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HomeRivista 2020362 novembre 2020I costi di riferimento, da chimera a realtà. Federtrasporti chiama, Unatras risponde

I costi di riferimento, da chimera a realtà. Federtrasporti chiama, Unatras risponde

Può un settore lavorare senza margini? La risposta a questa domanda non può essere che negativa. Eppure, nell’autotrasporto è ciò che sempre più spesso accade, non avendo capacità di imporre il prezzo del proprio servizio. Un aiuto potrebbe arrivare dai costi di riferimento di prossima pubblicazione. Ma in quale maniera? Per formulare una risposta preventiva a questa domanda la presidenza del Gruppo Federtrasporti ha chiesto di incontrare lo scorso 7 ottobre le associazioni presenti in Unatras

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Siate sinceri: accettereste un invito a cena da parte di un faccendiere che intende mettervi al corrente di un’ennesima e un po’ sgangherata iniziativa imprenditoriale? Oppure da parte di una signora noiosa e un po’ in là con gli anni che vuole riversarvi addosso tutte le problematiche della stagione in cui i capelli si tingono di grigio? Federtrasporti, giunta all’alba dei suoi cinquant’anni (li compie ufficialmente nel 2021), non deve apparire né inaffidabile, né sfiorita se, invitando a un confronto lo scorso 7 ottobre a Roma tutte le associazioni raccolte in Unatras, ha ottenuto entusiastiche accettazioni. Prova ne sia che nella sede convenuta – quella che ospita, nella capitale, il quartier generale di Conftrasporto-Confcommercio – si sono presentate al gran completo, con una rappresentanza spesso duplice, che contemplava cioè sia presidente che segretario. Era così per Confartigianato Trasporti (con Amedeo Genedani e Sergio Lomonte), per CNA-Fita (con Patrizio Ricci e Mauro Concezzi), per Conftrasporto (con Pasquale Russo, Andrea Manfron e Stefania Cippitelli a colmare l’assenza – giustificata – di Paolo Uggè), per Assotir (con Anna Manigrasso e Claudio Donati). Ma erano rappresentate pure in video la Fiap (con Alessandro Peron) e l’Unitai (con Marco Cattabiani).

Il richiamo all’unità

Questo atteggiamento non è soltanto formale, ma investe anche i processi rappresentativi. Perché è normale che un imprenditore o un gruppo di imprenditori (qual è appunto Federtrasporti), attivi in comparti e segmenti di mercato diversi, possa fornire stimoli a chi è delegato a curare gli interessi di una categoria. Una cura che il gruppo di imprese raccolte in Federtrasporti, coerentemente con la sua strategia aggregativa, pretenderebbe unitaria, perché un settore che si esprime tramite voci discordanti non soltanto è condannato a restare debole, ma fatica persino a essere compreso dai suoi interlocutori più affidabili.
In più, va aggiunto, come ha opportunamente sottolineato Peron, che «la partecipazione di più imprenditori alle riunioni programmatiche delle associazioni di categoria produce l’effetto di “far cadere i cappelli personali” e così anche eventuali divisioni interne tendono a diminuire».
Considerazione che a certe latitudini e in alcuni settori non faticano a comprendere. A maggior ragione quando le criticità montano. Volete un esempio? In Emilia (patria dei presidenti di Unatras e di Federtrasporti, ma anche della ministra De Micheli) e più precisamente nelle terre del Lambrusco, fino a oggi esistevano otto denominazioni e tre o quattro consorzi locali. E guai dire all’uno che quello rappresentato dall’altro era un vino migliore. Dal prossimo gennaio, invece, il Covid dilagante ha indotto a mettere da parte i campanilismi e a produrre il miracolo: il Lambrusco parlerà, anche a livello internazionale, tramite l’unica voce di un solo ente.

La deriva dell’illegalità indotta da tariffe sotto mercato

Ma l’invito all’unità è la precondizione, lo strumento formale con cui accrescere il potere contrattuale del settore. Ma la sostanza con cui Federtrasporti lo ha riempito riguarda per lo più le tariffe di trasporto, ormai da qualche anno interessate da una tendenza al ribasso che, complice pure le difficoltà economiche indotte dall’emergenza sanitaria, stanno raggiungendo una soglia pericolosa. Nel senso che se la si varca, se cioè il corrispettivo dei servizi di trasporto merci non recupera margine o se, peggio ancora, viene spinto ancora più giù, il rischio è di fare entrare tante aziende in un limbo prossimo all’illegalità. Per scongiurare tale deriva, secondo il presidente di Federtrasporti, Claudio Villa, non bisogna fare miracoli, ma capitalizzare quello strumento costituito dai costi di riferimento. «Non vogliamo rimettere indietro le lancette del tempo – ha puntualizzato – né rispolverare l’impianto dei costi minimi, però nel momento in cui ci saranno le tabelle di riferimento, con una forchetta minima e massima, dovrebbe essere normale all’interno di una trattativa rimanere all’interno di questo range. E soprattutto far passare il concetto che, laddove si scende al di sotto, esiste un’anomalia o, per meglio dire, la certezza matematica che il vettore stia comprimendo un costo essenziale. Come quello necessario a sostituire gli pneumatici, tanto per fare un esempio, seppure siano gravemente consumati». Il principio, quindi, non è tanto quello di avere tariffe garantite, ma di ribadire il sacrosanto principio dell’articolo 41 della Costituzione, secondo cui un’impresa può nascere e morire liberamente e concorrere con le altre senza vincoli di sorta, ma non può svolgersi «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Esattamente ciò che rischia di fare un’impresa quando viaggia con battistrada lisci.
In più, secondo Villa, la presenza sul mercato di imprese che lavorano regolarmente con tariffe sotto mercato e che quindi hanno varcato il confine della legalità determina una concorrenza sleale nei confronti di chi, al contrario, non soltanto opera nel rispetto delle norme, ma rischia proprio per questo di andare fuori mercato. «E non ci si venga a raccontare – ha tuonato il numero uno di Federtrasporti – che se il trasporto costasse un po’ di più, si scatenerebbe una deriva inflattiva dannosa per i consumatori finali. Mi ricordo, in proposito, uno studio di Confcommercio di qualche anno fa secondo cui se il costo del trasporto conto terzi aumentasse del 20%, un chilo di zucchero aumenterebbe di 3 centesimi e un litro di olio di 20. E veramente non vogliano investire questi pochi spiccioli per scongiurare una deriva di illegalità che può mettere a repentaglio la sicurezza di tutti coloro che viaggiano in strada?».

«Nel momento in cui ci saranno le tabelle di riferimento, con una forchetta minima e massima, dovrebbe essere normale all’interno di una trattativa rimanere all’interno di questo range. E soprattutto far passare il concetto che, laddove si scende al di sotto, esiste un’anomalia»
Claudio Villa, presidente di Federtrasporti

Il costo del tempo e della burocazia

A dare man forte a questi ragionamenti hanno poi provveduto i due vicepresidenti di Federtrasporti, Roberto Grechi e Paolo Morea. Il primo ricordando che spesso a rendere insufficiente una tariffa di trasporto sono anche diversi costi nascosti, frutto di burocrazie e degli orientamenti di mercato, che di fatto hanno trasformato «il camion in una sorta di magazzino dietro alla porta del cliente» e, di conseguenza, «hanno compromesso buona parte della sua capacità produttiva («Ormai, applicando tutte le norme alla lettera non si va oltre gli 86.000 km annui»), il secondo confermando che almeno il 30% della redditività di un veicolo si perde a causa delle attese al carico e allo scarico o per l’impossibilità di conciliare le tempistiche operative con la produttività.
In più, come se non bastasse, bisogna valutare pure le difficoltà generate dal Covid («Un veicolo fermo costa comunque 4.200 euro», ha quantificato Grechi) o quelle derivanti dalla carenza cronica di autisti («per formarne uno ci vogliono 5-6.000 euro, che diventano 16.000 in caso di un padroncino»).

La presidenza di Federtrasporti, da destra Paolo Morea, Roberto Grechi e Claudio Villa, a colloquio con il segretario Unatras, Pasquale Russo.

Cosa fare per recuperare la capacità di fissare una tariffa?

E qui si è attivato un dibattito. Donati ha ricordato preliminarmente che l’autotrasporto ha sempre fatto fatica a stabilire il livello remunerativo delle sue tariffe. Ma secondo lui negli ultimi anni questa difficoltà si è aggravata perché, a fronte di una ristrutturazione graduale del settore, la sua committenza ha vissuto un processo di consolidamento molto maggiore. E così il prezzo della prestazione del trasportatore è stato sempre di più imposto dall’esterno. Per far fronte a tale difficoltà, la risposta del mercato è stata affidata fino a oggi alla subvezione, a imprese cioè che generano fatturato con i camion degli altri, con conseguenze ovviamente deleterie. Sarebbe meglio, per il segretario di Assotir, battere la strada dell’aggregazione o quanto meno trovare modalità organizzative per recuperare una relazione più paritetica.
Per Cattabiani, sempre a questo scopo, oltre a tenere dritta la barra dell’unità, sarebbe opportuno investire in formazione e in scolarizzazione, due valori che ancora troppo poche aziende, comprese quelle più grandi, non percepiscono come tali.
Anche Peron ha ricordato alcuni deficit culturali, che si sono manifestati, in passato, quando l’autotrasporto riusciva a ottenere misure a suo vantaggio, ma un instante dopo lo vanificava trasformandolo in uno sconto per il committente.

Quale valore per i costi di riferimento?

Rispondere a questa domanda non è facile. Manfron ha ricordato che, per legge, i costi di riferimento non sono obbligatori e, in quanto tali, non possono essere sanzionati. Però ha convenuto sul fatto che, così come sta scritto nella sentenza sui costi minimi della Corte di Giustizia europea, l’unico percorso possibile per fornire un valore a tali costi è quello di far leva sulla sicurezza.
Secondo Ricci, invece, sarebbe opportuno allargare la dimensione dei costi di riferimento e riuscire a definirli rispetto a una scala europea. A tal proposito ha informato che la sua associazione si sta confrontando con altre omologhe in diversi paesi membri.
Ispirato da senso pratico l’intervento del presidente di Unatras Genedani, il quale ha ricordato quanto tempo sia trascorso da quando l’introduzione dei costi è stata prevista normativamente e quanti ostacoli sono stati costruiti da più parti per impedirne la definizione: «Se non avessero avuto alcun valore – si è interrogato – per quale motivo avrebbero scatenato tutta questa contrarietà?». Poi, ragionando su applicazioni pratiche, ha ipotizzato che, nel corso di una vertenza, un tribunale che si trova con un calcolo dei costi già predisposto a livello pubblico sarebbe necessariamente indotto a prenderlo in considerazione.
In ogni caso, ha replicato Manigrasso, sarebbe opportuno un riconoscimento legale, un’indicazione normativa che vada oltre la semplice pubblicazione arbitrale.

«Da quando sono stati previsti i costi di riferimento da più parti sono stati costruiti mille ostacoli per impedirne la pubblicazione. Ma se non avessero avuto alcun valore per quale motivo avrebbero scatenato tutta questa contrarietà?»
Amedeo Genedani, presidente di Unatras

Ragionamenti preliminari

Si tratta com’è ovvio di spunti, di riflessioni appena accennate che assumono valore perché una volta tanto non avvengono a posteriori, né sono il frutto di una reazione a un’emergenza, ma cercano di lavorare di prevenzione. Nel momento dell’incontro, infatti, i costi aleggiavano, qualcuno li aveva appena sbirciati, ma non erano stati ancora pubblicati. Nell’attesa, sperando che non si protragga oltremodo, è stato opportuno intanto stabilire un confronto unitario che ha raggiunto alcuni punti fermi. A pubblicazione avvenuta, poi, ci si tornerà nuovamente a incontrare per capire l’eventuale strategia da adottare.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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