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Anita e Unatras scrivono a Paola De Micheli per riaprire la trattativa con il governo. Auguri, cara Ministra, ecco le nostre richieste

La richiesta principale è un intervento contro le limitazioni unilaterali decise dal Tirolo, poi i soliti problemi: costi di riferimento, tempi di pagamento, Fondo per il rinnovo del parco, revisioni dei veicoli, poteri dell’Albo. E ogni volta che cambia il governo riparte la solita trafila

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Il «governo del cambiamento» non deve aver cambiato molto nell’autotrasporto italiano, almeno a giudicare dai problemi elencati nelle lettere – con richiesta di incontro urgente – inviate dalle associazioni dell’autotrasporto alla nuova ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli.  

La nuova ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli

Se il presidente di Anita, Thomas Baumgartner, ha aspettato qualche giorno per chiedere, genericamente «una logistica moderna ed efficiente, un sistema di trasporti sostenibile e interconnesso» e «una maggiore competitività del mercato con politiche di mobilità efficienti e tra le diverse modalità», soffermandosi nel dettaglio – definito «un’emergenza assoluta» – soltanto sul «contrasto alle limitazioni poste dall’Austria sull’asse del Brennero», assai più reattiva è stata Unatras, il cui presidente, Amedeo Genedani, poche ore dopo il giuramento della prima ministra donna alla guida del dicastero, ha snocciolato sei priorità: la ripresa della pubblicazione dei costi di riferimento, l’indeducibilità fiscale della fattura per chi non rispetta i tempi di pagamento, l’istituzione di un Fondo per il rinnovo del parco circolante, il ripristino dell’operatività delle revisioni dei mezzi pesanti, l’assegnazione all’Albo degli autotrasportatori del potere di cancellare le imprese non in regola con la normativa fiscale/previdenziale e – ça va sans dire – il contrasto, con «tutte le leve», ai divieti di circolazione imposti dall’Austria alle nostre merci. 

Gli stessi problemi

Praticamente i temi con cui, a fine luglio, le associazioni si erano lasciate con il precedente governo, quando l’allora ministro Danilo Toninelli, interrompendo un lungo silenzio, aveva riconvocato le rappresentanze per annunciare la firma del decreto per l’erogazione dei 25 milioni stanziati per il rinnovo del parco (in attesa dei 100 del Fondo promessi dal dimissionato vice ministro Edoardo Rixi), l’aumento a 48 euro delle deduzioni forfettarie per il 2018 e il rinvio a fine estate dell’aumento dei pedaggi autostradali. 

In sintesi: una toppa, un problema che ricorre annualmente, una sospensione temporanea. Lasciando sul tappeto i nodi più spinosi – costi d’esercizio, tempi di pagamento e Austria – guarda caso gli stessi presentati dalla lettera di Unatras a De Micheli, in aggiunta ai quali, l’associazione ha riproposto il Fondo per il rinnovo (dopo la toppa), le revisioni di camion (un problema che dura dal 2017 per la carenza del personale a fronte delle nuove procedure), e i poteri dell’Albo che, rinnovato di recente, vorrebbe essere messo in condizione di assolvere ai suoi compiti. 

LE SEI PRIORITÀ DELL’AUTOTRASPORTO. DI IERI E DI OGGI 
1. Ripresa della pubblicazione dei costi di riferimento
2. Indeducibilità fiscale della fattura per chi non rispetta i tempi di pagamento
3. Istituzione di un Fondo per il rinnovo del parco circolante
4. Ripristino dell’operatività delle revisioni dei mezzi pesanti
5. Assegnazione all’Albo del potere di cancellare le imprese non in regola con la normativa fiscale/previdenziale
6. Contrasto ai divieti di circolazione imposti dall’Austria alle nostre merci

Il bubbone dell’ austria

Nulla di nuovo sotto il sole, insomma. E, dunque, il problema principale – sostenuto concordemente sia da Unatras che da Anita – resta il bubbone dell’Austria. Il precedente governo aveva cercato l’intesa con la Germania per premere su Vienna, ma non aveva escluso come extrema ratio il ricorso all’Alta Corte di Lussemburgo, pur sapendo che la linea dura – l’avvio di una procedura d’infrazione contro l’Austria – sarebbe lunga e incerta. 

Ma come Roma ha chiesto appoggio a Berlino, Innsbruck si è rivolta a Bolzano. Nord Tirolo (austriaco) e Sud Tirolo (italiano) hanno approvato un documento comune per ridurre il traffico di tir al Brennero e incentivare un trasporto su ferro che, però, ancora non è possibile, dal momento che il tunnel ferroviario sarà operativo soltanto nel 2027. E, infatti, il governatore altoatesino Arno Kompatscher, insieme al suo omologo tirolese Günther Platter, ha chiesto «interporti, regole chiare e pedaggi che tengano conto dell’inquinamento causato dai camion», affermando che «il tunnel del Brennero è di importanza strategica per il traffico transalpino, ma non basta per garantire lo spostamento del traffico su rotaia. Dobbiamo rendere il Brennero meno interessante per i tir». Detto da un rappresentante pubblico di una provincia italiana è un problema spinoso. 

Per l’albo ci vuole una legge

Ma anche le altre non sono questioni semplici. Per l’Albo il problema è al tempo stesso burocratico e legislativo. Il nuovo vice presidente, Patrizio Ricci, presidente di CNA-Fita lo aveva già annunciato a Uomini e Trasporti nel luglio scorso: «L’Albo non ha facoltà di cancellare, da solo, le imprese che non esercitano più: deve effettuare verifiche all’interno delle Camere di commercio e della Motorizzazione e svolgere una serie di adempimenti che dipendono da norme da cambiare». Lo conferma l’ultima newsletter della rivista ufficiale dell’Albo, ricordando che nelle ultime settimane sono state avviate circa 4 mila procedure che riguardano aziende inadempienti nei pagamenti (2.792) o in stato di registrazione provvisoria o sospesa da più di due anni (1.309), alle quali vanno aggiunte altre 6.343 in stato di «iscrizione provvisoria», ma che il tutto è stato inviato agli Uffici Territoriali della Motorizzazione «che stanno provvedendo alla cancellazione».  

Un’espressione sibillina che sembra voler dire che l’Albo ha fatto il possibile con i poteri attuali ma che, comunque, ci vuole un intervento legislativo per le 12.130 imprese a zero veicoli «su cui è necessario svolgere un’ulteriore verifica in virtù del fatto che la legge consente l’esercizio della professione anche con veicoli non di proprietà». In caso di conferma della cancellazione di queste aziende, fa rilevare la newsletter, «si arriverebbe nel giro di un anno a circa 80.000 imprese regolari iscritte all’Albo, anche a seguito dell’operazione simile, portata avanti mesi fa, che ha condotto alla cancellazione di circa 200 imprese che non risultavano più iscritte alle Camere di Commercio». 

Tempi e costi dividono

Sui tempi di pagamento e sui costi di esercizio, il precedente governo aveva rinviato il suo intervento formalmente per valutare l’applicazione sia dei criteri di calcolo dei costi, sia della indeducibilità delle fatture non onorate, richiesta da Unatras. Lo stesso ministro Toninelli aveva ribadito che la «scelta politica» era quella di tornare a pubblicare i costi d’esercizio e aveva annunciato di aver dato mandato agli uffici preposti di «procedere senza esitazione», mentre sui tempi di pagamento, il suo capo di gabinetto, Gino Scaccia, aveva assicurato che si stava approfondendo dal punto di vista legale la proposta della indeducibilità della fattura non onorata, così come chiesto da Unatras. 

In realtà, su entrambi i nodi il fronte delle associazioni si mostra diviso: sui tempi di pagamento, spesso le imprese sono committenti dei sub appaltanti, e dunque le associazioni sono in imbarazzo a sostenere la norma con i loro stessi iscritti; sui costi, poi, il dissenso di Anita è stato esplicitato proprio in occasione dell’incontro con il governo della scorsa estate. E, dunque, ogni volta si finisce per rinviare, all’insegna del «ci penserà il prossimo ministro». 

Le speranze: le infrastrutture

E allora cosa si aspettano le associazioni dal nuovo governo? L’urgenza con cui – soprattutto Unatras – ci si è rivolti alla nuova ministra è significativa di un coacervo di speranze e timori che vanno al di là dell’elenco di questioni da affrontare. Tutti convengono nel chiedere quella che Silvio Faggi, segretario nazionale FIAP, sintetizza come «la giusta attenzione verso un settore strategico per la crescita del Paese» e i giudizi «saranno basati sostanzialmente sui fatti». Concetto sul quale conviene anche Claudio Donati, segretario generale di Assotir: «Per esprimere giudizi ci sarà tempo (ma non troppo) e lo faremo, come sempre, sulla base di riscontri oggettivi».  

Ma dietro gli auguri formali e il rinvio ai fatti, trapela una sottile preoccupazione che anche nel governo giallorosso possano trovare spazio quelle spinte contro la realizzazione di infrastrutture ormai vitali per l’autotrasporto e l’economia italiana. Un larvato timore che si legge nella soddisfazione con cui il vice presidente vicario di Conftrasporto, Paolo Uggè, ha accolto, lunedì 9 settembre, il discorso programmatico del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla Camera, cavalcando subito le dichiarazioni sull’importanza del sistema infrastrutturale per la competitività del Paese: «La volontà di rimarcare quest’esigenza speriamo metta fine alle polemiche di chi strumentalizzando la sostenibilità opera per bloccare il Paese». Nel dettaglio: «TAV, corridoio mediterraneo, Gronda di Genova, Zes, permeabilità dei porti, interconnessioni per fornire la necessaria connettività e accessibilità non devono essere più oggetto di verifiche e revisioni strumentali o di altre iniziative che ne ritardino la realizzazione» 

Per parte sua Paola De Micheli ha dedicato alla questione le sue prime interviste, affermando a La Stampa che «ostacoli politici ai cantieri non ce ne saranno più»: sulla sua scrivania – oltre a quello sulla TAV – sono in bella vista i dossier sulla Gronda di Genova, sul passante di Bologna e sul Terzo valico, tutto già finanziato e bollinato, in attesa solo di un via libera della ministra che non dovrebbe tardare. 

Paola De Micheli firma davanti al Presidente della Repubblica e diventa la prima Ministro dei Trasporti donna della storia italiana.

I timori: le accise

Ma il resto? Le opere costano. E la prima grana che il nuovo governo si trova davanti è il nodo dell’Iva: disinnescarne gli aumenti programmati significa trovare 23 miliardi; non è una missione impossibile, ma resta poco anche solo per la principale promessa: il taglio del cuneo fiscale all’alleggerimento della pressione fiscale. E la spasmodica ricerca di risorse nelle pieghe del bilancio potrebbe riservare sorprese. Nel luglio scorso, in vista della legge di bilancio per il 2020, erano già cominciate a circolare voci sul taglio delle esenzioni sull’accisa dei carburanti. Il bottino è succoso perché ammonta, in bilancio, a 19,3 miliardi, 1,2 dei quali sono destinati alle imprese di autotrasporto per veicoli superiori a 7,5 tonnellate e con motore Euro 3 o superiore. 

Anche queste voci si inseguono ogni anno e con ogni governo, frutto di proposte che arrivano da un ministero dell’Economia sempre più stressato dalla necessità di rovistare nelle pieghe del bilancio, alla ricerca di spiccioli da trasferire ad altre spese. Lo scorso anno il tentativo fu stoppato e quest’estate fu lo stesso Uggè a mettere le mani avanti, minacciando «una durissima protesta del mondo dell’autotrasporto». 

Per ora ancora non se ne parla, ma il rischio è che i «vecchi» funzionari prospettino ai «nuovi» governati per l’ennesima volta quest’area d’intervento. E per l’ennesima volta le associazioni dovranno ripetere la litania della «dura protesta», per minacciare un fermo che nelle prime lettere inviate alla ministra De Micheli non viene neppure ventilato, come si conviene all’apertura di una trattativa. 

Perché ogni volta bisogna ricominciare con gli stessi rituali. Li ha elencati con ironia il segretario generale di Trasportounito, Maurizio Longo: «Nomina e delega al sottosegretario; richieste di incontro; presentazione di temi e problemi; costituzione di commissioni e magari sotto-commissioni; calendarizzazione degli incontri; incontri ristretti e riunioni plenarie; approfondimenti e contro-approfondimenti da parte di chi ha interessi contrastanti; discussioni sulle risorse economiche per il settore; dispositivi legislativi che puntualmente ritardano; qualche minaccia di manifestazione di protesta, come da rito; qualche convegno per invitare l’istituzione di turno; sagrestie che si aprono a qualche eletto e qualche raccomandazione per evitare conflitti sociali per non destabilizzare il sistema, e così via. Le fatiche di Sisifo», ha concluso, «sono passeggiate di salute». Finché una nuova crisi di governo non costringe a ricominciare tutto daccapo. 

Il governo del Tirolo austriaco e quello dell’Alto Adige italiano, riuniti a Castel Tirolo (vicino Merano) lo scorso 5 settembre, hanno siglato una dichiarazione congiunta di nove punti in cui esprime il comune intento di rendere meno vantaggioso per i camion il transito sul Brennero e di favorire così il trasferimento di merci dalla strada alla ferrovia. Le modalità per ottenere tale risultato sono diverse, ma su tutte emerge quella di aumentare i pedaggi autostradali per i mezzi pesanti, rendendoli uguali a Sud e a Nord del Brennero e – come ha sottolineato il governatore del Tirolo, Gunther Platter, intensificare i controlli su strade secondarie, dove tenderebbero a spostarsi i camion in fuga dall’autostrada. Il suo omologo altoatesino, Arno Kompatscher, ha enfatizzato il ruolo crescente che potrebbero ricoprire gli interporti e ha sottolineato l’intenzione di realizzarne di nuovi, chiedendo al tempo stesso ai gestori delle infrastrutture ferroviarie e alle autorità nazionali di investire in misure di protezione acustica sulle linee esistenti e in materiale rotabile a bassa rumorosità. Il tutto ovviamente nell’attesa che si completi il tunnel di base del Brennero, per il quale bisogna attendere almeno 7-8 anni.

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