In Russia, a partire dal 2021, le donne possono tornare a guidare i camion e a svolgere numerose altre professioni prima proibite. Dopo anni di proteste e lotte, infatti, i lavori vietati (o soggetti a restrizioni) al sesso femminile si sono ridotti da 456 a soli – si fa per dire – 96. L’art. 253 del Codice del lavoro della Federazione Russa, infatti, prevedeva che alle donne fosse vietato svolgere «attività pesanti, pericolose e/o non salutari, nonché il lavoro sotterraneo, a esclusione del lavoro non fisico o dei servizi sanitari e domestici». Una legge introdotta nel 1974 per assicurare la protezione della salute riproduttiva femminile e che ha portato alla creazione di una lista di professioni loro vietate.
Una decisiva spinta al cambiamento fu impressa, nel 2016, dal caso di Svetlana Medvedeva che indusse la Corte Suprema russa a riconoscere la norma del Codice del Lavoro come discriminatoria. Medvedeva nel 2012 era stata assunta da una compagnia di navigazione privata come capitano di un’imbarcazione commerciale, ma poco prima di assumere il suo ruolo a bordo la compagnia aveva dovuto ritirare l’offerta proprio perché avrebbe infranto il Codice del lavoro.
La Russia non è però l’unico paese in cui sono presenti discriminazioni di questo genere: in Kazakistan sono 219 i lavori ancora oggi vietati, mentre in Ucraina e Uzbekistan le liste sono state abolite solo negli ultimi anni, così come in Arabia Saudita alle donne è stata concessa la possibilità di guidare un veicolo (qualunque veicolo, anche un vettura) soltanto nel 2018.
Tra le 456 attività sino ad oggi proibite vi era anche la conduzione di mezzi di trasporto pubblici con a bordo più di 15 passeggeri. Proprio quest’ultima è divenuta il simbolo del cambiamento e a partire dal primo gennaio scorso 25 nuove macchiniste hanno preso servizio presso la metropolitana di Mosca. La strada da percorrere, però, è ancora lunga. Restano infatti vietate le attività che prevedono un contatto diretto con sostanze chimiche nocive o esplosivi e le discriminazioni nel mondo del lavoro sono ancora presenti: il gender pay gap, vale a dire il divario di retribuzione tra i sessi, si attesta per esempio intorno al 30%.