Roberto Grechi se n’è andato. Lo storico presidente della Cafa di Ferrara e vicepresidente per decenni del Gruppo Federtrasporti, ha intrapreso il suo ultimo viaggio con tanta fretta, imposta stavolta dai contraccolpi ingiusti di un virus con cui diventerà ancora più difficile convivere.
In realtà, Grechi aveva percorso di fretta buona parte dei suoi 75 anni (compiuti proprio la settimana scorsa). O almeno in questo modo interpretavano il suo modo di essere le persone con cui intratteneva rapporti. Esemplare in tal senso quando avevi con lui un appuntamento: rispetto all’ora prefissata, si presentava con almeno 15-20 minuti di anticipo. E anche dopo, quando le cose da dirsi erano assodate, non amava far scorrere il tempo inutilmente: rimontava in auto e partiva, perché aveva ancora tanto da fare.
E in effetti con questa modalità operativa Grechi ha smosso tante cose. Nel 1966, quando contribuì alla fondazione di quel consorzio ferrarese a cui avrebbe dedicato buona parte della sua vita, aveva obiettivi ambiziosi: creare una struttura aggregativa in grado di essere protettiva rispetto a tanti autotrasportatori sguarniti di tutela. All’epoca era un contabile, ma abbastanza in fretta divenne prima direttore e quindi presidente. E mentre mutavano i suoi ruoli, gli scopi rimanevano inalterati, anche se nella sua testa le cose apparivano sempre meno romantiche di quanto sembrassero inizialmente. Lo ripeteva sempre: «Il padroncino è uno che pensa per sé: un testardo individualista». Eppure, da questa considerazione non faceva scaturire un distacco, ma al contrario puntava ad alzare la soglia di protezione creando strutture sempre più solide e solidali. La storia della Cafa è attraversata da questa contraddizione: un percorso di costante crescita della forma aggregativa per emancipare sempre di più ostinati e piccoli autotrasportatori. E per crescere Grechi le ha provate tutte: ha creato una consistente flotta di veicoli di proprietà consortile per movimentare ciò che i padroncini non riuscivano a fare; ha spinto alcune attività primarie verso una mirata specializzazione, al punto da proporsi – almeno rispetto alla filiera dello zucchero – come un interlocutore logistico di livello internazionale; si è spostato sempre più verso anelli della catena logistica ulteriori rispetto al trasporto, per andare a recuperare nei primi quel margine che il mercato faticava a riconoscere al secondo.
Andava di fretta Grechi, anche in Federtrasporti, altra realtà aggregativa in cui la Cafa era entrata diversi decenni fa e al cui interno lui ha sempre combattuto perché non riusciva ad accettare quel ruolo subalterno in cui spesso viene relegato l’autotrasportatore e perché voleva che ottenesse a tutti i costi il giusto corrispettivo del suo lavoro.
Andava di fretta Grechi, anche quando per primo in Italia si presentò davanti a un tribunale per ottenere il riconoscimento dei costi minimi di sicurezza o quando – caso praticamente unico nel paese – pretendeva dal caricatore quell’indennizzo che va riconosciuto al vettore lasciato attendere più del dovuto. E dover attendere inutilmente era una cosa che proprio non gli andava giù.
Andava di fretta Grechi a maggior ragione da quando, tra i tanti impegni – non ultimi quelli all’interno della FAI – era spuntato da qualche anno quello che più di altri rendeva giustizia alla sua voglia di movimento. E così, in pausa pranzo o non appena possibile, infilava le scarpette e partiva, di corsa, fin dove poteva. Sia chiaro: mai da solo, ma sempre accompagnato da trasportatori o altri dipendenti della Cafa. E guai con lui a chiamarlo «passatempo»: ai suoi occhi era non soltanto una maniera per tenersi in forma, ma soprattutto un modo per fare collettivo, per creare lungo una strada pedonale quel senso di condivisione che tante volte quella da percorrere con le grandi ruote dei camion faticava a generare. Inutile dire che anche questa cosa, come tutte quelle che toccava, è divenuta molto seria. E il presidente se ne rese conto quel giorno in cui, mentre attraversava la Grande Mela gareggiando nella maratona di New York, un uomo vedendolo passare lesse il suo nome sul retro della maglietta e gli urlò: «Go Grechi go!».
Se n’è andato di fretta Grechi, prima di riuscire a portare a termine le sue ultime battaglie, a partire da quella sui costi di riferimento dell’autotrasporto. Perché non sopportava che, dopo aver combattuto per anni per ottenerli, adesso tutti se li dimenticassero in un cassetto sempre più polveroso. E quando gli si cercava di spiegare che poteva essere percorribile anche una strategia di attesa, utile cioè a far uscire le controparti allo scoperto, lui tagliava corto: perché nella sua testa l’unica strategia era l’azione. Quindi, il contrario dello stare fermi.
Se n’è andato troppo in fretta Grechi, quasi senza salutare. E forse anche per questo il vuoto che lascia occupa tanto spazio. Per riempirlo servirebbe tempo. Ma lui, guardando l’orologio, non ce ne avrebbe concesso più di tanto. E contraddirlo adesso è veramente impossibile.