Svuotavano aziende di trasporto fallite dei propri beni, creavano altre società ad hoc e poi dirottavano milioni di euro all’estero. Una truffa ben congegnata quanto particolarmente nauseante nei suoi contenuti, perché basata sullo sfruttamento dei fallimenti di società pulite e oneste. L’inchiesta, svolta dalla Procura di Piacenza, con l’appoggio della Direzione Investigativa Antimafia di Genova e di Bologna e della Guardia di Finanza, ha portato all’arresto di tre persone accusate di falso, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza delittuosa e trasferimento illecito di valori. Una quarta persona è già in carcere e due altri complici sono indagati a piede libero.
Secondo gli inquirenti il sistema fraudolento era semplice. La banda rilevava società in fallimento, le intestava a terzi e le svuotava dei beni, vendendo a ignari compratori. Il ricavato – milioni di euro – veniva dirottato su conti correnti esteri in Francia, Monaco, Svizzera e Montecarlo o ad altre società fittizie, circa una ventina, spesso fatte fallire anch’esse dopo avere ottenuto finanziamenti per acquisto di veicoli. Al momento dell’arrivo del curatore fallimentare le società avevano solo debiti e nemmeno un euro in cassa.
Due degli arrestati, Roberto Piras e Riccardo Trusendi, operavano nella zona fra La Spezia e Massa Carrara e pare avessero contatti con la ‘ndrangheta. Sono faccendieri tristemente conosciuti dalla Polizia, con alle spalle precedenti penali: il primo condannato per narcotraffico, il secondo per bancarotta e fallimenti societari. La terza, Gabrielle Baldar, è invece un’avvocata svizzera che si occupava delle complesse consulenze legali del gruppo e che ha contatti con l’alta finanza e il mondo della politica.
L’indagine è partita dalla Caorso Trasporti di La Spezia, acquistata nel 2008, intestata a persone vicine a Trusendi e dichiarata fallita successivamente, che è stata prosciugata di tutti i suoi 337 camion, venduti a ignari compratori. Il curatore fallimentare una volta subentrato ha trovato debiti per 11 milioni di euro e niente in cassa, nonostante la vendita effettiva dei mezzi.
Nella perquisizione dell’abitazione di Trusendi, residente nello Spezzino, gli investigatori hanno trovato un milione di euro in contanti e svariati assegni per centinaia di migliaia di euro intestate alle società fallite, assegni che sarebbero dovuti essere nelle mani dei vari curatori e non più in quelle degli imprenditori arrestati.