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Il coronavirus mette sotto scacco la logistica italiana

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Gli effetti del coronavirus che già si riscontrano sulla logistica mondiale minacciano ancor più la salute (già precaria) della logistica nel nostro Paese. Secondo le prime stime del Freight Leaders Council, l’associazione che riunisce i maggiori player della logistica nazionale con l’obiettivo di studiare l’andamento del settore, la riduzione dei container di provenienza asiatica potrebbe arrivare fino al 20 per cento in porti strategici per il nostro sistema, come quelli di Genova o di Salerno, con ricadute dirette su tutta la catena logistica (spedizionieri, autotrasporto, magazzini). Alcuni settori chiave già stanno accusando qualche sofferenza, tra questi l’automotive, l’elettronica e la produzione di macchinari altamente specializzati. «Stiamo monitorando costantemente la situazione – ha commentato Massimo Marciani, presidente FLC – che per il momento rimane sostanzialmente invariata grazie al flusso delle scorte che riforniscono i mercati. Tuttavia i disagi per le nostre aziende impegnate a vario titolo nella supply chain sulla direttrice Cina-Italia sono già iniziati. Se l’emergenza coronavirus non cesserà al più presto, permettendo alla Cina di riattivare la produzione industriale almeno entro il mese di febbraio, la logistica italiana rischia di pagare un conto molto salato».

L’Italia è il quarto partner commerciale della Cina, stando alle rilevazioni di Info Mercati esteri del ministero degli Affari esteri. Le importazioni – in crescita – sono state pari a 30,8 miliardi di euro nel 2018. Dalla Cina arrivano, soprattutto via mare con traffico container, prodotti tessili e abbagliamento, computer ed elettronica, macchinari e manufatti in plastica e metallo. Anche l’export, benché più contenuto (pari a 13,2 miliardi nel 2018), pone la Cina al quarto posto tra i nostri partner commerciali, soprattutto nel campo della chimica, farmaceutica, veicoli, mobili e abbigliamento. 

Una bilancia commerciale che, tradotta in container, sviluppa 1,1 milione di TEU in entrata e 800 mila in uscita. Ovvero circa il 18% del traffico containerizzato rispetto ai 10,3 milioni di TEU movimentati nei principali porti italiani sempre nel 2018 (dati centro studi Fedespedi). Una perdita, quella del traffico container da e per la Cina, che andrebbe a indebolire ancora di più il sistema portuale italiano, già minato nella competitività negli ultimi anni. Infatti, nei 13 scali nazionali dove sono presenti terminal container, la capacità teorica di movimentazione è di 16,7 milioni di TEU, che vuol dire circa il 60% di quella registrata nel 2018 (10,3 milioni). Negli ultimi vent’anni, quando altri porti del Mediterraneo crescevano fino al 500% nel traffico container, l’Italia aumentava solo del 50% (dati Conftrasporto-Confcommercio). E negli ultimi cinque non è riuscita a raggiungere gli 11 milioni di TEU, arrivando ai 10,3 del 2018. 

Quindi, di fronte a un sistema infrastrutturale che già non gode di buona salute gli effetti del coronavirus rischiano di essere fortemente depressivi.  «I porti italiani – ricorda Marciani – scontano l’inadeguatezza dei fondali, troppo poco profondi per le mega navi, ma anche i limiti infrastrutturali del Paese. Il crollo del Ponte Morandi è già costato il 5% del traffico al porto di Genova. A questa emergenza nazionale, si aggiungerebbe anche quella sanitaria dovuta all’allarme internazionale che, se non gestita adeguatamente, andrebbe a minare un sistema già di per sé compromesso». 

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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