Finalmente, verrebbe da dire: il prezzo del petrolio, dopo una crescita senza freni, nel mese di maggio chiude con una flessione mensile del 12%, toccando una quota tra gli 87 e gli 88 dollari per quanto riguarda i future sul Light crude e una tra i 102 e 103 dollari rispetto ai future sul Brent.
Ma frenate l’entusiasmo. Perché a fronte di questa battuta d’arresto dell’oro nero i prezzi alla pompa rimangono sostanzialmente stabili. Anzi, in Italia se si considera l’avvenuto incremento delle accise di 2 centesimi (che dovrebbe durare fino a dicembre e questo lo abbiamo segnato in agenda) il prezzo ha visto persino un piccolo ritocco in alto. Cosa accade? Tante cose.
Innanzi tutto – l’avrete letto tante volte – c’è la crisi che morde. Nel senso che in questo inizio 2012 i morsi fanno più male e si manifestano come una diminuzione della domanda di beni. Prima conseguenza: una perdita di valore delle materie prime. In questo caso, cioè, non è soltanto il petrolio a perdere quota, ma in generale tutte le materie prime, i cui indici (il Reuters Jefferies-Crb) toccano la quota minima degli ultimi due anni. Se non ci credete potete andare a verificare cosa sta accadendo al prezzo dello zucchero e del caffè.
Andando però a guardare nel dettaglio, la domanda del gasolio è diminuita di un 15-18% e stessi numeri si registrano anche per altre materie prime.
In più, oltre a una flessione della domanda c’è anche un basso livello delle scorte nei magazzini. E questa è veramente una conseguenza della crisi, il taglio cioè di qualunque tipo di immobilizzazione per evitare di rimanere con il carico sulle spalle nel caso in cui il mercato volti le spalle. Di conseguenza, in ogni mercato, si naviga a vista, si produce e si compra ciò che serve. Niente di più.
Peraltro, questa considerazione riferita all’esistente, non è momentanea. Anzi. Le prospettive vedono ancora più nero. L’economia cioè rallenta su scala mondiale e quindi questo porta a gelare i prezzi delle materie prime.
Altro fenomeno riguarda il deciso apprezzamento del dollaro americano sui mercati valutari. E siccome il petrolio si compra in dollari, tutto ciò andrebbe a erodere una parte del vantaggio dovuta al calo delle quotazioni. Inoltre, non bisogna dimenticarsi che per lunghi mesi – forse quasi due anni – a tenere in alto le quotazioni del petrolio sono stati soprattutto fenomeni internazionali, tensioni e a volte anche episodi bellici. Da ultimo gli echi della crisi iraniana. Adesso invece ci si rende conto che il petrolio iraniano può essere assorbito tramite altri canali senza troppo sforzo e questo avrebbe contribuito a una diminuzione del prezzo.