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L’UE indaga sull’Italia perché non tassa i porti. Conftrasporto chiede a De Micheli di intervenire

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Si avvicina sempre più la data finale – 31 dicembre 2019 – fissata dalla Commissione europea per riorganizzare le Autorità portuali italiane. La Commissione ha avviato il procedimento nei confronti dei porti tricolori a inizio 2019, intimando loro di pagare l’imposta sul reddito generato dalle attività economiche e di adottare un vero e proprio regime fiscale (corporate income tax). Di questi giorni il secondo passo, con l’apertura di un’indagine approfondita sul sistema portuale italiano, ravvisando nel fatto che le autorità di sistema portuale (AdSP) non paghino tasse un potenziale aiuto di Stato.

Ieri una fetta importante della logistica nazionale ha incontrato la ministra dei Trasporti, Paola De Micheli. Erano presenti il vicepresidente di Confcommercio, Paolo Uggè, il segretario generale di Conftrasporto, Pasquale Russo, i presidenti di Federlogistica, Luigi Merlo, e di Federagenti, Gianenzo Duci, e il segretario generale di Angopi (Associazione nazionale gruppi ormeggiatori), Lorenzo Paolizzi. Nel corso dell’incontro, è stato chiesto alla ministra di poter affrontare la vicenda in sede europea, in modo da mitigare la decisione per le Autorità di sistema ed evitare così una forte penalizzazione degli scali italiani, con una maggiorazione dei costi per le imprese che operano all’interno dei porti.

Al termine dell’incontro, Uggè ha spiegato di aver condiviso con la ministra «che i porti sono una risorsa imprescindibile della nostra economia e che ogni iniziativa che ne mini la concorrenzialità in modo ingiustificato va contrastata». Uggè ha anche aggiunto che la ministra «ha confermato che sul tema è in corso una riflessione all’interno del ministero per meglio rispondere alla Commissione europea».

Per capire meglio la vicenda va ricordato che da qualche anno la Commissione europea ha avviato un processo di restrizione dell’autonomia fiscale dei porti commerciali per evitare la concorrenza sleale tramite aiuti di Stato, i finanziamenti diretti o indiretti del pubblico al privato, in modo da creare una competizione paritaria tra gli scali. La ComÀmissione vuole impedire, in altri termini, che la competizione tra i porti sia più facile nei Paesi, come l’Italia,À in cui alle Autorità portuali si fanno pagare poche o nessuna imposta.

Roma obietta che le AdSP sono enti pubblici non economici, diretta emanazione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti da cui in tutto e per tutto dipendono e quindi organo periferico dello Stato. Sottoporle a una tassazione sarebbe come se lo Stato tassasse se stesso, in modo illogico e dannoso per le attività.À

La commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, replica però che «i porti hanno una doppia attività: c’è il lavoro amministrativo delle autorità portuali, di gestione del demanio pubblico (controllo del traffico marittimo, sicurezza, sorveglianza anti-inquinamento), e c’è quello economico (far pagare per l’accesso al porto, riscuotere i canoni delle concessioni demaniali)», che nelle idee della Commissione costituisce le entrate da tassare. In diversi porti europei le due attività sono strettamente legate e, secondo la commissaria, se ciascun porto non scorpora le attività pubbliche da quelle commerciali e adotta di conseguenza un regime fiscale autonomo, la Commissione non può pianificare lo sviluppo del settore in maniera uniforme né avere una politica europea dei trasporti efficace, perché ci sarà sempre un governo che proverà ad avvantaggiare uno dei propri porti, tassandolo poco o nulla e creando così distorsioni nel mercato.

A queste argomentazioni si obietta che, a differenza dei porti del Nord Europa, che sono enti commerciali gestiti da società private a partecipazione pubblica, i porti italiani che si affacciano nel Mediterraneo tendono a essere controllati dagli Stati (eccetto il porto del Pireo) e, una volta trasformati in società private, seppure a partecipazione pubblica, si troverebbero in difficoltà e potrebbero attirare capitali stranieri per ottenere liquidità, “svendendo” proprietà peraltro particolarmente strategiche per lo Stato.

Soddisfare le richieste della Commissionee significherebbe insomma non capire le peculiarità dell’Italia, che ha un altro mercato rispetto a quello del Mar Baltico. I porti italiani competono con gli omologhi del Nord Africa e della Spagna per accaparrarsi il traffico che viene dal canale di Suez, servendo anche mercati vicini ma extraterritoriali come l’Africa e il Medio Oriente.

Il problema è che un regime fiscale simile negli anni passati è già stato applicato dalla UE a Belgio e Francia e anche la Germania ha creato da pochi anni – su esortazione della Commissione – un meccanismo di finanziamento portuale più trasparente che separa le attività di competenza pubblica da quelle economiche. Inoltre, anche la Spagna, che era sotto osservazione, ha deciso di abolire l’esenzione fiscale di cui beneficiavano i porti spagnoli a partire dal 2020, provvedimento che è stato accolto dalla Commissione favorevolmente, tanto che la procedura contro gli iberici è stata chiusa. L’Italia dunque è rimasta sola nella sua lotta.

Qual è in conclusione la situazione di fatto al momento? Come dicevamo, la DG Competition, ovvero la Direzione generale della Commissione europea deputata a vigilare sul rispetto delle regole comunitarie in tema di concorrenza e libero mercato, ha deciso di aprire un’indagine approfondita sul sistema portuale italiano, ritenendo un potenziale aiuto di Stato il mancato versamento delle imposte da parte delle AdSP.

La ministra De Micheli ha già sottolineato che la cosa più importante è che non si arrivi a una procedura di infrazione e la Vestagher lo ritiene un elemento positivo di dialogo tra Italia e UE. Se però l’esenzione fiscale delle AdSP dovesse essere riconosciuta come aiuto di Stato contrario alla normativa europea, la Commissione potrebbe imporre all’Italia di intervenire sullo ‘status quo’ (pena appunto una procedura d’infrazione), ma non potrebbe pretendere alcuna restituzione dell’aiuto giudicato illegittimo (come avviene invece in altri casi), in quanto si tratterebbe di un “existing aid”, ovvero di una situazione preesistente all’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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