L’autotrasporto cambia. D’altra parte, se il mondo cambia, perché non dovrebbe cambiare pure l’autotrasporto? Già, ma come? Se la prima domanda è retorica, alla seconda ha tentato di rispondere la nuova edizione di «100 numeri per capire l’autotrasporto» (la prima è di due anni fa) con il sottotitolo «Attori e filiere», presentata martedì 14 gennaio in un gremitissimo Parlamentino del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il «come» del cambiamento, nel volume confezionato da Deborah Appolloni, Umberto Cutolo e Maria Carla Sicilia, è fotografabile in poche righe: più società di capitali (aumentate del 24,7% nel periodo 2014-2019), più consorzi e cooperative (in crescita del 7,5%), boom dei contratti di rete, aumento del fatturato globale (è la metà degli 84,5 miliardi di quello della logistica), calo dei padroncini (che restano il 52% del totale). Il tutto confortato dai numeri (che sono assai più di 100) e da una lettura per filiere che entra nel dettaglio delle principali linee di distribuzione, dalle merci pericolose al fashion, dal farmaco all’arte, dall’agroalimentare agli eccezionali, dai container ai rifiuti.
Il mutamento in corso è fotografato già dai numeri complessivi (forniti da Infocamere): negli ultimi cinque anni (2014-2019) hanno chiuso 10 mila imprese scendendo a 89.770. Un dato, però non allineato con quello dell’Albo degli autotrasportatori, dove è in corso – come ha precisato la prima relatrice, la vice presidente dell’organismo Francesca Aielli – una revisione che riguarda circa 20 mila posizioni (oltre a 3 mila aziende morose già cancellate), tra imprese a veicoli zero (12 mila) e altre non attive sulle quali sono in corso verifiche individuali, dopo di che saranno inviate le relative segnalazioni agli uffici della Motorizzazione, dal momento che l’Albo non ha i poteri per cancellare autonomamente le aziende.
È stato Andrea Acquaviva, direttore di Infocamere ha confermare l’affidabilità dei dati sulle imprese del settore, precisando che quelli del suo organismo non sono dati statistici, ma dati certificati in tempo reale, confermando che la trasformazione da società individuali a società per azioni è un fenomeno a luci e ombre che, sia pure tra forti contraddizioni, tocca l’intera economia italiana: sulla media di 6 milioni d’imprese l’ultimo trimestre del 2019, ha registrato un saldo positivo di 10 mila aziende (60 mila nuove e 50 mila chiuse) costituito per il 91% da società di capitale.
Sulle ragioni che spingono tale trasformazione è, invece, intervenuto Massimo Campailla, professore di diritto della logistica e dei trasporti all’università di Ferrara, per individuarle più che nelle motivazioni giuridiche che riducono le responsabilità personali, in quelle economico-imprenditoriali per la possibilità di reperimento di capitali mirati o di aggregazioni fra imprese tese all’accrescimento societario, se non a forme alternative come i contratti di rete che sarebbe interessante sperimentare non solo in forma orizzontale, ma anche verticale, mettendo insieme tutti i singoli soggetti che operano lungo la filiera.
Dell’evoluzione dalla singola impresa a forme di aggregazione più ampie della stessa forma cooperativa ha dato diretta testimonianza Claudio Villa, presidente di Federtrasporti, ricordando la nascita delle prime aggregazioni nate verso la fine degli anni Cinquanta del secolo scorso per contrastare il caporalato. Si trattava cioè di mettere insieme tante debolezze: 9-10 soci, lo stretto necessario previsto dalla legge, con altrettanti mezzi. Oggi sono diventate quelle piccole cooperative o consorzi sono diventate – anche attraverso fusioni – aziende con decine e decine di soci e centinaia di mezzi. Senza dimenticare le aggregazioni di secondo livello, nelle quali si condividono servizi e opportunità, come Federtrasporti, nata nel 192 e diventata ormai una importante realtà nel panorama nazionale.
Insomma, cambia il mondo, cambiano gli autotrasportatori, ma quello che non cambia – almeno a breve – è il tipo di carburante che muove i camion. Paolo Starace, amministratore delegato di DAF Veicoli Industriali in Italia, ha ricordato che il 99% dei veicoli pesanti è alimentato dal gasolio che – nonostante la sua continua demonizzazione – costituisce «la risposta concreta per il traffico pesante» che coniuga il Green con l’economia. Anche l’elettrico – ha ricordato – è prodotto da centrali a carbone e, dunque, il vantaggio energetico è solo trasferito e poi, si è chiesto, quanti committenti sono disposti a pagare di più per avere un trasporto verde? DAF peraltro sta effettuando test sia per alimentazioni elettriche che a idrogeno, ma si tratta appunto di test, ma per ora il diesel è la tecnologia consolidata, seria e affidabile disponibile sul mercato.
Nella successiva tavola rotonda, coordinata da Deborah Appolloni, sono state affrontate due delle filiere esaminate nel volume: l’agroalimentare e le merci pericolose. Le criticità della prima – individuabili soprattutto nell’ultimo miglio – sono state messe a fuoco da Clara Ricozzi, presidente di Oita (Osservatorio interdisciplinare trasporto alimenti), che ha indicato come via da percorrere la collaborazione tra gli operatori, dagli operatori logistici e i trasportatori a committenti e produttori. Solo in questo modo si potrà ottimizzare l’impiego delle tecnologie disponibili come quelle che consentono il monitoraggio costante del carico e la ricostruzione a posteriori per ogni singolo imballaggio.
Anche Umberto Torello, presidente di Transfrigoroute Italia, ha insistito sul tema della collaborazione di filiera, portando l’esempio di un network di trasporto alimentare a temperatura controllata, costituito da piccole e medie imprese dell’ultimo miglio, che distribuiscono nella propria area geografica. Un’esperienza che ha fatto emergere tre importanti caratteristiche: maggiore distribuzione di ricchezza tra gli affiliati al network, ottimizzazione delle consegne per la conoscenza del territorio da parte degli operatori, sviluppo di veicoli a energie alternative per circolare il traffico cittadino.
Sull’integrità del bene trasportato si è soffermata l’avvocato Barbara Michini, dello Studio Zunarelli, che ha sostenuto la necessità che le imprese si mettano al riparo da eventuali danni, attraverso processi di formazione e di informazione e ha portato ad esempio il caso di un trasportatore che ha firmato un contratto in inglese senza conoscere la lingua e si è trovato costretto ad una vertenza internazionale con il committente per un tentato furto della merce (non andato a buon fine), perché contrattualmente bastava il «sospetto» di un danno per configurarlo.
Le problematiche della filiera delle merci pericolose sono state affrontate da Guglielmo Nardocci, di Fedit, che ha rinnovato l’invito a una maggiore collaborazione da parte dei committenti per migliorare la sicurezza del trasporto, anziché limitarsi a chiedere tariffe sempre più basse. Sul tema è intervenuto anche Claudio Villa, nella sua veste di presidente di Conap, consorzio attivo dal 1962 nel trasporto di prodotti chimici, per affermare che per operare in condizioni di maggior sicurezza, tranquillità e serenità, ad esempio su un trasporto locale entro i 100 chilometri, di un aumento tariffario del 20 per cento.
A entrambi ha risposto Marina Barbanti, direttore generale di Unione petrolifera, la quale ha affermato che nel settore la sicurezza è una cultura di base, prima ancora di ambiente ed efficienza, tanto è vero che ha l’indice di incidentalità più basso, alla pari con bancario e assicurativo e ha ricordato gli ingenti investimenti affrontati dalla committenza del settore petrolifero sia per i sistemi di sicurezza obbligatori, sia per quelli aggiuntivi come le telecamere di bordo e altri meccanismi di controllo.
Gaetano Conti, presidente del Comitato Logistica di Federchimica, ha infine messo il dito sulla piaga della carenza di autisti, particolarmente avvertita dal suo settore per la delicatezza del tipo di trasporto che richiede una qualificazione sempre più difficile da trovare sul mercato. Per questo, ha aggiunto, l’industria chimica è pronta a mettersi in gioco per quanto riguarda la formazione specialistica nel settore, ma ha anche chiesto di rendere la professione di conducente più attrattiva, per esempio attraverso campagne di informazione, oltre che un miglioramento delle condizioni di lavoro dell’autista.