Che cos’è il progresso? Da piccolo ero convinto ci fosse un numero inequivocabile per misurarlo: l’età media di vita. Alessandro Magno, malgrado fosse riuscito a mettere insieme l’impero più esteso del suo tempo, chiuse definitivamente gli occhi ad appena 32 anni.
E nell’antica Roma in media non si andava oltre i 40. Oggi, in Italia, la speranza di vita supera gli 85 «inverni» (dopo i sessanta prendono il posto delle «primavere»; copyright Umberto Cutolo) e addirittura sono in circolazione 15.500 centenari. (Lo dico tra parentesi: esistono pure 303 titolari di aziende di autotrasporto ultranovantenni). Dal che sarebbe logico concludere che siamo progrediti in maniera entusiasmante, più che raddoppiando l’età a cui ambiva alla nascita un qualunque Giulio Cesare. Invece no: in quest’epoca di contraddizioni, per la prima volta nella storia dell’uomo scopriamo che la vecchiaia non è una conquista, ma un problema, un generatore di costi e difficoltà.
Se poi al crescere degli anziani si sovrappone l’assottigliarsi delle nascite e quindi dei giovani, il cocktail diventa micidiale. In Italia lo si shakera con una dose di 1,2 milioni, che è sia il numero di persone tra i 20 e i 34 anni in meno rispetto a 10 anni fa, sia quello di over 65 in più. Percentualmente il colpo peggiora: gli under 34 sono meno del 16%, gli over 65 oltre il 30%. E allora, è strano che di autisti di camion nel nostro paese ce ne siano sempre meno? La risposta, soppesata anche in relazione al fardello di sacrifici richiesti dalla professione, non può che essere «no». I numeri lo confermano: rispetto a due anni fa, a febbraio 2021 esistono 129 mila persone in meno con in tasca una patente C. Se si valutano le CQC la dinamica peggiora, perché per avere una percentuale analoga a quella rappresentata dagli under 34, pari come detto al 16%, bisogna salire fino agli under 43 o 44. Le cose vanno meglio – si fa per dire – con le patenti CE, perché qui il rapporto tra pensionati e nuovi ingressi è di 2,5 a 1: due autisti e mezzo escono, uno entra. Quindi, è inutile girarci intorno: un problema demografico di tali dimensioni non si affronta con la bacchetta magica. Necessita di pianificazione, di programmazione di lungo periodo e, soprattutto, di politici animati dal raro interesse a voler costruire positività per un domani, anche se non potranno vederlo direttamente.
Ma siccome la carenza è urgente bisogna sforzarsi di individuare più soluzioni immediate da sovrapporre. Le più credibili tra quelle trattate nelle pagine che seguono sono:
1. diminuire l’età minima per acquisire le patenti superiori a 18 anni. Non per ampliare la
platea degli aspiranti, ma per saldare il tempo tra la fine degli studi e l’opportunità di
salire in cabina. Nei tre anni di tempo tra i 18 e i 21 anni è più probabile che un giovane, se anche avesse voglia di condurre camion, sia conquistato da altro
2. incrementare l’insegnamento del trasporto negli istituti professionali e avvicinare i
giovani alle aziende tramite i già esistenti percorsi di alternanza scuola-lavoro
3. abbattere i costi della CQC lasciando che la parte pratica per conseguirla sia effettuata
sotto forma di tirocinio in un’azienda, disponibile ad assumersi tale quota dei costi
formativi nella speranza di avvicinare nuove leve. Il giovane, oltre a spendere meno,
avrebbe modo così di avere una prospettiva lavorativa più tangibile;
4. accrescere la quota parte che il decreto Flussi riserva all’autotrasporto, in modo da
colmare la lacuna occupazionale tramite un numero più alto di immigrati;
5. facilitare con azioni di comunicazione, politiche di welfare e sgravi contributivi l’ingresso delle donne nel settore. Nel 2018 rappresentavano l’1,6%, nel 2019 sono
salite al 2,1%. In termini assoluti significa che oggi lungo le strade ci sono 4.000
autiste di camion in più. Un altro incremento di questo tipo e la lacuna occupazionale
sarebbe meno ampia e l’autotrasporto diventerebbe migliore. Perché è presto detto:
è un settore così tanto abituato a correre al ribasso, ad accettare trattamenti poco
edificanti e a convivere con la mancanza di servizi, che una presenza femminile
potrebbe aiutarlo a pretendere normalità e decoro laddove oggi, spesso, trova spazio
indecenza e approssimazione.