In un’Italia immobile, impegnata nel cercare di limitare i contagi rispettando il lockdown, la produzione di rifiuti, seppure in calo, non si ferma. Nè si ferma la necessità di trasportarli lungo le strade di un Paese che, in questo settore genera un traffico annuale di circa 200mila camion (secondo le stime del laboratorio Ref Ricerche), seppure distribuito con una forte disomogeneità territoriale. Rispetto all’ordinario, però, ci sono molte criticità in più in queste settimane, alcune condivise con tutte le altre filiere – come la necessità di dotarsi di dispositivi di protezione individuale, i problemi di liquidità legati alle fatture insolute, i viaggi a carico vuoto – e altre specifiche del settore e provocate dalle maggiori debolezze di alcuni comparti.
Un primo tema è la riduzione dei volumi. Oggi è ancora presto per avere una stima di quanto sarà ridotto il traffico annuale, spiegano alcuni addetti ai lavori. Dipende da quanto durerà la serrata delle attività produttive, ma in tutti gli scenari è previsto un calo della produzione. Secondo il think tank Was di Althesys si avranno almeno 2,5 milioni di tonnellate in meno di urbani e un calo degli speciali compreso tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate solo nelle tre regioni più colpite, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. A Piacenza, il consorzio Co.a.p sta già registrando un rallentamento dei traffici legati ai rifiuti, specialmente nelle filiere del riciclo, come quelle delle plastiche industriali, il ferro e il legno. Aumentano, al contrario, i fanghi di depurazione, come risultato del lockdown che ci tiene tutti a casa, e continuano regolarmente a viaggiare le cisterne che trasportano i percolati delle discariche. «Il settore è quello che tiene a galla il fatturato», spiega il presidente Eugenio Zaninoni. Con tutte le attività produttive non essenziali ferme fino al 3 maggio, a viaggiare, dopo il 22 marzo, sono rimasti essenzialmente i rifiuti e l’agroalimentare. E così la flotta in strada è praticamente dimezzata: «Su circa 150 mezzi – calcola Zaninoni – oggi ne viaggiano 60-70, a seconda dei giorni».
A limitare ancora il traffico di settore sono poi motivi di gestione a livello nazionale. I rifiuti caricati per centinaia di chilometri a bordo dei camion si muovono in genere alla ricerca di impianti. Dalle regioni del sud vengono portati verso il nord Italia e poi in Europa, dove la capacità di smaltimento e trattamento è maggiore grazie a inceneritori, discariche e impianti di riciclo. Oggi che gli inceneritori al nord viaggiano a velocità massima per bruciare i rifiuti ospedalieri della zona, al sud si ricorre all’ampliamento degli stoccaggi e delle discariche, con ripercussioni sui trasporti di lungo raggio.
A questo si somma il nodo dei controlli alle frontiere, un tema oggetto di attenzione anche da parte della Commissione europea, che ha poco pubblicato delle linee guida per il settore dei rifiuti. La raccomandazione agli Stati membri è di ridurre gli ostacoli e facilitare le spedizioni, facendo uso quanto più possibile di documenti digitali e procedure elettroniche. Lasciare che la crisi covid-19 produca un tappo alla filiera dei rifiuti, significherebbe mettere a rischio l’equilibrio su cui si basa l’economia circolare del continente, legata al trasporto perché dipendente dallo scambio di materiali tra i mercati europei.