Un camion ogni cinque in Europa è sprovvisto di autista. Nel senso che non esiste sul mercato qualcuno disposto a guidarlo. Un vuoto occupazionale dovuto in parte a una crisi di vocazioni (sempre meno hanno voglia di entrare in un settore giudicato troppo impegnativo), in parte a una flessione demografica. Insomma, siamo sempre meno e, tra i pochi rimasti, sono sempre meno coloro che intendono lavorare a bordo di un camion. Per carità non è un problema soltanto del vecchio continente. Anche dall’altra parte dell’Oceano, dove le donne sono la maggioranza della popolazione (51%), si è cercato di ovviare al problema aprendo le cabine dei camion al sesso femminile. Entriamo allora all’interno del mercato dell’autotrasporto degli Stati Uniti per capire se c’è qualcosa che è possibile copiare.
Innanzi tutto dobbiamo ricordare che il trasporto merci su gomma negli USA è tornato ai livelli pre-crisi con la presenza (dati 2016) di 711 mila imprese in cui sono impiegati 3.5 milioni di persone. Per il 90% uomini con un’età media di 46 anni (cinque in più rispetto alla media dei colleghi di tutti gli altri settori) e con un tasso di istruzione che soltanto nel 7% dei casi è arrivato alla laurea (negli altri settori la media è del 35%). In compenso il rischio di restare senza lavoro per gli autisti di camion è ridotto rispetto ad altri settori economici, visto che la percentuale di disoccupati raggiunge a malapena il 4%, quando di media supera il 5,3%. Nulla di più normale se si tiene conto che complessivamente sono circa 60 mila i posti di autista a rimanere scoperti.
Le sorprese arrivano quando si va a vedere la composizione degli autisti più giovani, quelli cioè con un’età inferiore ai 35 anni, perché qui si scopre che cresce il tasso di istruzione e soprattutto aumenta la presenza femminile. Non c’è un’onda oceanica, ma piuttosto una lenta e costante crescita. Lo dicono i numeti dell’ATA: se nel 2008 la percentuale di donne occupate nel settore sfiorava il 4,9%, nel 2017 erano diventate più del 6,2%, per arrivare a quasi il 7% nel corso di quest’anno. In termini assoluti si tratta di 217mila autiste professionali impegnate sulle lunghe distanze.
Questa crescita è stata determinata da diversi fattori. Innanzi tutto sono molte le aziende che si sono affidate a forme di comunicazione mirate. Un’azienda di autotrasporto con sede a Eagan, nel Minnesota, per esempio, ha realizzato una vera e propria campagna per reclutare le donne, diffondendo pubblicità e testimonianze al femminile sui social media. In questo modo sono riuscite a creare un esempio, vale a dire a convincete diverse donne a entrare nel settore sulla base dell’esperienza di altre ragazze.
Poi c’è il problema sicurezza. Un sondaggio dello scorso anno realizzato da Women in Trucking, per esempio, ha chiesto alle donne autiste di valutare a uno a dieci la sicurezza del proprio lavoro. E alla fine la quotazione media è stata di 4,4. Ed ecco perché, proprio per favorire l’ingresso di altre donne nel settore si è lavorato molto all’interno delle associazioni di categoria per migliorare l’illuminazione e la recinzione dei parcheggi.
Un dato interessante, infine, è che le donne conducenti provocano in genere meno incidenti, anche perché – spiegano gli esperti – hanno minori probabilità di incorrere in rischi, in quanto interpretano la strada in modo più sereno, senza richiedere al veicolo di dimostrare tratti della loro personalità. Il dato è emerso in modo inequivocabile da una ricerca dello scorso luglio in cui confrontando i dati di un campione di autiste con quelli di un campione di colleghi maschi emergeva che le prime provocavano il 20% di incidenti in meno. Numeri su cui meditare…