Come il Coronavirus per i tempi di pagamento, anche per i tempi d’attesa c’è un fattore esterno che sta esasperando gli animi. Il crollo del ponte Morandi e i lavori di ripristino di tunnel e viadotti lungo le autostrade che afferiscono a Genova e al suo porto hanno dilatato le attese dei camion. Il climax è stato raggiunto martedì 9 giugno, quando la ritardata conclusione di una verifica sulle gallerie San Paolo della Croce e Rexello sulla A10 ha creato una coda di 17 chilometri sulla A26 e di 16 sulla stessa A10, costringendo a lunghe attese i camion che, una volta superato il blocco, si erano concentrati tutti insieme negli stalli del porto.
LE ATTESE NEI PORTI
Ma la normalità, nel porto di Genova, il principale gateway container d’Italia, non è molto diversa. «Durante la giornata», ha spiegato a K44 Risponde – il Tg streaming diffuso ogni lunedì sul sito web di Uomini e Trasporti – Giuseppe Bossa, coordinatore trasporto, in pratica l’intermediario tra operatori (anche autotrasportatori) e terminalisti, autorità portuali e istituzioni, «sia nel porto nuovo che nel porto vecchio vengono movimentati 3.000-3.500 contenitori. Dal momento che i veicoli partono dagli stabilimenti alle 8 del mattino, intorno alle 14 si ha il massimo della congestione. E allora le attese possono arrivare anche a 6 ore».
Ma per un autotrasportatore l’attesa è un costo: una macchina e un autista fermi incidono sulla produttività. Per non parlare del problema dei tempi di guida e di riposo che rischiano di essere sforati da una sosta troppo lunga e costringono a spese ulteriori. Ha raccontato ancora Bossa: «Le imprese mi telefonano, lamentandosi: ’Non posso far rientrare l’autista, devo farlo dormire a Genova’. E magari abita a 15 o 24 chilometri a Ovada o a Busalla». Non che negli altri scali la situazione sia molto più allegra. Negli ultimi mesi, nel porto messinese di Tremestieri, dove si concentra il traffico verso Reggio Calabria, camion e tir devono attendere anche cinque ore e a fine maggio è esplosa la protesta: gli autotrasportatori hanno bloccato per tre ore la rampa d’accesso per chiedere l’aumento del numero dei traghetti (promesso, peraltro già ad aprile). A Trieste, a fine marzo, hanno protestato gli spedizionieri (una volta tanto d’accordo con FAI e Confartigianato) per attese intorno alle sette ore ai varchi d’accesso, nonostante quattro anni di discussioni e di proposte inascoltate.
17 ore
La lunghezza delle code che si sono create il 9 giugno a causa della mancata riapertura delle gallerie San Paolo della Croce e Rexello sulla A26, mentre sulla A10 sono arrivate a 16 km. I camion, superato il blocco, si erano concentrati tutti insieme negli stalli del porto di Genova
LE PIATTAFORME DELLA GDO
Lo stesso succede nella grande distribuzione organizzata, soprattutto nelle piattaforme logistiche da dove le merci vengono distribuite ai punti vendita. Attese di 3-4 ore che le procedure di sicurezza anti Coronavirus hanno dilatato a 7-8, anche perché le attività dei magazzini non sono ancora a pieno regime e il personale è costretto a turnazioni che contribuiscono a rallentare le operazioni. Sono stime raccolte sul campo, ma confermate indirettamente da uno studio condotto lo scorso anno, con il Politecnico di Milano e la Liuc Università Cattaneo, dalla ECR Italia (Efficient Consumer Response), associazione di distributori e produttori costituita per migliorare le prestazioni del settore, secondo cui «il tempo complessivo necessario allo scarico merce, comprensivo delle eventuali attese all’inizio e alla fine dell’operazione, è mediamente pari a tre ore (181 minuti) per il secco e due (111 minuti) per il fresco».
Se questa è la media, non stupisce che in situazioni di emergenza o di difficoltà si possa arrivare a triplicare le attese. Anche perché a monte c’è anche una serie di squilibri sui quali sarebbe opportuno intervenire. Da una parte, afferma lo studio ECR, «la finestra oraria dedicata alle attività di scarico è quasi esclusivamente quella che va dalle 6 alle 12 del mattino, in cui si concentra l’80% degli scarichi», dall’altra la produzione «aumenta generalmente i flussi di distribuzione in uscita nell’ultima settimana del mese» fenomeno che «in alcuni casi, risulta amplificato a fine trimestre». Tutto ciò non permette ai gestori delle piattaforme logistiche «di ottimizzare l’utilizzo delle loro risorse connesse sia alle attività di trasporto sia a quelle di magazzino». E gli stessi produttori intervistati nel corso della ricerca affermano che «nonostante venga prenotato e pagato uno slot di scarico sul portale, spesso al Ce.Di. non vi sono baie libere e i mezzi sono costretti ad aspettare anche ore in coda».
181 minuti
È il tempo complessivo necessario per scaricare la merce presso la GDO, stimato da Politecnico Milano e Liuc Università Cattaneo, per conto di ECR Italia
I 40 EURO L’ORA
Ma chi paga quelle ore in inutile attesa? Chi risarcisce l’autotrasportatore del tempo in cui macchina e autista restano fermi, non per colpa loro? Una norma in realtà c’è. È quella contenuta in un decreto dirigenziale del ministero dei Trasporti, emanato nel 2011, in cui l’ormai disciolto Osservatorio della Consulta per la Logistica aveva stabilito che, superate le due ore di franchigia, ogni ora successiva sarebbe dovuta essere compensata con 40 euro. Da chi? Il ritardo dipende dall’operatore logistico o portuale, ma il trasportatore il contratto ce l’ha con il committente che difficilmente è disponibile a pagare per ritardi non suoi. Qualcuno però lo fa.
«I nostri committenti pagano l’indennizzo: lo prevediamo nel contratto», sottolinea Massimo Munerati, Ufficio traffico della CAFA di Ferrara, 130 mezzi impegnati nel trasporto dello zucchero, ma non solo. «Noi lo applichiamo a quasi tutti i nostri clienti», afferma Renato Cusinato, della Cusinato Trasporti, un centinaio di mezzi nel padovano, specializzazione nei trasporti alimentari. «Ma durante il lockdown non li abbiamo chiesti». Segno che i rapporti sono davvero buoni, di rispetto reciproco, di comprensione, presupposti indispensabile per poter ottenere l’indennizzo dal committente.
LE TECNOLOGIE
Più che dalle norme, tuttavia, la soluzione – sia per i porti che per la GDO – sembra venire dalle tecnologie. Tutti gli operatori ammettono che la situazione è in miglioramento da quando stanno prendendo piede le piattaforme informatiche, soprattutto per merito delle grandi multinazionali. Amazon opera con una piattaforma di proprietà, altre come Lidl e Carrefour si appoggiano alla tedesca Mercareon che gestisce 40 aziende della GDO ed è connessa a 450 Ce.Di. in 17 paesi e 100 mila trasportatori. Ma sono tanti gli operatori digitali che si muovono in questo settore: secondo lo studio ECR il 42% delle consegne è ormai organizzato con il sistema di prenotazione degli slot di scarico.
Anche nei porti – benché in maniera più scoordinata – il ricorso alle tecnologie per migliorare l’afflusso dei veicoli e ridurre, quindi, le attese è sempre più diffuso. Da metà giugno al terminal PSA di Genova Pra’ all’esterno dell’Ufficio merci è stato installato un monitor con le informazioni sulle code. A Salerno il Container Terminal ha deciso di realizzare entro l’anno prossimo quattro gate completamente automatizzati per l’accesso dei camion, con una drastica riduzione dei tempi di attesa per le code di accesso e le movimentazioni. A Trieste è in via di realizzazione un nuovo sistema telematico per controllare il traffico di veicoli industriali tra lo scalo marittimo e l’interporto e ridurre gli ingorghi e i tempi d’imbarco, con l’impiego di 24 telecamere in grado di leggere le targhe e una serie di sensori che peseranno i veicoli in transito lungo le strade di accesso al porto, in modo da permettere alle autorità portuali di autorizzare l’imbarco semplificato.
Ma la vera attesa è per la dematerializzazione dei documenti. Mentre per la GDO, scrive lo studio ECR, gli operatori logistici premono per «un aumento della digitalizzazione della filiera vale a dire una maggiore diffusione e una maggiore copertura dei sistemi per lo scambio elettronico delle informazioni», nei porti è stato proprio l’emergenza Coronavirus a spingere – almeno a Genova – per la digitalizzazione della documentazione. «Questo», spiega Bossa, «ci offrirà una grande soluzione per i tempi di impegno all’ufficio merci e al get-in o al get-out. Dovremmo concludere quest’operazione con la prenotazione del nostro container per avere un semaforo verde che un domani prossimo ci permetterà di non dover passare più neanche attraverso l’ufficio merci, ma presentarci direttamente al get-in».
Dove le tecnologie stentano a farsi strada è nella distribuzione locale: i piccoli supermercati, i punti vendita di reti regionali continuano a lavorare con fasce orarie che spesso non vengono rispettate. I 1.000- 2.000 euro l’anno richiesti dalle piattaforme digitali probabilmente sono un costo ritenuto eccessivo. Ma anche qualche grosso rivenditore preferisce i vecchi sistemi. «In questo modo», spiega tra i denti un autotrasportatore, «possono far passare avanti le merci di cui hanno maggiore richiesta in quel momento. Ma questo», aggiunge dopo averci pensato un attimo, «lo fanno anche quelli che hanno l’appuntamento telematico. E noi aspettiamo in barba allo slot prenotato».
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