Non bastava la Brexit a complicare la vita ai trasportatori europei; adesso ci si mette pure la variante inglese del Covid, che sta allarmando mezzo mondo e ha indotto molti paesi (al momento in cui scriviamo sono 43) a chiudere i collegamenti aerei o addirittura le frontiere di terra con il Regno Unito. Ma procediamo con ordine.
I primi problemi alle frontiere a Sud dell’Inghilterra, a Folkestone e a Dover, si erano create già nei giorni scorsi, nei punti in cui partono i traghetti per attraversare la Manica. Le code formate da camion erano arrivate a formare un unico serpentone di 30, forse 40 chilometri, con quasi diecimila veicoli pesanti in colonna, che segnavano il paesaggio verde e placido della contea del Kent. Il perché è presto detto: il 31 dicembre, salvo accordi dell’ultima ora, finirà la fase di transizione e il Regno Unito uscirà ufficialmente dall’Unione Europea, dando seguito all’esito del referendum del 2016. A quel punto si potrebbero ristabilire le frontiere e quindi i dazi e allora, per scongiurare tale prospettiva, tante aziende di qua e di là dalla Manica hanno iniziato a importare o a esportare merci creando adeguati e inaspettati stock. In genere in qua arrivano materie prime e altri manufatti di produzione britannica, mentre in là vanno per lo più prodotti alimentari.
Ma proprio mentre scoppiava questa emergenza, ad aggravare la situazione c’è stata l’esplosione della «variante inglese» del coronavirus, che se ha indotto molti paesi a chiudere i voli in arrivo da Londra, ha determinato anche la decisione della Francia di bloccare il transito alle proprie frontiere dei camion in arrivo dal Regno Unito per almeno 48 ore. A quel punto, una situazione già complicata è diventata letteralmente emergenziale. Di più, una vera e propria «catastrofe», come l’ha definita Vanessa Ibarlucea, che parla di autisti rimasti bloccati in parcheggi per camion senza servizi igienici. E a questo condizioni è ovvio che non ci sia più nessuno disposto a partire per il Regno Unito con il rischio poi di dover affrontare questo Calvario al momento di tornare indietro. E se i camion si fermano è normale che, almeno i prodotti alimentari di produzione europea – a partire dalla frutta e dalla verdura –potrebbero sparire dalle catene di approvvigionamento e quindi dai supermercati. Non si parla di poca roba. Massimiliano Giansanti di Confagricoltura, per esempio, stima che il Regno Unito copre con la produzione interna il 50% dei prodotti da orto, mentre rispetto alla frutta si ferma a un misero 5%. Tutto il resto, quindi, viene importato. Peraltro il contributo dell’Italia a queste importazioni è molto rilevante, se si tiene presente che ogni giorno circa 9,3 milioni di euro di cibo e di bevande di casa nostra parte per oltre passare la Manica.
Della questione si è interessata anche l’IRU che, dopo aver invitato i governi francese e britannico a mantenere aperte le frontiere per il trasporto merci, ha ricordato che la chiusura mette a rischio fino all’85% di tutte le importazioni britanniche dall’UE (compresi alimenti e farmaci) e taglia letteralmente la catena di approvvigionamento dall’UE all’Irlanda. «Chiudere completamente le frontiere ai movimenti dei camion in qualsiasi parte d’Europa non ha precedenti nell’attuale pandemia», ha detto il Segretario Generale dell’IRU Umberto de Pretto. «I camion si sono spostati in tutta Europa durante l’intera pandemia. L’iniziativa dell’UE Green Lanes, sostenuta da tutti i membri dell’UE, Francia compresa, ha chiarito che la continuità delle catene logistiche è cruciale e deve essere protetta». E poi ha aggiunto che «l’attuale azione francese non ha senso e non farà che peggiorare le cose in un periodo già incerto a causa dell’incombente transizione di Brexit». Per ristabilire un ordine sarebbe necessario che le restrizioni ai valichi di frontiera non si applicassero a camion e camionisti. Anche perché i conducenti bloccati in Francia e nel Regno Unito hanno bisogno di cibo, acqua, servizi igienici e accesso ai servizi medici. La cosa migliore da fare è di mettere in atto alle frontiere le misure precedenti alla pandemia, comprese le corsie verdi, per dare priorità ai camion.
Nel frattempo una riunione di emergenza tra esperti Ue, convocata dalla presidenza tedesca, è servita per esprimere pieno sostegno a un’azione rapida e a un approccio coordinato dell’Ue al fine di risolvere in fretta la questione. Anche dalla Francia giungono voci che nelle prossime ore le frontiere potrebbero essere nuovamente aperte, seppure lo stesso presidente, Emanuel Macron, si è detto favorevole a sottoporre a tampone rapido obbligatorio tutti gli autisti in arrivo dall’isola. Cosa non propriamente agevole e che rischia di allungare all’inverosimile i tempi di smaltimento delle code.
Sulla questione è intervenuto anche il presidente di Conftrasporto, Paolo Uggè, che si rivolto alla ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture, Paola De Micheli, perché intervenga presso le autorità francesi ed europee per trovare una soluzione che consenta agli autotrasportatori italiani di tornare a casa. «Una soluzione per coloro che si trovano in territorio francese – ha suggerito Uggè – potrebbe essere la realizzazione di un’area di parcheggio attrezzata e custodita che permetta ai trasportatori di lasciare il camion senza correre il rischio che venga rubato o svaligiato, per poi tornare a casa con qualsiasi altro mezzo consentito. Per coloro che si trovano in Inghilterra, mi rendo conto che l’operazione sarebbe più complessa, anche perché non più risolvibile in ambito comunitario. Si potrebbe comunque tentare di compiere la stessa operazione, ferme restando le condizioni indispensabili legate ai controlli sanitari.Â
In ogni caso seppure non si sa ancora cosa accadrà , è certo che creerà strascichi. Almeno fino a una data vicina al 31 dicembre. E a quel punto inizierà un altro film che nessuno al momento attuale conosce.