Il tachigrafo che registra i tempi di guida e di riposo non può essere utilizzato per emettere sanzioni per eccesso di velocità. Questa affermazione è contenuta in un atto normativo europeo, più precisamente il Regolamento UE n. 165/2014, in cui invece si specifica come va costruito un tachigrafo, come va installato e come va usato. Al contrario di quanto prevede questa normativa, il codice della strada italiano, all’articolo 142 prevede specifici limiti di velocità distinti per ogni singola categoria di veicolo e poi al sesto comma aggiunge che «per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento». In pratica la polizia italiana può fare multe per eccesso di velocità ricavando il relativo dato dagli autovelox, dalle risultanze dei pedaggi autostradali (vale a dire in base al tempo impiegato tra casello di entrata e quello di uscita) e dalle registrazioni del tachigrafo. È evidente quindi che tra la prima normativa comunitaria e la seconda italiana esiste una contraddizione. Ma siccome l’Italia è un paese membro dell’Unione europea, deve rispettarne la normativa e quindi non avere proprie disposizioni in contrasto con quelle comunitarie.
Ecco perché la Commissione europea, dopo aver riscontrato che invece l’Italia sanziona per eccesso di velocità gli autotrasportatori desumendo il dato dalle registrazioni del tachigrafo, ha messo in mora il nostro paese per invitarla a cambiare la norma entro tempi brevi, per la precisione due mesi. Entro questo lasso temporale il nostro paese può presentare le proprie osservazioni. Se non lo fa oppure se la Commissione reputa la risposta non soddisfacenti, emette un parere motivato con cui si diffida lo Stato a rispettare la norma in questione. Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione presenta ricorso davanti alla Corte di Giustizia che, dopo apposito giudizio, condanna lo Stato al pagamento di una somma fissa a cui ne viene aggiunta un’altra rapportata a ogni giorno di ritardo.