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Il legno rincara del 30%. Allarme dei produttori e timori del mercato. Pallet: aumenti a primavera

Una tempesta perfetta si sta abbattendo sul settore: Americani e Cinesi comprano legname dall’Europa in sottoproduzione per il Covid. I fabbricanti italiani di bancali non trovano più la materia prima e se la trovano la pagano di più. E i rincari saranno inevitabili. L’alternativa? Una seria politica forestale

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Chi cercasse una conferma alla teoria del caos – quella per la quale un battito d’ali di una farfalla a Pechino può provocare un temporale a New York – la troverebbe in quello che sta accadendo alla produzione italiana dei pallet, schiacciata da una tempesta perfetta che parte dalle due estremità del mondo – Stati Uniti e Cina – e, sconvolgendo il mercato mondiale del legno, rischia di costringere le nostre imprese a imporre consistenti aumenti di prezzo e, addirittura, a dover rinunciare a rispondere alla domanda per mancanza di materia prima.
L’allarme l’ha lanciato ai primi di marzo Ezio Daniele, amministratore delegato della Imballaggi Valtanaro e presidente di Assoimballaggi, l’associazione di FederlegnoArredo che rappresenta oltre 300 aziende delle 1550 di un settore che comprende i fabbricanti di imballaggi industriali (casse e gabbie), pallet, imballaggi alimentari ortofrutticoli e ittici, cassette di vino, ma anche i riparatori che reimmettono sul mercato prodotti già utilizzati, denunciando aumenti  di costo della materia prima dell’ordine del 30% (e il costo del legno incide per il 75% sul prodotto finale) e, soprattutto, una totale incertezza dell’approvvigionamento. «La criticità maggiore nell’immediato», ha detto a Il Sole 24 Ore, è il reperimento stesso della materia prima» e ha aggiunto che in 40 anni «non ho mai visto una situazione del genere. Anche in passato è accaduto che i prezzi del legno aumentassero, ma non con questa rapidità e comunque i flussi delle forniture sono stati sempre regolari».
Ma già a fine ottobre 2020, la Federazione europea dei fabbricanti di pallet (FEFPEB, letteralmente Fédération européenne des fabricants de palettes et emballages en bois) aveva avvertito di prepararsi al peggio, a causa delle azioni di lockdown anti-Covid che hanno bloccato le segherie e, alla ripresa dell’edilizia e di altre attività che utilizzano il legno, le scorte si sono subito esaurite e il mercato è entrato in affanno.

Non che il Covid abbia risparmiato altri settori. Rincari dello stesso ordine del legno li hanno subiti i rottami ferrosi destinati alle acciaierie, mentre il coil per elettrodomestici è cresciuto del 40%. Ancora più forti gli aumenti nel settore chimico: metanolo, urea e melanina hanno registrato incrementi di costi dell’80-90% e la plastica Abs (acrilonitrile-butadiene-stirene) è addirittura raddoppiata di prezzo. Ma i bancali sono alla base del sistema distributivo. Il segretario generale della FEFPEB, Fons Ceelaert, ha ricordato che «i pallet e gli imballaggi in legno hanno un ruolo fondamentale nelle catene di approvvigionamento essenziali di alimenti, bevande e prodotti farmaceutici e la domanda di questi prodotti è rimasta costante durante i periodi di blocco».

LA TEMPESTA PERFETTA

Certo, il Covid ha causato una riduzione dell’offerta di legname un po’ in tutto il mondo, in particolare in Paesi produttori come Svezia, Germania, Irlanda, Stati Uniti e Canada, ma non sono stati solo i lockdown le farfalle che hanno portato all’emergenza annunciata per i prossimi mesi da Assoimballaggi. Hanno battuto le ali anche gli Stati Uniti, in guerra dal 2017 – grazie a Donald Trump e al suo «America First» – con il vicino Canada (primo esportatore al mondo con 31 miliardi di chili di legname) al quale hanno imposto un dazio del 20% sul legno in entrata negli Usa, proprio mentre il Messico e i paesi sudamericani tagliavano le proprie esportazioni del materiale. A Washington non è rimasta altra scelta che rivolgersi ai produttori europei: Germania e Paesi scandinavi in testa.

Un’altra «farfalla» che sbatte le ali è la Cina. Secondo il Rapporto FAO 2018, in quell’anno le importazioni cinesi di legno tondo industriale sono aumentate dell’8% e la produzione e il consumo di segati e pannelli nel Paese hanno continuato a crescere più rapidamente in Cina che nel resto del mondo. Nonostante le affermazioni riduttive di qualche buontempone, ai cinesi il legno non serve solo per le bacchette da pasto (benché la produzione delle «posate orientali» in 20 anni abbia consumato circa 20 milioni di alberi), ma anche per sostenere un’industria che ha scavalcato con relativa disinvoltura la crisi pandemica ed è ripartita con un export da 3,91 trilioni di dollari nei primi dieci mesi del 2020. Non stupisce, allora, che attualmente Pechino sia la terza destinazione delle esportazioni di conifere tedesche.

Batte le ali anche il Regno Unito post Brexit. Qui non si tratta di produzione, ma di transito. L’uscita di Londra dall’Unione europea impone di sottoporre a rigorosi controlli contro i parassiti e gli agenti patogeni del legno i cento milioni annui di pallet che ogni anno attraversano la Manica in uscita dal Paese (ormai extraeuropeo) verso gli Stati dell’Unione. I controlli consistono in una sanificazione di almeno trenta minuti alla temperatura di almeno 56°. Per questa operazione, tuttavia, la Gran Bretagna non è ancora attrezzata e il Covid ha rallentato l’installazione degli impianti di sanificazione. La richiesta di rinviare di sei mesi l’applicazione della norma è stata respinta, con la conseguenza che – nonostante una certa tolleranza delle autorità doganali – i pallet si bloccano, ritardano e, dunque, finiscono per far aumentare la domanda dei Paesi dell’Unione.
Il risultato di questo sfarfallio globale è, da una parte, che i più forti produttori europei di legname – Svezia (18,5 miliardi di chili), Finlandia (16), Germania (14,5), Austria (7) – hanno «scoperto» che i nuovi mercati ricchi – Usa e Cina – pagano meglio e così hanno deviato verso di loro i volumi destinati all’Unione e, dall’altra, che la riduzione della produzione e il collo di bottiglia inglese hanno accentuato la domanda di pallet sul mercato europeo. Una somma algebrica doppiamente negativa per gli Stati europei e in particolare per l’Italia.

I PALLET IN ITALIA

Da noi, infatti, di pallet se ne producono ogni anno più di 90 milioni (91,8 nel 2018) ai quali ne vanno aggiunti altri 56 milioni «reimmessi» dopo una riparazione a cura di ditte specializzate per un totale di 147,8 milioni di pezzi. Ma il legno di base per due terzi è importato dai paesi più vicini – Germania e Austria soprattutto – dal momento che il trasporto del legname è abbastanza costoso e il prodotto a basso valore aggiunto non consente molti margini di recupero.
Il settore italiano dei pallet – all’avanguardia per macchinari e in crescita fino ad oggi – importa legname semilavorato (tronchi piccoli e segati dalle parti laterali) ed è il secondo produttore europeo dietro la Polonia che con i suoi 254 milioni di pezzi ha conquistato il primato negli ultimi anni e rifornisce anche l’Italia, la cui produzione non copre il totale del fabbisogno nazionale. Che, peraltro, è molto variegato: soltanto 6,8 milioni di pallet rispondono allo standard EPAL, sicuramente il più diffuso nel continente e, dunque, il più adatto all’interscambio (con o senza bonus, in caso di mancanza di pezzi da scambiare sul momento), ma anche al noleggio che sono le due modalità principali di gestione dei bancali. Per il resto si tratta di altri standard meno diffusi, spesso destinati al mercato extraeuropeo, se non addirittura di pezzi realizzati appositamente per il cliente.

RINCARI A PRIMAVERA

È dunque su quei 7 milioni di EPAL (ogni anno ci sono 300 milioni di movimentazioni su questi tipo di pallet) che si può tentare un confronto omogeneo sui costi. L’Osservatorio semestrale ECR sul valore dei pallet EPAL 800×1200 mm a quattro entrate, che viene usato per la risoluzione delle controversie legate all’interscambio, non registra grandi variazioni: gli ultimi valori sono a 7,57 euro (settembre 2020) e a 7,38 euro (marzo 2021). Sono cifre che riguardano l’usato. Il prezzo del nuovo varia molto dai 10-15 euro in su, ma quel che dimostra la rilevazione è che i committenti e i vettori a tutt’oggi ancora non sono stati raggiunti dagli effetti della crisi del legno. Anche perché i produttori di pallet si stanno facendo carico dei nuovi oneri. «Purtroppo gli aumenti sono così repentini», spiega Livia Gilardi, amministratrice della Monari Pallet, di Mantova, 50 dipendenti e 23 milioni di ricavi, «che non riusciamo a trasferirli sui clienti, quindi per alcuni periodi ci troveremo a lavorare sotto costo».
Almeno finché non scadranno i contratti in corso che sono annuali o semestrali, ma soprattutto trimestrali, e dunque il rischio è di ritrovarsi in primavera con consistenti aumenti di prezzo per gli utilizzatori dei pallet. D’altra parte, soluzioni a breve non ce ne sono. Il pallet di plastica non è una soluzione: non regge carichi eccessivi, protegge meno dai batteri (il legno ha un’attività antibatterica 13 volte superiore) e soprattutto è più caro. Anche aprire nuovi mercati richiede tempo: le norme italiane sulla legalità e soprattutto sulla sicurezza della catena di approvvigionamento sono rigorose e richiedono tempo per essere applicate correttamente.

UNA POLITICA FORESTALE

E allora? Secondo Assoimballaggi, per ora c’è solo da incrociare le dita, sperando che la primavera riporti il legname sul mercato. Ma per metterci al riparo per il futuro, visto che sul nostro territorio esistono 11 milioni di ettari di foresta poco sfruttati, ci sarebbe bisogno di una politica forestale che ci rendesse autonomi. «Austriaci, tedeschi, francesi, svedesi, finlandesi», ricorda Daniele, «per ogni albero tagliato ne ripiantano almeno tre. Se noi adottassimo una politica forestale di questo tipo avremo importanti ricadute economiche e occupazionali: lavorare nei boschi, aprire segherie significa creare occupazione sana usando materiale biodegradabile e rinnovabile». E aggiunge: «Il bosco è un bene ambientale da proteggere assolutamente» e il pallet in legno è un «prodotto etico». «L’imballaggio in plastica», aggiunge, «quando ha finito la sua vita diventa un rifiuto, quelli in legno no. Finito il viaggio può essere utilizzato per altri trasporti, può essere triturato per fare agglomerati in legno, usato come biomassa e produrre energia».
Una corretta politica forestale, peraltro, ci metterebbe al riparo anche dalle oscillazioni di una produzione soggetta a insidie meteorologiche e naturali. Due anni fa l’uragano Vaia ha colpito il nostro Nord-Est e i paesi confinanti, Svizzera, Austria, Slovenia schiantando al suolo 42 milioni di alberi e distruggendo decine di migliaia di ettari di foreste di conifere. «Quella tempesta», ricorda Daniele, «ha dimostrato quanto siamo deboli, perché il 30% dei tronchi sono finiti in Austria, dove li hanno tagliati e poi ce li hanno rivenduti…».
Un mercato – quello dei bancali – in cui nessuno va per il sottile. La Polonia, che fino al 2017 aveva una produzione di pallet pari se non inferiore a quella italiana, nel 2018 ha avuto un balzo impressionante, schizzando da 100 a 250 milioni di pezzi prodotti. Da quando, cioè, si sono avuti i primi effetti della decisione di abbattere un milione di alberi della foresta vergine di Bialowieza, l’ultima rimasta in Europa, nonostante una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles e una sentenza della Corte di Giustizia europea, con la motivazione che gli abeti erano stati attaccati dal bostrico dell’abete rosso o Ips typographus, un coleottero nocivo per le piante.
Chissà cosa contempla la teoria del caos se il battito d’ali non è di un lepidottero in Cina, ma di un coleottero in Polonia…

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