avrebbe dovuto fornire al trasportatore, disseminandolo lungo l’intera filiera, per riuscire così a minimizzare, a colpi di servizi, ogni possibile fermo macchina e ogni calo di fatturato. Così, una realtà commerciale basata tradizionalmente su un vincolo territoriale, nella sua visione diventava estesa, quanto richiedesse l’operatività del trasportatore.
Allo stesso modo, in tempi non sospetti, Gianandrea lanciò una battaglia per ripulire le emissioni dei camion e si affidò a due armi differenti. La prima la combatte sposando la causa del metano. E per questo si vantava di essere – allora – il concessionario che vendeva il maggior numero di veicoli alimentati con LNG in Italia, anche se poi – subito dopo – constatava che da Salerno il distributore più vicino di quel carburante distava più di 600 km. Allora, certo. Perché da lì a qualche anno – e in modo il più possibile rapido – provvide a colmare quella lacuna direttamente in prima persona, aprendo un distributore in “casa sua” (a Baronissi Est).
La seconda arma era quella agile di start up della caratura di Macingo, una sorta di Blablacar del trasporto che mirava a ridurre le emissioni inutili e a ottimizzare i carichi interfacciando domanda e offerta di servizi e che Gianandrea sostenne nella nascita e nell’amministrazione.
In questo modo, interpretando un mondo in mutazione e assegnando nuova funzione agli attori che lo animano, Ferrajoli assunse spessore, ma soprattutto acquisì uno stile personale ed elegante, un equilibrio perfetto di scanzonatezza e raffinatezza. Equilibrio di forme, ma anche di contesti e di tradizioni. Una volta, in occasione della consegna di alcune decine di veicoli alla SMET, altra importante impresa del salernitano riuscita a imporsi in ambiti allargati, venne organizzato un evento a Parma, una capitale della cultura culinaria italiana al pari di Salerno. E il meticciare questi due mondi, farli incontrare in maniera equilibrata, fu un’esperienza riuscita e apprezzata.
In definitiva, la sensazione era che Gianandrea Ferrajoli fosse entrato nel mondo del trasporto con qualche ansia e tanta voglia di affermare un ruolo e che dopo una decina di anni avesse seminato tanto e tanto in fretta. Quindi, tutto lasciava presupporre che avrebbe potuto dimostrare nei lustri a venire, segnati dalle tante incertezze dettate dalla transizione energetica, una personalità sempre di più utile all’intero settore.
Adesso, dopo questo rapidissimo e sconcertante addio, Gianandrea ci costringe a fare qualcosa di ugualmente spiazzante: voltarsi indietro per riprendendere in considerazione le sue idee di avanguardia e, quindi, puntare lo sguardo in avanti. E tutto questo funzionerà – ne siamo convinti – allo stesso modo di un’avvincente lezione di storia, in cui gli insegnamenti passati si rivelano preziosi per affrontare meglio quanto riserva il futuro. Ma è esattamente così che il suo pensiero veloce diventerà improssivamente più longevo e persistente. E quindi si prenderà gioco, per quanto possibile, di quel destino impietoso che decide senza appello quando è ora di fermare il tempo degli umani.