Dopo la cancellazione dei costi minimi della sicurezza, avvenuta con la legge di Stabilità del 2015, l’autotrasporto ha ottenuto un’altra norma, con cui si prevedeva l’indicazione di valori a cui fare riferimento per la fissazione dei costi aziendali. Una previsione indicativa, non obbligatoria per nessuno, ma ugualmente tanto osteggiata, se soltanto venerdì 27 novembre 2020 ha visto ufficialmente la luce. E il merito di questa decisione politica è sicuramente da riconoscere alla ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, che ha mantenuta la promessa di promulgare i costi di riferimento, quando almeno due o tre ministri che l’avevano preceduta non era riusciti a fare altrettanto. Perché esistono così tante contrarietà a questa norma? E d’altro canto, perché per l’autotrasporto era così importante ottenerla? Ma soprattutto quale valore giuridico le si può attribuire e a quale altre disposizioni dell’ordinamento riesce a dare attuazione? E infine in quali situazioni concrete si può applicare? Detto altrimenti chi viene pagato meno di quanto indicano questi valori può chiedere la reintegra? E nel corso di una vertenza in tribunale, gli organi giudicanti ne terranno conto? E un tender che fissa tariffe al di sotto dei costi di riferimento si può giudicare legittimo? E nel caso in cui un veicolo pesante che viaggia a una tariffa inferiore a quella di riferimento finisce per causare un incidente, quali conseguenze rischia il suo committente?
Tante domande a cui K44 – come al solito – Risponde con l’aiuto, in questo caso, dell’avvocato Massimo Campailla, docente di Diritto dei trasporti e della logistica all’Università di Ferrara, e di Claudio Donati, segretario nazionale Assotir.
Buona visione!
I video presenti nel programma sono stati registrati prima dell’emergenza Covid-19