L’autotrasporto legato alle attività dell’ex stabilimento Ilva di Taranto sta vivendo un altro momento di crisi drammatica e al momento una soluzione non sembra profilarsi all’orizzonte. Decine di autotrasportatori da 10 giorni sono in presidio davanti al varco C dello stabilimento siderurgico di Taranto, ma questa protesta pacifica non ha finora sortito alcun effetto e anche i media sembrano aver perso interesse alla vicenda.
Per questo motivo lo Snat (Sindacato nazionale autonomo trasportatori) ha deciso di proclamare uno sciopero, con l’astensione a tempo indeterminato da ogni attività di trasporto per conto di Arcelor Mittal. Il sindacato vuole così protestare contro il “comportamento illegittimo” della multinazionale indiana, colpevole di “aver sospeso unilateralmente e senza avviso l’assegnazione dei trasporti a cooperative e consorzi tarantini e pugliesi”.
L’assemblea straordinaria degli iscritti allo Snat spiega in un comunicato che Arcelor Mittal avrebbe “violato gli obblighi contrattuali assunti all’atto della sottoscrizione del contratto di locazione d’azienda con Ilva in amministrazione straordinaria”. Il Consiglio direttivo ha poi trasmesso la delibera di proclamazione dello sciopero al Prefetto di Taranto, al Questore e ai commissari straordinari di Ilva e, per conoscenza, al sindaco di Taranto e al presidente della Regione Puglia. Anche il sindacato Usb, che sta presidiando gli impianti ex Ilva da giorni, chiede al Governo di interrompere la trattativa con la multinazionale, ritenendo ArcelorMittal “un interlocutore inaffidabile”.
La tragicità della vicenda traspare anche dalle disperate richieste di aiuto degli autotrasportatori pugliesi che appaiono sempre più spesso sui social. In una commovente lettera aperta (ripubblicata anche su Facebook), indirizzata alla società indiana e al Governo italiano, un autotrasportatore che si dichiara “camionista Ilva da generazioni, un figlio d’arte che ha sempre visto l’azienda tarantina come il porto sicuro su cui fondare il proprio lavoro, la propria azienda e le proprie ambizioni” segnala anche quello che sembra essere il problema principale da risolvere. La società indiana ha infatti creato una piattaforma online per gestire i flussi di carico di prodotti dall’acciaieria verso le aree di consegna, ma accreditando nuovi trasportatori “che hanno avuto l’invito di Arcelor a presentarsi come fornitori e a mettere sul piatto offerte più convenienti per l’azienda, senza tenere alcun conto di chi c’era prima e c’è ancora adesso”. Per completezza di informazione va detto che non sono di questo avviso gli autotrasportatori associati a Confindustria (fonte Gazzetta del Mezzogiorno), per i quali la nuova piattaforma ha invece “permesso agli operatori di fare un passo avanti sia in termini di fatturato, che di organizzazione delle prestazioni di lavoro. Ad ogni trasportatore viene adesso riconosciuto un carico di 28 tonnellate per viaggio, mentre prima il pagamento veniva effettuato sulla base della tipologia di coils (i rotoli di acciaio) caricati”.
“Ilva ci pareva un’impresa inarrestabile – continua il trasportatore nella lettera aperta – ma invece è stata fermata da una cattiva gestione umana di chi ha sperperato a destra e sinistra e non ha saputo dare il giusto peso alla coniugazione fra tre risorse fondamentali: la salute, il lavoro e l’ambiente… Nel 2014 è cominciato il vero baratro aziendale che ha trascinato numerosissime aziende che ruotano intorno ad essa in un susseguirsi di problematiche. Tra queste ovviamente ci sono le nostre aziende di trasporto, ormai affermate da anni in Ilva e che hanno sempre garantito le prestazioni, consentendole di approvvigionarsi di materie prime necessarie all’impianto e di consegnare i prodotti finiti ai suoi clienti… E questo – denuncia la lettera – nonostante le condizioni di lavoro a volte assurde, come le estenuanti attese al carico e allo scarico (si parla di ore e ore se non addirittura giorni), la mancanza di tutele e la soppressione di ogni diritto umano all’interno del siderurgico”.
“Gli autotrasportatori hanno continuato a lavorare anche quando l’azienda è stata espropriata ai Riva ed è stata commissariata dallo Stato – sottolinea ancora il camionista pugliese – dando dimostrazione di un forte senso di responsabilità e di appartenenza all’azienda e nonostante sia sfumato il pagamento delle fatture da marzo a dicembre 2014… gettando in un’odissea infernale i consorzi e le cooperative di padroncini. Da lì ad oggi buio pesto, ogni anno sempre peggio con condizioni di lavoro all’interno dello stabilimento inaccettabili, aziende indebitate e costrette a cercare di sopravvivere e a vedere i sacrifici di una vita in frantumi”.
“Poi due anni fa l’ingresso dell’ArcelorMittal – spiega ancora la lettera – che sembrava la soluzione, ma che oggi si sta rivelando una beffa: noi a combattere per l’esigibilità dei crediti e il lavoro che abbiamo visto svanire e la società indiana che ha creato la nuova piattaforma online. Forse non si rendono conto che stanno lasciando per terra centinaia di famiglie – conclude l’appello – quelle stesse famiglie che 5 anni fa hanno fatto si che l’Ilva potesse avere una nuova opportunità e rinascere per tornare al suo splendore di regina dell’industria dell’acciaio. Quello che è sicuro è che noi non molliamo, confidando nel buon senso di AM e nel buon lavoro del nostro Governo”.