La forma è sicuramente innovativa, l’esito finale, invece, di totale continuità. Parliamo, da una parte, delle assemblee di rinnovo delle cariche del Gruppo Federtrasporti che, lo scorso 22 giugno, si sono svolte per la prima volta tramite video conferenza, dall’altra dell’esito uscito dalle urne, che ha confermato in blocco sia la squadra chiamata a comporre il consiglio di amministrazione (l’unica sostituzione, interna al GTV di Venturina, riguarda l’avvicendamento del pensionando Salvatore Di Cristina con il più giovane Giancarlo Melis), sia la carica di presidente, nuovamente affidata a Claudio Villa per il terzo mandato consecutivo. Ottima occasione per un’intervista per così dire “strabica”, con un occhio rivolto al passato in modo da stilare un bilancio dei sei anni trascorsi come presidente e con l’altro accomodato al futuro, mettendo a fuoco ciò che ci attende dopo quell’inattesa e complicata contingenza chiamata «Covid».
Riavvolgiamo la pellicola e torniamo all’epoca della prima elezione. In cosa la Federtrasporti di oggi è diversa rispetto a quella di allora?
I cambiamenti più tangibili sono di natura economica. Oggi la situazione finanziaria del Gruppo è sicuramente migliorata, la gestione di alcuni magazzini, in passato fonte di qualche problema, adesso è molto più fluida e positiva, ma soprattutto ritengo che abbiamo fatto tante cose nell’interesse o al servizio dei soci.
Cosa in particolare?
Esiste una parte tangibile, che le imprese associate a Federtrasporti percepiscono in modo diretto, e una intangibile. La prima tocca i bilanci e quindi l’utilità percepita. Lo dico in maniera chiara: un po’ di anni fa, quando la crisi del 2008 faceva male, in tanti versavano controvoglia il contributo di partecipazione a Federtrasporti, perché spesso non ne coglievano i vantaggi indotti. Oggi, al contrario, non soltanto essere associati a Federtrasporti non costa nulla, in quanto ho sempre richiesto che le quote associative venissero rimborsate a ogni esercizio. Ma soprattutto, quando i profitti derivanti dalla gestione dei servizi forniti vengono ristornati ai soci, a quel punto tali risorse spesso mettono le aziende in condizioni di chiudere i bilanci in modo positivo. E questo è fondamentale, in particolare in questo frangente, per ottenere credito bancario e per disporre sempre della liquidità necessaria. In pratica, una gestione collettiva di servizi e di acquisti, che già a monte determina risparmi di spesa, a valle poi innesca un circolo virtuoso che aiuta a far toccare con mano quanto sia vantaggioso essere parte di un’aggregazione.
E la parte intangibile?
È una sorta di valore aggiunto che deriva dal poter contribuire a migliorare l’immagine dell’autotrasportatore, obiettivo che avevo indicato già nel primo intervento pronunciato sei anni fa, quando venni eletto per la prima volta. Nel corso di questo tempo abbiamo fatto tante cose e ritengo che molte siano riuscite proprio perché sono state l’espressione di quel gioco di squadra che aiuta a far scaturire buone idee. Io ho soltanto il merito di aver creato il contesto favorevole per farle venire fuori, di aver pensato che un gruppo come Federtrasporti debba destinare almeno parte delle proprie risorse alla cura e alla crescita professionale del settore. Lo definisco intangibile perché è un aspetto che non si tocca giorno per giorno, ma sul lungo periodo. E puoi dire di averlo ottenuto quando un autotrasportatore associato arriva a provare orgoglio per il lavoro che fa.
Questa sorta di orgoglio tanti trasportatori l’hanno percepita durante il lockdown. Poi, quando sono finiti i ringraziamenti delle istituzioni e dell’opinione pubblica, sono iniziati i problemi. In che modo una piccola e media impresa che ha scelto l’aggregazione viene aiutata a risolverli?
Posso rispondere guardando a quanto accade nella mia azienda, il Conap di Fiorenzuola d’Arda, dove tutti i soci del consorzio hanno potuto beneficiare delle misure messe a disposizione dallo Stato per alleviare la stretta dell’emergenza sanitaria. Al punto tale che oggi, in molti casi, la loro situazione finanziaria si presenta migliore che in passato, proprio perché l’organizzazione corsortile ha lavorato per far ottenere a tutti i 600 euro a marzo e aprile e i 1.000 euro a maggio, a molti i 25.000 euro garantiti dallo Stato e a qualcuno anche i primi contributi a fondo perduto. Allo stesso tempo ha fatto in modo che ognuno potesse beneficiare della sospensione o della rinegoziazione di mutui e finanziamenti. In questo modo l’aggregazione non soltanto consente alle PMI di lavorare meglio, ma genera vantaggi anche al sistema. Perché un padroncino aggregato, almeno ogni 5-6 anni, a fronte di un fatturato annuo di 150 mila euro, ne investe tra i 70 e i 100 mila per cambiare il trattore o magari il semirimorchio o un’attrezzatura. Ritengo che non esista un’attività commerciale che, a parità di fatturato, investa allo stesso modo. E chi lavora al di fuori di un contesto aggregativo fa molta più fatica a potersi procurare tutto questo. Non a caso, spesso, è costretto a chiudere i battenti.
E sono in tanti se è vero che le imprese monoveicolari sono diminuite negli ultimi quattro anni del 21,4%.
Io non mi sento di rappresentare il monoveicolare abbandonato a se stesso, ma piuttosto le imprese che colgono il valore dell’organizzazione. Anzi, mi preoccupa il momento di agonia di quei padroncini che, pur di prendere un viaggio, accettano tariffe fuori mercato e, di conseguenza, producono una turbativa sul mercato. D’altra parte, l’autotrasporto è un settore vitale, ma molto debole. È vitale perché serve ad alimentare catene produttive e commerciali, anche a costo di correre rischi, come ha ampiamente dimostrato durante l’emergenza sanitaria. Ma è debole perché, a dispetto di tutto, l’autotrasportatore è scelto quasi esclusivamente sulla base di una tariffa. A maggior ragione nel contesto attuale in cui chi esprime una domanda di trasporto pretende in genere riduzioni tariffarie. Ecco perché la presenza sul mercato di qualcuno disponibile ad assecondare tale corsa al ribasso è quanto mai deleteria.
Metto insieme i due concetti: l’aggregazione è una forma di sostegno competitivo anche per le piccole aziende, però tante piccole aziende chiudono. Non c’è un modo per spiegare a quel 21,4% di padroncini l’aiuto che potrebbe garantirgli una cornice aggregativa?
Innanzi tutto, bisogna sottolineare che, a fronte di quel 21,4% di monoveicolari spariti in quattro anni, le strutture aggregative sono aumentate nello stesso lasso di tempo del 7,5%. Ed è molto probabile che almeno una parte sia confluita in consorzi e cooperative. All’altra fetta di padroncini, quella composta da individualisti a tutti i costi, è difficile spiegare la bontà dell’aggregazione per la semplice ragione che molti considerano la percentuale di fatturato da dover lasciare alla società consortile come contributo per il funzionamento dell’organizzazione, una sottrazione a loro danno. E quindi non capiscono che quel 6-8% di provvigione serve a pagare i dipendenti, a sostenere le spese di ufficio, spesso ad acquistare i semirimorchi da noleggiare e poi rivendere ai soci, a curare la loro amministrazione, il loro traffico, la loro attività commerciale. Ma soprattutto non capiscono che la tariffa girata ai soci è comunque il 100% di quanto incassa l’ente aggregativo, mentre se bussano alla porta di altre organizzazioni – di quelle che una volta si chiamavano «agenzie» e che tali rimangono anche oggi – magari non dovranno versare una provvigione, ma riescono a fatturare nel migliore dei casi l’80% di quanto l’agenzia percepisce dal committente. E proprio perché non capiscono sono convinti di aver fatto qualcosa di furbo e di conveniente.
Potrebbe aiutare il fatto che a livello pubblico si parli di agevolare gli strumenti collaborativi e aggregativi, come suggerisce Vittorio Colao nel piano predisposto per il governo, per accrescere la capacità competitiva delle PMI?
Sicuramente sì, perché se si concedessero le agevolazioni concepite da Colao – quali la riduzione del cuneo fiscale, l’esclusione da imposizione per 5 anni del maggior reddito generato dalla struttura collaborativa, l’introduzione di una sorta di super ammortamento accelerato dell’avviamento derivante dall’aggregazione – si favorirebbe la creazione e la diffusione di una cultura per cui mettersi insieme rappresenta comunque un vantaggio e lavorare in squadra genera comunque valori aggiunti. Attenzione, qui non parlo di autotrasporto, ma di Paese e il nostro, in particolare quando va all’esterno, soffre della capacità di fare sistema. Ecco perché una maggiore consapevolezza diffusa del valore dell’aggregazione farebbe fare passi in avanti all’intero Sistema Paese.
C’è un passaggio da enfatizzare: l’aggregazione funziona se crea un’organizzazione che si mette al servizio degli associati. Poi però quanto è necessario che qualcuno la sappia guidare?
È fondamentale. Mettersi insieme è il presupposto, la modalità competitiva per affrontare il mercato. Poi è deciso che chi dirige i movimenti di insieme li renda armonici. Mi spiego con una metafora: se conduco una canoa da solo la mia velocità e la distanza che riesco a coprire saranno inferiori rispetto a quelle raggiungibili se ci si mette a pagaiare in 5 o in 6. Almeno in teoria. In pratica, affinché ciò avvenga, c’è bisogno di un timoniere, di qualcuno che scandisca il ritmo dell’insieme, che sommi i singoli contributi per far venir fuori un totale maggiorato. È una qualità vincente anche nelle normali aziende, ma in quelle aggregate diventa una sorta di precondizione.
In conclusione, qual è il ritmo che le piacerebbe imporre alla Federtrasporti dei prossimi tre anni?
Ho in particolare un obiettivo politico, che in parte diventa economico e in parte di immagine. Mi spiego. Ho detto che mi piacerebbe migliorare l’immagine del trasportatore. Bene, penso che a tale scopo sia anche necessario ripulirla di quella patina di illegalità che gli si è stratificata sopra. E per rimuoverla sono convinto che bisogna partire da una battaglia sulle tariffe, nel senso di fare in modo che noi e tutti coloro che lavorano all’interno di questo settore trasportino soltanto in cambio di tariffe adeguate. Non voglio dire che debbano essere stabilite per legge, ma bisogna aver chiaro – e in tal senso anche il ministero può darci una mano indicando dei riferimenti – che esiste una soglia al di sotto della quale non c’è profitto. E chi lavora senza profitto perde non soltanto il margine vitale per l’azienda, ma anche la possibilità di curare la propria sicurezza. Chi lavora senza profitto prima o poi si troverà a dover rinunciare a cambiare gli pneumatici quando è il momento, a fare a meno di versare i contributi per i dipendenti o l’Iva, ad adottare altri comportamenti vietati dal diritto oltre che dal buon senso. Detto in una parola sola, chi accetta regolarmente tariffe sotto una certa soglia accetta pure di indirizzarsi verso l’illegalità. E in questo modo fa male a se stesso, al mercato e all’immagine del settore.