Una crostata di fragole sulla tavola imbandita per il Natale. Bella, rossa, allegra: come quella della nonna. Che dà un senso di tranquillità e di sicurezza, di affetti familiari e di quiete, di riposo e di stasi. Eppure, quella crostata di fragole, per arrivare sul desco della colazione ha già percorso milioni di chilometri. Il frumento è stato trasportato in veicoli con vasche ribaltabili presso un’industria molitoria o un mugnaio che, dopo la macinazione, hanno confezionato la farina prodotta in pacchetti o in sacchi, avviandoli su semirimorchi centinati alle industrie di trasformazione o ai punti vendita. Le fragole sono state caricate, appena colte, su mezzi a temperatura controllata che ne hanno garantito la freschezza fino alla consegna all’azienda che le ha trasformate in confettura, inscatolate e messe in distribuzione. E altrettanti chilometri, in modalità diverse, ma tutte specializzate e accurate, hanno percorso il burro, le uova, il lievito.
Questioni di etti
E lo zucchero. Soprattutto lo zucchero. In termini scientifici, il saccarosio. In una crostata ce n’è dappertutto: in quella di fragole, essendo farcita con una «confettura», la frutta può essere anche solo il 35%; fosse di agrumi, si chiamerebbe «marmellata», e la frutta potrebbe scendere al 20%. Tutto il resto è zucchero. La distinzione la fa l’Unione europea con una direttiva del 1979, mentre le ricette della nonna – che non badano alla differenza – consigliano di fare almeno metà e metà. Ma lo zucchero compare anche nella crostata: per ogni torta ce ne vuole almeno un altro etto, per ogni tre di farina e quattro di marmellata. E dunque la crostata – forse la torta più diffusa e non solo in Italia – può essere considerata una specie di simbolo, icona e bandiera della movimentazione quotidiana dello zucchero sulle strade italiane ed europee, anche se, in realtà, in tutto il continente, soltanto il 29% dei 19 milioni di tonnellate consumate finisce in dolciumi, biscotti e torte.
La dolce Italia
In Italia ogni anno si consumano un milione e 600 mila tonnellate di zucchero, ma la produzione nazionale (200 mila tonnellate) copre meno del 15% del fabbisogno interno. «Italia Zuccheri» – 7 mila coltivatori di barbabietola, riuniti nella cooperativa Coprob – difende strenuamente la filiera tutta italiana, costretta dal contingentamento deciso da una norma europea del 2006 (ma dal 2017 la produzione è stata nuovamente liberalizzata) a cedere il passo ai colossi francesi, tedeschi e polacchi che ancora oggi forniscono il resto del nostro fabbisogno. Dall’estero lo zucchero arriva in Italia via treno e prosegue su strada, insieme a quello prodotto da noi. Una movimentazione su gomma che, tra viaggi verso i centri di stoccaggio, trasporto alle piattaforme logistiche, consegne alle fabbriche di trasformazione, distribuzione ai punti vendita, moltiplica i viaggi e quadruplica le tonnellate trasportate rispetto al fabbisogno.
La filiera di CAFA: anelli di zucchero
Dei 5-6 milioni di tonnellate di zucchero che circolano ogni anno sulle strade italiane, una buona metà – circa 3 milioni – viene caricata dai trasportatori della CAFA (Consorzio autotrasportatori ferraresi artigiani) di Pontelagoscuro, 130 veicoli e soprattutto più di 80 autosilo da 58 mila litri dedicati al trasporto esclusivo di zucchero sfuso, oltre a un centinaio di semirimorchi di varia tipologia, dalle vasche ribaltabili posteriormente ai container fino ai centinati.
Perché solo una piccola quota dello zucchero diventa una confezione formato pacchetto da supermercato. Il grosso finisce alle grandi industrie di trasformazione che producono dolciumi e bevande, ma anche – come conservante – in tanti altri prodotti alimentari. Per questo viene trasportato in casse o in sacchi di iuta (big bag) da 10-12 quintali. La CAFA li ritira o dai due stabilimenti della Coprob a Minerbio (Bologna) o a Pontelongo (Padova), oppure – quelli in arrivo dalla Germania – allo scalo merci di Verona, per svuotarli nei magazzini e caricarli sugli autosilo attraverso un impianto di depurazione che ripulisce lo zucchero dai grumi di umidità e da ogni impurità. «È tutto automatizzato», sottolinea Roberto Grechi, presidente del consorzio. «Mettiamo grande attenzione per conservare e garantirne l’integrità del prodotto». Grandi criticità, del resto, non ce ne sono. Lo zucchero non scade, al massimo ingiallisce, ma la movimentazione è talmente veloce e la domanda talmente alta che i magazzini vengono svuotati e riempiti in continuazione.
La ripartenza dopo la frenata del lockdown
E grandi criticità non ci sono state neppure durante il lockdown della scorsa primavera e l’intero periodo della pandemia. «Anche se a marzo e ad aprile effettivamente c’è stato un calo della distribuzione a ristoranti, forni e panifici», ricorda Grechi. Che adesso già si prepara a cogliere la ripresa dei consumi: CAFA punta ad ampliare e ottimizzare la sua presenza nel settore, mettendo in campo «Sugar», una società che dovrà gestire l’intero ciclo logistico dello zucchero, dalla frantumazione del prodotto allo stoccaggio, dal confezionamento alla distribuzione, candidandosi a diventare «un punto di riferimento per il settore dello zucchero non soltanto a livello nazionale, ma anche internazionale».
Perché, nonostante la campagna contro lo zucchero bianco (accusato di provocare obesità, colesterolo alto, malattie cardiache, oltre al diabete, spesso però senza distinguere l’uso dall’abuso), la produzione nazionale sembra poter risalire, grazie alla liberalizzazione europea decisa nel 2017, che ha abolito le norme sui contingentamenti. Se così fosse ci sarebbe da festeggiare. Magari, davanti a una crostata di fragole.